Un percorso dove l'architrave di spezie, fermentazioni e marinature mira a costruire il boccone senza la minima traccia di sale: Francesco Apreda ribalta la percezione comune in 7 piatti “a sapidità alternativa”.
"Se vuoi conoscere il tuo passato, osservati nel presente. Se vuoi conoscere il tuo futuro, fa' lo stesso". Sì, sono d'accordo con voi: forse non serviva scomodare Herman Hesse. Ma il messaggio più incisivo di "Siddharta" inquadra il "qui ed ora" di Francesco Apreda molto meglio di qualsiasi cronistoria.
Sarà che varcare un ristorante romano, cogliere vibrazioni partenopee e immaginarsi l'Oriente nello spazio di una cena è cosa che capita di rado, persino tra gli infiniti gironi gourmet dell'Urbe. Eppure, lo chef continua a incollare nel piatto pezzi di globo che fanno relazioni internazionali al ritmo di masticazione.
Il presente di Idylio? Un time-lapse che scorre veloce a pochi metri dal Pantheon, oggi invaso dal medesimo crogiuolo di etnie vocianti di 2000 anni fa. Ed è proprio la fusione (non il 'fusion" trito e ritrito; piuttosto, un blend armonico di culture) a rendere il suo menu una sorta di mappamondo in movimento.
Il ristorante
Se da un albergo che porta il nome del capolavoro agrippino (The Pantheon Iconic) ti aspetti in primis forza e imponenza, all'ingresso prevale in realtà un senso diffuso di leggiadrìa; lo stesso che il cuoco campano ricrea nel lab di Idylio sin dal 2019, tagliando i ponti con quello stile barocco che spesso intorpidisce la ristorazione d'hotel.
Senza squilli di tromba, Apreda ha via via costruito un percorso out of order -Sapidità Essenziali- dove l'architrave di spezie, fermentazioni e marinature mira a saldare i prodotti fra loro anziché scomporli in mille pezzi. Dentro ci scopri il raggio estivo della Costiera e il profumo di un bazar; la schiettezza di una scarola e la grazia inattesa di una ricotta di mandorle. Tutto ad una sola, semplice condizione: zero sale -neanche l'ombra di un granello- in nessuno dei 7 assaggi previsti.
Dall'intro verrebbe facile pensare che prima o poi arriverà la "portata debole" con relativo calo di attenzione e di sapore (d'altra parte, Iconic signature- l'itinerario con 6 proposte liberamente componibili- offre all'ospite il beneficio della scelta). Invece, l'impennata sensoriale è costante: piatto dopo piatto torna a fomentare i picchi di iodio, sfumando il confine tra l'ingrediente base e il metodo applicato.
All round, il gioco un po' onirico di una sala luccicante, con lo scintillio dei lampadari di cristallo e i ghirigori floreali delle stampe asiatiche di seta -quasi a integrare il filone sfarzo con quello travel; oro su nero che ammicca ovunque moltiplicando gli stimoli visivi, cucina schierata alla giusta distanza dalla zona cena. Lato vini, il gioco è al rialzo col bravo sommelier Alessandro D'Andrea, pronto a equilibrare la potenza aromatica delle preparazioni grazie a un sorso deciso, che però non domina mai la gamma delle persistenze in degustazione.
I piatti
Come un indice da sfogliare per calarsi nel racconto, gli snack proiettano sul tavolo l'anteprima dello show. Così, appare una cialdina al nero di seppia che sembra il guscio di una cozza, mentre il mollusco "vero" -ripieno di crema di pomodoro e coperto da una gelatina della sua acqua- fa schizzare le papille sull'attenti, colpite nel vivo da uno splash di freschezza. È un vecchio amico l'ovetto di quaglia in tempura: dentro un Big Bang semiliquido, fuori un guscio friabile che si schiude all'istante col calore della bocca. Pochi secondi di stupore e, mentre stai ancora assaporando la cupolina fondente di broccolo glassata al latte di cocco, l'ortaggio si mostra deciso nel minuscolo ravanello in osmosi con gin e farcito di crema al limone, pungente quanto basta per riportare il palato ai blocchi di partenza.
