St Hubertus è stato un grande ristorante, ma Atelier Moessmer è ad un altro livello: la filosofia "Cook the Mountain" viene applicata ai piatti in modo ancora più incisivo, profondo, materico. Una scalata in vetta attraverso il gusto delle stagioni: “ritorno alle origini” per Norbert Niederkofler.
"Il ristorante più atteso d’Italia": così alcuni hanno definito l'apertura di Atelier Moessmer lo scorso luglio. È stata una notizia di notevole importanza nel mondo della gastronomia: lo chef visionario dell'Alto Adige, Norbert Niederkofler, ha lasciato il ristorante St. Hubertus, dopo avervi ottenuto 3 stelle Michelin con la sua filosofia "Cook the Mountain".
Un gesto ardito in un tempo in cui l’alta cucina era ancora associata in qualche modo allo stile "classico" con caviale, aragosta, foie gras e altri ingredienti di altissima qualità provenienti da tutto il mondo. In un momento dove il termine "sostenibilità" non era ancora un argomento di tendenza, e sicuramente prima che diventasse il termine più utilizzato e abusato nella gastronomia moderna.
Niederkofler ha sfidato le probabilità, gli scettici e, ad esser sinceri, probabilmente persino la sua stessa clientela, dato che St. Hubertus si trovava all’interno dell'hotel Rosa Alpina, dove -non importa quante stelle avesse il ristorante, non importa quanto costasse- lo chef è sempre destinato a essere intrinsecamente vincolato e limitato.
Ma successivamente, Niederkofler ha deciso che era stanco delle limitazioni e delle aspettative e, con lo spirito dei grandi alpinisti delle Dolomiti come Reinhold Messner, che spingevano sempre oltre i propri limiti e affrontavano i sentieri più pericolosi per raggiungere la vetta, ha preso una direzione completamente sua. Ciò è avvenuto nel 2011, quando il St. Hubertus aveva ancora 2 stelle. Via il wagyu, il tonno, il tartufo a profusione e i cucchiai di caviale. Via anche agrumi, olio d'oliva, frutti di mare, pomodori, cioccolato e vaniglia e qualsiasi cosa non provenisse…dalla montagna.
Prugne gialle fermentate, succo di ribes bianco e succo di uva spina hanno sostituito l'acidità dei limoni, una pasta di prugna fermentata ha fatto da "ketchup di montagna", pasta sfoglia cosparsa di polvere di ginepro al posto della cannella. Sembra proprio aver funzionato, tantoché nel 2017 St. Hubertus è stato premiato con le ambitissime 3 stelle, dimostrando che non ci sono delle “regole Michelin predefinite”. O forse, in certi casi, persino la Michelin riconosce che i tempi stanno cambiando.
Ma, dopo quasi 20 anni, Niederkofler ha lasciato l'hotel in cui ha dato vita a questo concetto e l'ha trasferito, insieme a tutto il suo team, in quello che oggi è chiamato Atelier Moessmer, situato in una bellissima villa storica del 1800, legata alla rinomata fabbrica di lana Moessmer di fama internazionale che produce tessuti per Chanel, Gucci, Prada e altri grandi marchi.
La filosofia
È stato fatto tutto con così grande cura ed attenzione ai dettagli che si percepisce subito l’investimento economico e progettuale che c'è dietro. Un team che ha compreso appieno il suo ruolo, fosse quello di tenere il punto di fronte ai nuovi proprietari del Rosa Alpina o semplicemente di mostrare cosa sapesse fare libero da tutti quei legami aziendali.
Perché, non fraintendetemi, questa non è una di quelle mosse strategiche dove lo chef rinuncia alle stelle Michelin e ai 50 Best Awards per sviluppare un progetto più informale, ma, come si dice, "per trovare un equilibrio nella vita": in realtà proprio l’opposto. Atelier Moessmer sembra già operare come una macchina a 3 stelle Michelin ben oliata, e il team non cerca nemmeno di celare le proprie ambizioni con falsa modestia. Probabilmente hanno impostato il timer per il 14 novembre (data della presentazione delle stelle Michelin in Italia).
