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Francis Mallmann, il top chef va contro i premi: “Non voglio stelle Michelin”. Ecco i motivi

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina francis mallmann

La stella Michelin? È il sogno di ogni chef. Anzi no. È lungo l’elenco di coloro che hanno tentato di sottrarsi all’imperio della rossa. L’ultimo in ordine di tempo è Francis Mallmann, chef del fuoco che su Instagram non ha fatto sconti. Ma Michelin risponde: “Si tratta perlopiù di gentlemen’s agreement”.

L'opinione

Sta facendo discutere il post pubblicato su Instagram da Francis Mallmann, lo “chef del fuoco”, a corredo di un articolo del New York Times intitolato “Le stelle Michelin portano prestigio, ma hanno un costo”, relativo allo sbarco della guida in Colorado: “Anche l’Argentina ha recentemente pagato i 600mila dollari di tariffa per far parte della guida. Hanno riferito che avrebbero conferito stelle a ristoranti di Buenos Aires e Mendoza (dove ho il mio 1884, aperto 25 anni fa). Le stelle saranno annunciate in novembre. Dopo quasi cinquant’anni di cucina professionale, mi auguro sinceramente di non riceverne. E se accadesse, non accetterei. Lasciateci condividere pane, pensieri e romanticismo. Tenendoci per mano finché c’è speranza”.

francis mallmann Flickrcom Romina Santarelli Ministerio de Cultura de la Nacion
Flickrcom-Romina Santarelli-Ministerio de Cultura de la Nacion

Ad applaudirlo oltre 22mila persone, fra cui il guru del vino James Suckling. Ma Mallmann non è certo il primo chef che tenti di sottrarsi all’imperio della rossa: a condividere il gran rifiuto sono stati in passato Marco Pierre White e Alain Senderens, Gualtiero Marchesi, Marc Veyrat e Sebastien Bras. Era il 2008 quando il gran lombardo restituì i suoi due macaron, sparendo per sempre dalla rossa. “Critici, da oggi vi critico io”, polemizzava. Prima di lui, nel 1999, il genio ribelle Marco Pierre White ne aveva rifiutati addirittura tre:Non mi sentivo libero; se non l’avessi fatto, sarei morto dietro le stufe”. Sotto accusa è la presunta incompetenza degli ispettori, che “ne sanno meno di noi”; e poi la limitazione della creatività, il costo di mantenimento, lo stress, il peso insostenibile delle aspettative. In tanti, più o meno noti, hanno preferito il downshifting, secondo lo spirito dei tempi. Per esempio, Frederick Dhooge nelle Fiandre, che ha rivendicato il suo diritto di servire pollo fritto, o La Lisita a Nîmes, che ha optato per uno stile da brasserie.

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Le cose, tuttavia, non sono così semplici, considerato l’intangibile diritto di critica, che riduce le petizioni degli chef a una “leggenda metropolitana”, pure a volte assecondata con un’alzata di sopracciglio. Gli ispettori sono di fatto anonimi clienti paganti, che non possono certo essere lasciati alla porta. Cosicché chi ha fatto causa alla guida, come Marc Veyrat, che ha lamentato una forte depressione post declassamento, ha perso e si è ritrovato davanti una richiesta di risarcimento davvero stellare (30mila euro). Ci ha provato anche lo chef coreano Eo Yun-gwon, alla testa di un ristorante di cucina italiana a Seul, che da subito ha chiesto di non essere presente in guida. “Molti ristoratori sprecano soldi, anima e tempo per inseguire il miraggio di una stella, ma la guida è accecata dal denaro, manca di una filosofia e inserisce forzatamente i locali contro la loro volontà; qui ci sono migliaia di ristoranti dello stesso livello o migliori e più onesti ed è curioso che solo 170 rappresentino Seul”.

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A dire il vero la stella gli è poi stata negata, a conferma di quanto sostiene Roberto Restelli, già direttore della guida italiana fino al 2000, quando è passato alla comunicazione per l’insieme del gruppo: in tante circostanze si tratterebbe di gentlemen’s agreement, nell’imminenza della perdita già data per scontata. “L’anonimato degli ispettori è una condizione che ha favorito la piena autonomia di giudizio, ma che, d’altro canto, ha creato una ricca dietrologia su come ottenere le stelle. Ne ho sentite di ogni: che occorresse acquistare prodotti, soprattutto vini francesi, ma anche pneumatici per accattivarsi le simpatie della Guida, o che ci fossero pagamenti da sostenere. Nel caso di quelle che si potrebbero definire tangenti, si tratta di pure invenzioni; non si perdono le stelle perché non si sarebbe pagato o non si sarebbero acquistati determinati prodotti. Michelin non vive della Guida e può permettersi un’indipendenza che pochi possono vantare. 

michelin Getty images
@Getty Images

Tante anche le dicerie su chi le stelle le perde. Il caso più articolato è quello della rinuncia, presunta per chi non le ottiene e dice di non volerle, più interessante per chi vuole effettivamente renderle. Ci sono stati casi dovuti a un radicale cambio di linea, motivato dal desiderio di una vita più serena o di un’attività economicamente più sostenibile, e qui va riconosciuto il merito a chi lo ha comunicato; ma negli altri casi si è trattato di un gentlemen’s agreement, per consentire anche a personaggi famosi di uscire dalla Guida senza subire declassamenti. Sono di parte, ma dubito ci possa essere un meccanismo più imparziale di giudizio. Il metro Michelin potrà essere di 99 centimetri, l’importante è che continui a esserlo ovunque”.

michelin guide
@Michelin Guide

Il New York Times comunque non fa sconti, denunciando come “l’organizzazione esclusiva della Michelin accetti denaro da diversi sponsor, che possono influenzare gli ispettori in incognito al momento di concedere una menzione”. In alcune città degli Stati Uniti, inoltre, sarebbero emerse perplessità dovute all’assenza degli ispettori, laddove i ristoranti non erano associati.

Foto di copertina: @Delfo Rodriguez

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