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Dalla Gioconda, lo stellato super green che unisce 2 regioni: il menu di Davide Di Fabio

di:
Marco Castaldi
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copertina davide di fabio dalla gioconda

Un menu volto a creare connessioni tra passato e presente, cercando quella “piacevolezza anche nell’estremizzazione” che non fa mai sembrare il piatto un esercizio di stile: Davide Di Fabio unisce Abruzzo e Romagna, con uno sguardo sempre orientato all’arte e alla “libera creatività”.

La storia

Quando mondi opposti e visioni diverse trovano un linguaggio comune danno vita a qualcosa di unico e straordinario, la cui autenticità, così complessa eppure così comprensibile, non è in alcun modo replicabile. Inizia tutto il 21 giugno 2021, quando Stefano Bizzarri e Allegra Tirotti Romanoff decidono di dar vita ad un progetto insieme iniziando la ristrutturazione di questa ex dancing pizzeria degli anni ’50, all’epoca gestita proprio dalla signora Gioconda, per renderlo un luogo che parlasse di amore, in primis il loro, certo, ma anche quello per questa terra, dove Stefano veniva con i genitori prima ancora di nascere, per i suoi tramonti meravigliosi, per la cucina, per il design e la creatività e per la bellezza, nelle sue innumerevoli forme.

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Stefano si laurea in Economia alla Bocconi, viaggia molto e lavora in vari ristoranti mentre coltiva le passioni per il surf e la botanica: è la parte gestionale e concreta del progetto. Allegra si laurea all’Istituto di moda, arte e design Marangoni, lavora da Etro come fashion designer per quattro anni ed è appassionata di buona cucina: è la parte creativa e artistica del ristorante, ne cura lo stile e il design. Dall’incontro di due anime così diverse, nasce questo luogo in grado di trasmetterle entrambe, rendendo le loro diversità una ricchezza inestimabile.

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Situato in una zona da sempre patria di musica e divertimento, che ha ospitato le discoteche italiane più celebri degli anni ’70 e i cantanti più illustri del panorama italiano, il ristorante si erge su una collina che affaccia sull’intera riviera romagnola, in un parco naturale immerso nel verde del monte San Bartolo, proprio sul confine marchigiano: “Siamo il primo o l’ultimo paese delle Marche”, dice Davide Di Fabio, chef del ristorante. La profonda ristrutturazione ha tuttavia conservato il juke box dell’epoca e lasciato inalterata quella leggerezza che il nome della signora Gioconda portava con sé, in contrasto con la rigidità richiesta da un approccio vocato alla sostenibilità, certificata Leed Gold, uno dei protocolli più importanti in materia a livello mondiale.

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L’edificio è infatti riscaldato seguendo i principi dettati dalla geotermia, che permettono anche il raffreddamento delle celle frigorifere, che a loro volta immettono l’aria calda di scarto direttamente nel riscaldamento a pavimento, in modo da creare un sistema virtuoso. A poca distanza dal ristorante, e sempre nell’ottica della sostenibilità, è stato creato un orto da cui provengono i vegetali utilizzati in cucina; infine, da una ex casa coloniale, tra le prime di Gabicce Monte, sono state ricavate le “Hidden Rooms”, tre stanze molto belle, eleganti e dotate di ogni comfort, ognuna con la sua peculiarità: dal marmo alle mura antiche a vista, dal giardino esterno dove fare colazione o sdraiarsi al sole, ai molti oggetti di pregio utilizzati come componenti d’arredo che si possono anche acquistare, come le porcellane di Ginori, le grucce di Gucci o i quadri di artisti noti.

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Il ristorante

Accordarsi su un progetto del genere non era difficile, visto che Stefano aveva già lavorato nei ristoranti, specie in Australia e Brasile, e Allegra era già appassionata di buona cucina e ristorazione. Mancava qualcuno che dirigesse la cucina, ma si sa, le coincidenze nella vita sono tutto. Stefano conobbe Davide Di Fabio durante un breve passaggio in Osteria Francescana, laddove ebbero la possibilità di confrontarsi e condividere idee e opinioni legate alla ristorazione, ma poi fu Massimo Bottura a posare l’ultimo tassello, appena saputo che Davide voleva avvicinarsi alla sua compagna di origine marchigiane: “Ti metto in mano mio figlio” disse a Marco Bizzarri, Ceo di Gucci e padre di Stefano.