Il merito va a Niederkofler che, a 62 anni, potrebbe facilmente vivere nell'agio grazie ai suoi progetti paralleli e alle consulenze; invece si è buttato a capofitto in questo progetto con la dedizione e grinta di uno chef con la metà dei suoi anni. Lo definirei tanto esperto, intelligente e generoso da dare ampio spazio al suo team per emergere, proprio come ha fatto con il suo ex Sous Chef Michele Lazzarini (che ora brilla da solo presso l'eccezionale ristorante Contrada Briconi). Il talentuoso Lazzarini (32 anni), che ha svolto un ruolo importante nell'attuazione della filosofia "Cook the Mountain" di Niederkofler, ha lasciato un'eredità significativa da portare avanti, e per sostituirlo lo chef si è rivolto a Mauro Siega (31 anni), sul cui volto si leggono chiari i concetti di "determinazione" ed "impegno", ed è completamente assorbito dal progetto.
Sicuramente non è un caso che il giovane team perfettamente sincronizzato sia guidato dal 32enne Lukas Gerges, Restaurant Manager e capo sommelier -uno dei migliori nel settore, senza ombra di dubbio. È un sommelier in grado di leggere le diverse situazioni e di passare dal consigliare grandi etichette, ma anche vini più attuali, a seconda del tavolo, a spiegare i piatti e, perché no, anche accogliere gli ospiti, se necessario.
St. Hubertus è stato un grande ristorante, ma Atelier Moessmer è ad un’altro livello. Anche lo spazio e l’interior design svolgono un ruolo importante. "L'architetto ha superato il budget", commenta Norbert, tra il seccato e l'entusiasta - e si può dire che si tratti di un investimento importante. La villa che ospita il ristorante è considerata un sito storico, quindi il duo di architetti Walter Angonese e Klaus Hellweger ha dato vita ad un ristorante unico nel suo genere, ma qualunque siano state le limitazioni, il risultato finale è spettacolare.
Atelier Moessmer: il locale
La struttura è stata costruita con cura, design minimal ma anche accogliente e rilassante, con dettagli che omaggiano la vicina fabbrica di lana. Il ristorante si articola in diversi spazi tra cui quello per l'aperitivo, uno per il dopo cena e una sala da pranzo poco illuminata, ma il cuore pulsante è lo chef's table, una "scatola di vetro" attaccata all'edificio, illuminata con luce naturale e con vista sulla cucina in azione, dove il fuoco gioca un ruolo importante. Niente più cottura sottovuoto, è più simile allo stile asador con piatti come l'insalata di montagna grigliata o la trota affumicata, entrambi punti salienti del menu autunnale. "È un ritorno alle origini", spiega Niederkofler.
Utilizzano tutto dell’animale e, anche se molti ristoranti ne fanno uno slogan, all'Atelier Moessmer non si tirano indietro quando si tratta di lavorare ogni singola parte dello stesso- le frattaglie sono molto presenti in questo menu, come la salsiccia di sangue di cervo servita su un risotto cremoso con topinambur, o la lingua di manzo glassata con "chimichurri di montagna" o le ventrigli di pollo in burro acido e brodo di pelle di pollo, una mossa coraggiosa per un ristorante in grande stile. Piatti dal sapore deciso col profumo dei boschi circostanti, rive di fiumi, pigne, arbusti delle Dolomiti e frutteti di mele.
Come spiegano Niederkofler e Siega, il concetto "Cook the Mountain" non è stato minimamente depotenziato in questo nuovo contesto, anzi, sono in grado di applicarlo in modo ancora più incisivo, dato che ora possono creare un menu per ogni stagione, cosa che non potevano fare al St. Hubertus.
Collaborano strettamente con produttori e agricoltori, circa 50, sparsi in tutta l'area circostante, senza intermediari coinvolti. Perché si rifiutano di utilizzare prodotti provenienti dalle serre verticali o orizzontali, ma partono da una fattoria -Biohof Oberhaus- a 1.000 metri sopra Brunico, per poi spostarsi verso altri agricoltori fino a Bolzano, dopo che la prima neve si deposita sui verdi campi di ortaggi di alta montagna.
