Troppo facile fare i gradassi sui social: lo chef Matt Tebutt, che conduce una trasmissione televisiva nel Regno Unito, ma ha lavorato anche con Marco Pierre White, spiega perché la cucina professionale è tutta un’altra storia.
L'opinione
Si può ben dire che Matt Tebutt conosca la cucina dietro al passe come davanti alle telecamere: dopo essersi formato alla Leiths School of Food and Wine, ha lavorato nella ristorazione ai massimi livelli, affiancando fra gli altri Marco Pierre White, prima di aprire il suo gastropub The Foxhunter in Wales, chiuso nel 2014, ed essere reclutato dalla BBC per condurre il fortunato show Saturday Kitchen. È quindi in grado di cogliere fino in fondo la differenza fra mondi che lo spettatore può confondere.
Tanto per cominciare la pressione è completamente diversa, assicura ai microfoni del The Independent: al ristorante si tratta di agire in velocità, sfornando cibo che sia corretto al 100%, mentre in televisione contano piuttosto il ritmo e la presentazione impeccabile, per quando sia stressante avere in cuffia un flusso ininterrotto di suggerimenti. Tanto che fra uno scambio di battute e un malinteso, si fa presto a bruciare la padella.
A distinguere il professionista è in ogni caso la capacità di essere multitasking: il cuoco da social fa un piatto alla volta, dall’apparenza perfetta, grazie all’editing e alla possibilità di provare e riprovare innumerevoli volte, mentre al ristorante si tratta di grandi numeri in velocità, da soddisfare senza neppure pensarci. “Ed è un talento reale”.
Non si dimentica, anche se a volte può essere riposto nel cassetto. Riguardo alla possibilità di tornare alla ristorazione, Tebutt risponde: “Mai dire mai”. Ma ha ben presenti le difficoltà del momento e il dispendio di energie fisiche e mentali, più agevole per un ragazzo che per un quasi cinquantenne. Meglio cucinare in casa per la famiglia e per gli amici.
L’età del resto ha i suoi vantaggi: per esempio prendersi il tempo per realizzare i propri desideri e un certo tipo di relax, senza il bisogno di dimostrare continuamente qualcosa a qualcuno, in attesa trepidante dell’agognato feed-back, che potrebbe pure non arrivare. Mentre nella maturità si cucina semplicemente quello che si ama e spesso si scopre che piace anche agli altri. “Si vede anche in certi chef: c’è una sicurezza nel modo in cui mettono due cose sul piatto, distante anni luce dal bisogno di ostentare dei giovani”.