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Così Davide Di Fabio prese le redini della cucina di Dalla Gioconda, oggi stella Michelin e stella verde per la sostenibilità: classe ‘85, cresciuto in Abruzzo e grande appassionato di arte e musica, giunse in Francescana nel 2005 e vi rimase per 16 anni, svolgendovi la sua intera formazione: “Mi sono subito innamorato della filosofia di Massimo e del suo modo di pensare, c’era qualcosa che ci accomunava nel profondo”, spiega Davide. L’impatto con il nuovo locale, ancora non ultimato, fu folgorante.

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Disposto su due piani, il ristorante ospita una galleria d’arte all’ingresso e un piccolo cinema che proietta commedie all’italiana nei pressi dei bagni; accoglie in media 50 persone a sera, con punte di 70 nelle giornate particolarmente affollate. È arredato con stile, eleganza e particolare attenzione agli oggetti di pregio e ai materiali utilizzati, su tutti il legno, l’ottone e la ceramica dei tavoli, che si lascia apprezzare maggiormente grazie ad una mise en place minimale, anch’essa frutto di una scelta sostenibile, volta a limitare l’uso di acqua e detersivi per le tovaglie, così come la scelta di non utilizzare plastica all’interno del ristorante, il primo ad essere certificato plastic free in Italia. Tuttavia la sostenibilità non è legata solo all’ambiente, ma anche al capitale umano, infatti non sono previsti più di 8 servizi a settimana: Teniamo molto ai nostri collaboratori e a valorizzare il loro lavoro” , è scritto in calce sul menu e, come se non bastasse: “Un supplemento pari al 5% del conto verrà diviso tra sala e cucina per il servizio”. Sarà per questo che l’annoso problema di carenza di personale qualificato qui non sanno cosa sia? Probabile: “Arrivano continue richieste di lavoro, riusciamo ad avere una squadra fissa per l’inverno e prendiamo qualche risorsa in più per la stagione estiva, senza alcun affanno”, confessa lo chef.  

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Come si riesce tuttavia a creare una cucina identitaria in un territorio nuovo e dopo un così lungo periodo trascorso come alter ego di Bottura? “Avevo paura di non riuscirci in effetti, l’unica possibilità era tornare indietro nel tempo di vent’anni, ripartire dal mio passato” confessa lo stesso Davide Di Fabio. Oggi il suo menu è volto a creare una connessione tra passato e presente, un passato fatto di ricette e gesti tramandati di generazione in generazione che non devono essere cambiati, ma riletti alla luce delle proprie esperienze e delle tante contaminazioni, senza tradirne il gusto e cercando sempre l’equilibrio, quella “piacevolezza anche nell’estremizzazione” che non fa mai sembrare un piatto un esercizio di stile: “Mi piace ricreare partendo da una decostruzione, da un recupero della matrice del gusto di alcuni piatti della memoria per poi ricostruirli non come erano originariamente ma farne qualcosa di nuovo”, si legge sul manifesto della cucina dello chef.

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La conoscenza delle proprie radici e il gusto italiano, quindi, come aspetti imprescindibili di una proposta focalizzata su Abruzzo e Romagna, ma con uno sguardo sempre orientato all’arte e alla “libera creatività”, unico e vero filo conduttore di un percorso di piatti articolato e complesso: “è necessario esplorare molte strade diverse perché quasi tutto è stato già detto, quindi più strade percorri e più possibilità hai di evolvere. In sintesi, per dirla alla Warhol, meglio 100 quadri a 1 euro che 1 quadro a 100 euro, le parole illuminanti dello chef, che sovvertono qualsiasi idea o schema precostituito. Anche il menu del ristorante non è tra i più comuni, rappresentato sotto forma di vinile con copertina luccicante e qr code da inquadrare per scoprire i piatti della carta e le varie degustazioni, come “Hit Parade”, ossia i piatti storici, da 7 portate a 110 euro o da 10 portate a 140, o "New Releases”, le nuove proposte in continua evoluzione, ugualmente 7 o 10 portate agli stessi prezzi, oltre ad una degustazione vegetariana da 7 piatti a 110 euro e ad un percorso di 10 portate a 160 euro interamente personalizzabile, riservato in esclusiva a chi prenota il “tavolo d’oro”, ovvero quello da cui si gode la vista migliore sulla baia di Gabicce.