Il momento-pane? Qui è spalmato su più atti in una performance continua: si inizia da una crema di burrata tutta spezie, bagnata da olio d'oliva per sciogliere l'intreccio di profumi e accompagnata da fettine di pagnotta semintegrale in attesa di esserne cosparse. Segue un cuscinetto soft di pizza fritta con polvere di pomodoro, capperi ed erbe: effluvi di emporio che conquistano il naso con una carezza diversa; quella del vegetale disidratato, in cui divampa il ricordo dei topping partenopei. Tira una riga la prima new entry: Crudo di pecora ed erborinato ghiacciato con azoto liquido, rapa rossa e uva pizzutella. Difficile pensarla priva di aggiunte saline. E invece è uno strategy game sul singolo elemento.
"Ad esempio, le barbabietole cotte al cartoccio con alga kombu", spiega lo chef, "o la tartare condita con una miscela di peperone crusco e polvere di foglie di levistico essiccate, che spingono la sapidità naturale". C'è pure una tonalità fumé, "ottenuta da fondo di pecora caramellato, insieme all'olio che ricaviamo dal grasso degli arrosticini realizzati a parte". Complessità passata al setaccio dell'estrema sintesi: il cotto che abbraccia di slancio il crudo.
Può una scarola fingersi diva? Stavolta sì. La foglia, ingioiellata da uvetta e pinoli e avvolta nella crema di cavolfiore per lo slancio di rotondità, completa l'outfit con un lieve maquillage di tè verde Matcha. Sopra, una parure di limoni disidratati che prolunga la vita dell'insalata invernale.
Lo speed acquatico arriva coi Tubetti cotti in un estratto di carciofi alla romana e completati da brunoise di carciofi, a creare il giusto trampolino vegetale: la pasta si tuffa dritta in una spuma fluente di mandorla e mallo di noce moscata; in cima alghe e sgombro marinato che sguazzano liberi, spargendo umami per costruire il boccone.
Non perde smalto l'immancabile Pasta in bianco con 5 radici (unico piatto-firma in menu, che vi abbiamo già raccontato qui). Ma l'highlight della serata è un'audace Triglia e pajata, radicchio e granelli di pompelmo essiccato. Prova di equilibrismo -o meglio, acrobazia- per rabbonire la carne al cospetto del pesce nobile appena scottato in padella. Tant'è che un doppio jus congiunge suolo e abissi: "Unisco quello delle lische e quello delle interiora". L'esito spiazza per simmetria, con la pajata alla romana passata velocemente su brace che alla fine se ne sta al suo posto, rispettando lo status quo senza prevalere. Ripristina il morso una virgola di radicchio amaro: pulizia di rito fra i due secondi.
È il turno del San Pietro alla Luciana, croccante di cavolo viola fermentato e noci. "Il filetto, immerso nel burro per non disperdere gli umori durante la preparazione, accoglie il mollusco in forma di sughetto al pomodoro con vino rosso, capperi, olive e un'unghia di peperoncino", racconta Alessandro.
Di fianco splende un cadeaux nuovo fiammante: la tiellina di Gaeta, tirata a lucido da una glassatura di peperoni arrostiti e serrata sul morbido ripieno di polpo in umido. Quando il side diventa centrale: da accessorio a comprimario.
Chi avrebbe mai detto che una fake ricotta potesse rubar lo scettro all'originale? Accade nel dessert, dove quella di mandorle costeggia un gelato alla mandorla e caffè, atterrando sul tappeto di cachi steso alla base. Fa da cornice l'intenso crumble con crema di miso e funghi: la stagione in viaggio dentro un presente che sa di futuro.
Foto: Crediti Alberto Blasetti
Indirizzo
IDYLIO BY APREDA
The Pantheon Iconic Rome Hotel
Via di S. Chiara, 4/A – Roma
Tel. +39 06.87807080
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