E la stagione invernale non è da meno. La dispensa di Atelier Moessmer sembra il parco giochi dei cuochi di "Cook the Mountain" - ravanelli e cipolle sottaceto, fagioli e bulbi di finocchio, carote lattofermentate e aglio fermentato, germogli di abete sottaceto e piccole pigne con carcasse di selvaggina rosso scuro, nonché "collane" di salsicce rosa appese nel bel mezzo della cella in tutto il suo splendore naturale.
I piatti
Potrebbe non essere la giusta meta per chi predilige una dieta vegetariana, poiché le proteine sono predominanti in tutto il menu. A far da ouverture troviamo la tartelletta di barbabietola rossa glassata accompagnata da sottili fette di pancetta d'anatra. Il cannolo con patate, funghi e formaggio, i taco di salmerino e il vitello "pastin" completano il quartetto di antipasti serviti insieme allo Champagne nella sala dell'aperitivo prima di essere accomodati allo chef's table, con la cucina leggermente più bassa rispetto all'area di seduta in modo che i cuochi non guardino gli ospiti dall'alto. Un dettaglio che forse non si sarebbe nemmeno notato, se Norbert non l'avesse sottolineato.
La cucina dell'Alto Adige non è esattamente conosciuta per la sua leggerezza: qui, quando entri in un luogo "informale" o in un rifugio di montagna, ti sfamano a sazietà. Ci sono salumi e graukäse (un gusto acquisito per chi non è di montagna), gulasch e knödel e ogni tipo di frittella immaginabile. Atelier Moessmer non ne propone una versione sofisticata, anzi: i piatti sono abbondanti e non lesinano sul sapore -forse qualcosa che Siega ha imparato durante la sua esperienza a Copenaghen.
L'insalata di montagna che apre il percorso degustazione, è una bomba di sapori di verdure alla griglia, servita con brioche soffice a lato. I filetti di trota affumicata che seguono sono conditi con gemme sotto aceto ed erbe accompagnate con salsa ricavata dagli scarti di trota affumicata; il pane di segale, realizzato usando solo cereali locali, viene servito insieme a una generosa quantità di burro che ti fa rimpiangere di non aver scelto un vestito più comodo per l'occasione. Dopo una porzione altrettanto generosa di risotto con sanguinaccio, propongono l'unico piatto che sembra essere stato tratto da un'altra storia, un elemento estraneo nell’insieme, sia nella sua presentazione molto classica che nello stile. Sono gnocchi di barbabietola rossa, uno dei pochi piatti iconici del St. Hubertus reinseriti nel menu, forse come omaggio al lungo percorso che hanno compiuto per arrivare fin qui.
Tuttavia, è uno dei pochi piatti non a base di proteine, perché ciò che segue è un trio che" colpisce duro" di ventrigli -lingua di manzo- e, per concludere in bellezza, un meraviglioso cervo presentato in tre atti (lombata di cervo, spiedino di cervo e raviolo di cavolo con riduzione di cervo) da incidere con un utensile da taglio professionale realizzato su misura dal padre di Siega.
La carta dei dolci autunnali è fortemente incentrata sulle mele, sfruttando i frutteti circostanti, con mele al forno servite con un connubio di mele aromatizzato alla grappa di mele, seguite da un enorme biscotto Linzer cosparso di polvere di ginepro e, per concludere in bellezza, una tarte tatin a dir poco unica, un altro omaggio a St. Hubertus.
L'unico aspetto negativo della filosofia "Cook the Mountain" è che, beh, devi recarti in montagna. Non ci sono mezzi termini, Brunico non è esattamente il centro del mondo ed è un po' fuori mano. Ma, d'altro canto, non è questa la definizione di un ristorante a 3 stelle -che valga il viaggio?
Indirizzo
Atelier Moessmer
Via Walther von der Vogelweide, 17, 39031 Brunico BZ
Tel: +39 0474 646629