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I piatti

Una cucina in continuo divenire, quindi, libera da vincoli e costrizioni, guidata dall’estro e dal gusto che però può contare su un tocco leggero ed una potente espressività, a cominciare dall’aperitivo di benvenuto, in cui spicca un omaggio alla Romagna, un classico dello chef, la saraghina con squacquerone e caviale, a metà strada tra una piadina e un blinis. Gli antipasti iniziano esplorando note dolci e acide, con la “Mazzancolla in rosa”, una rivisitazione del cocktail di gamberi anni ’80, in cui la salsa rosa è sostituita da una maionese di rapa rossa e scalogno, con nero di seppia e zafferano, un trionfo di colori accesi che richiamano la pop art. Geniale la “Battuta di marchigiana e gamberi rosa con brodo di tartufo e agrumi”, in cui il gambero rosa serve a ricreare il Wagyu giapponese, ricordandone marezzatura e parte grassa, mentre il brodo di tartufo e agrumi dona quelle note agrodolci tipiche della cucina asiatica, assecondate perfettamente dall’abbinamento con il Tergeno di Fattoria Zerbina, un’Albana di Romagna raccolta tardivamente.

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Davide di fabio anni 80
 

Interessante l’esplorazione dell’amaro “un po’ perso dalle nuove generazioni”, dice lo chef, con i “Cappelletti di olive amare, burro all’arancio e ricci di mare”, involucri minuscoli di sfoglia “da non concepire come un primo piatto”, prosegue,  che racchiudono una pasta di olive marinate sotto sale con arancia, ricci di mare per dare sapidità e il burro all’arancio a dare quella dolcezza necessaria a riportare tutto sotto il comune denominatore dell’equilibrio e del gusto, come già accennato precedentemente, abbinati molto bene ad un drink a base di bitter, acqua di mare e agrumi.

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Con la “Triglia, intingolo di quaglia beccafico” è evidente che per lo chef non esiste una distinzione netta tra carne e pesce, né tra dolce e salato: la triglia è marinata in acqua di mare, flambata e adagiata su pane imbevuto di aceto di vino rosso invecchiato con sopra chips di carote; al centro un mix di salse, tra cui il finocchietto, proveniente dall’erbario situato sotto il ristorante, mandarino tardivo e quaglia a beccafico. Il “Riso tiepido con seppia e limone” è l’emblema di quell’estremizzazione piacevole spiegata sopra, in questo caso legata all’acidità e all’amaro: il riso è cotto in un brodo di limoni fermentati e arrostiti, la seppia cruda serve solo ad aggiungere masticabilità al riso senza alcuna velleità di protagonismo, mentre l’abbinamento con il Riesling Aphoteke Kabinett 2021 di Angsar Clusserath è sia complementare che funzionale.

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Il “Pescato del giorno con salsa di albicocche acerbe e acetosella” è rappresentato da un morone cotto alla perfezione con burro, acqua di vongole e basilico greco, in cui le albicocche acerbe esemplificano l’idea di destagionalizzazione molto cara allo chef abruzzese: “Dovremmo prolungare la vita degli ingredienti, basti pensare al pomodoro, siamo abituati a mangiare pasta al pomodoro tutto l’anno, non solo d’estate, grazie alle conserve. Bisognerebbe utilizzare lo stesso metodo per  tutto. La frutta acerba, ad esempio, può essere impiegata in vari modi, dalla preparazione di salse in cucina fino alla mixology, creando gusti nuovi e abbinamenti inediti. Penso che la sostenibilità sia anche divulgazione scientifica del proprio sapere,  che vada condivisa, altrimenti non ha senso.

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Divertente il “Saltimbocca di spigola e ricciola con lattuga di mare e salvia”, ma passa in secondo piano di fronte  a quello che è un vero manifesto della cucina abruzzese, ossia la “Zuppiera di pasta e pesci dell’adriatico”, un piatto a metà strada tra il brodetto e le virtù: alla base sette tipologie di pesce e crostacei crudi, con sette tipi di salse (aglio, pomodoro, canocchie, seppia, cozze, vongole, prezzemolo) su cui vengono adagiati sette formati di pasta diversi, cotti con fondo di pesce e purea di legumi che completano una portata dalle diverse consistenze e temperature, golosa e ben fatta. Interessante il lavoro di Davide di Fabio sui primi, evidente sia nei “Paccheri al sugo??” (in cui si gioca sulla memoria gustativa proponendo un piatto che vuole ricordare il pomodoro fresco, ma al suo posto utilizza più tipologie di susine, per poi completare con una grattugiata di Parmigiano Reggiano), sia in un signature ottenuto per errore grazie ad uno spaghetto lasciato nel bollitore, ovvero lo “Spaghetto scotto alla marinara” (dove la pasta assume la consistenza di un noodles, rigenerato e mantecato con un sugo di pomodori, gamberi, acciughe e prezzemolo). Il vero capolavoro, però, sono i “Tagliolini freddi con porcini e caviale”, pasta fresca paglia e fieno fatta in casa, cotta, raffreddata in acqua e ghiaccio e asciugata, condita con olio al pino mugo, olio alle alghe, olio di porcini essiccati e caviale, una sinfonia di sapori eccezionale.  

