Il fenomeno degli home restaurant si è rapidamente diffuso, specie nelle città turistiche. Persiste tuttavia il vuoto normativo in materia, nonostante una controversa proposta di legge, stoppata dal Garante della Concorrenza per presunta incostituzionalità.
Il caso
Sei un cuoco dilettante e ti piacerebbe metterti alla prova? Oppure sei un professionista ma sei rimasto senza ristorante dopo il covid? Per chi non dispone di grandi capitali, una delle opzioni da vagliare è l’home restaurant, ovvero la possibilità di aprirsi un posto proprio dentro casa, cucinando per perfetti sconosciuti.
Il fenomeno è nato sulla falsariga della casa particular di Cuba e si è diffuso innanzitutto nel mondo anglosassone, dagli Stati Uniti al Regno Unito, nei primi anni 0; fino in Italia. Il mezzo di promozione principale sono i social network; in molti paesi non sono necessarie autorizzazioni particolari, visto che normalmente l’attività viene svolta in modo non continuativo e con un fatturato modesto in una parte della propria abitazione.
Le formule sono due: il social eating, in cui i padroni di casa aprono le porte agli ospiti, chiunque essi siano, e il tourist eating, che invece mira a far conoscere la gastronomia tipica a chi è in viaggio, nel modo più autentico possibile. Si può pagare la semplice partecipazione a una cena, dividendo i costi in quote, oppure prevedere che si compia un’iscrizione annuale o mensile.
In Italia la fattispecie è regolamentata dalla risoluzione numero 50481 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy datata 10 aprile 2015, che prevede diverse autorizzazioni, equiparando gli home restaurant agli altri esercizi di somministrazione. Tuttavia non si è mai arrivati a una norma in materia, anche a causa della bocciatura da parte del Garante della Concorrenza di una proposta di legge che prevedeva limitazioni specifiche di coperti e fatturato (rispettivamente ai numeri di 500 e 5000 euro, ma una cena non costa certo 10 euro) per presunta incostituzionalità. Diversi presidenti di regione hanno provato a disciplinare a modo loro il fenomeno, ma l’Europa chiederebbe piuttosto una normativa nazionale, secondo quanto affermano gli 800 associati di Home Restaurant Hotel.
La proposta di legge non è stata peraltro ancora accantonata. Prevede inoltre la prenotazione attraverso determinate piattaforme, che verosimilmente effettuerebbero le trattenute del caso come avviene per le locazioni brevi; il pagamento online; il rispetto delle normative igieniche HACCP e un’assicurazione (auspicabili anzi necessarie, ma gravate da notevoli costi). Oltre il fatturato di 5000 euro decadrebbe l’inquadramento quale attività occasionale e scatterebbe la professionalità, che implica l’apertura di una partita IVA (già, ma con quale codice ATECO?), un diverso regime fiscale e contributivo. Potrebbe inoltre sussistere l’obbligo di SCIA, ovvero dichiarazione di inizio attività. Nel caso un cuoco intenda invece lavorare come chef a domicilio, in mancanza di un codice ATECO specifico occorre rifarsi al generico 749099 al momento di aprire l’indispensabile partita IVA.
In copertina dekstop: una scena di 4 Ristoranti, con Alessandro Borghese in visita ad un home restaurant