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Molto eterogenei i secondi, in primis l’”Animella alla brace, piadina come un pane naan, panna acida”, in cui la cottura dell’animella è da manuale, laccata continuamente con un intingolo di miele e peperone dolce che amplificano il sentore di brace donando un gusto intenso e deciso, mitigato dalla panna acida e reso ancor più piacevole dall’accompagnamento con il pane naan. In tutt’altra direzione va il “Duetto di piccione e ventresca di tonno”, il piatto più spiazzante del percorso, in cui lo chef dà libero sfogo a quella vena artistica a cui si accennava in precedenza: “Non volevo proporre il solito piccione ed ho lavorato molto sulla stratificazione dei sapori, concependolo come un nigiri”, spiega. Il piccione viene scottato sulla brace e i vari strati sono composti da uova di merluzzo, fegato di anatra, tartufo nero, sfoglia di lampone e il wasabi, indispensabile per dare equilibrio ad un piatto con tanti elementi capaci di dialogare tra loro ed esprimersi in modo corale, in accompagnamento spinaci all’olio di nocciola.

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Chiusura adeguata con dolci più immediati e golosi, come “la Gioconda”, una stratificazione di cacao Criollo, Guatemala, Perù, Ecuador fondenti al 70% e un disco di amarene di Cantiano, oppure più complessi, come la “Neola alla Suzette”, un piatto tipicamente abruzzese, rivisitato nell’ottica di superare il confine dolce-salato, grazie al fondo di anatra caramellato al Grand Marnier, che accompagna l’arancia e la crema pasticcera, prolungandone di fatto il gusto, dando piacevolezza e intensità senza snaturare la componente dolce; azzeccati gli abbinamenti, rispettivamente con il Sauternes Chateau Simon Barsac e con il Barolo Chinato di Cappellano.

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Ad accompagnare un percorso così articolato, una cantina che colpisce in primis per l’ubicazione, in uno spazio segreto ricavato sotto al ristorante, tra quelle che erano le mura storiche del castello di Gabicce e poi per ampiezza e qualità, con circa 1300 etichette, da quelle più note e blasonate a quelle riconducibili a piccoli produttori artigiani. Molto spazio alle bollicine francesi, con profondità di annate rilevanti e una interessante selezione di grandi formati, anche per gli spumanti italiani. Il territorio è rappresentato molto bene con omaggi significativi alle cantine marchigiane più importanti, senza dimenticare tuttavia il resto d’Italia, i grandi rossi di Piemonte, Toscana e Bordeaux, i grandi bianchi di Mosella e Borgogna e referenze meno note provenienti da Spagna, Slovenia e Libano, proposte anche in mescita e raccontate con empatia e professionalità dal sommelier Nicholas Bratti.

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A completare un’esperienza memorabile per forma e sostanza, una squadra di sala guidata da Allegra Tirotti Romanoff, che sa muoversi molto bene esprimendo garbo, professionalità e quella dose di informalità che ben si sposa con il progetto e l’ambiente, ricordando il calore, la positività e la gioia di vivere resa proverbiale dagli abitanti di queste zone e arricchita dalla pacatezza e dalla serenità di uno chef come Davide Di Fabio, che allo stesso tempo sa essere anche preciso e scrupoloso, senza lasciare nulla al caso: “So esattamente come sarò fra 5 anni e dove mi condurrà questo percorso, mi resta solo da mettere a fuoco i singoli passaggi, come arrivarci, ma sono sereno”.

Indirizzo

Dalla Gioconda

Via dell'Orizzonte, 2, 61011 Gabicce Monte PU

Telefono: 0541 962295

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