Fabio Giacobello è il proprietario di Fabios sul Tuchlauben di Vienna, il miglior ristorante italiano della città, per nulla snob e altezzoso. Scopriamone gli esordi.
La notizia
Fabio Giacobello non ha esordito da ristoratore: se oggi è il proprietario di Fabios sul Tuchlauben di Vienna, il miglior ristorante italiano della città, lo deve a svariate deviazioni di percorso. Tutto è iniziato studiando architettura. "Potevo esprimermi al meglio progettando edifici". Così Fabio spiega la sua decisione di apprendere l'arte del costruire a Milano. “L'architettura è una forma di bellezza che va oltre l’utile. E quello che mi ha affascinato di più è stato che un semplice disegno può dare vita a qualcosa di grandioso”. Sembra tutto perfetto, ma c'è dell’altro: studiare architettura non è possibile senza diligenza e disciplina. "Quando ho iniziato, purtroppo, non ero né una persona capace di imparare, né una persona disciplinata", ricorda. “Mi sono sempre abbandonato alla bellezza. Le feste, le donne. Poi ho perso il senso delle cose.”
Suo padre, un direttore generale, non apprezzava affatto lo stile di vita “selvaggio” del figlio e lo buttò fuori dal suo appartamento di Milano. Fabio si recò a Merano, dove aveva trascorso la giovinezza con la madre e dove aveva frequentato l'istituto alberghiero. Lì, l'ex studente immaginava di voler diventare un broker. “All'epoca era un mestiere nobile a causa di tutto il clamore su Wall Street e cose del genere. Ho iniziato con l'assicurazione, ma ho fallito miseramente”.
Così ha deciso di fare il cameriere tre volte a settimana in un locale di Bolzano. Ma anche questo progetto è andato fallito: "Presto sono stato buttato fuori dai proprietari". Così Giacobello ha fatto quello che fanno molti sudtirolesi e austriaci quando non trovano niente in patria: vanno, per non dire fuggono, in Germania.
Ed è proprio in questo momento che si lancia nella gastronomia. A Monaco lavora, tra l'altro, all'Aubergine di Eckart Witzigmann, al Park Café e all'Osteria, prima di recarsi ad Amburgo e da lì a Francoforte. Poi, a 30 anni, apre diversi ristoranti, per lo più italiani, guadagnando un sacco di soldi.
“Un giorno, improvvisamente, mi fecero un'offerta per aprire la Cantinetta a Vienna.” Giacobello accettò senza esitare. Eppure, dopo poco era già turbato. "Allora", ricorda, "l'Austria era ancora a due anni dall'adesione all'UE. A quel tempo, la Germania era molto avanti in termini di gastronomia”. Resta da vedere se sia per questo che la fase di apertura sia stata così impegnativa. Per sei mesi Giacobello ha lavorato sette giorni su sette dalle sei del mattino alle due di notte. “Spesso dormivo sulle sedie. Funzionava.”
In ogni caso, il concept di Cantinetta, proveniente dall'Italia e dalla Svizzera, fece scalpore a Vienna: "L'Austria allora non conosceva questo tipo di ristorazione.”
L'ambizione, ma anche la voglia di imparare, che qualche anno prima era mancata al giovane Giacobello, lo indussero a dedicarsi anche ad altri progetti. E non dovrebbe essere un caso il fatto che l’imprenditore ricordi esattamente il momento in cui, a Natale, era "sfinito dal lavoro" seduto su una panchina del Tuchlauben, guardando un'agenzia di viaggi, e diceva a un amico: "Sarebbe l'angolo perfetto. Immagina di fare un ristorante italiano qui. Proprio nel centro di Vienna.”
Due anni dopo, Giacobello e i suoi soci in affari ottennero questo spazio. Nel giugno 2002 il primo giro di prova della nuova apertura: “Abbiamo dovuto chiudere il ristorante alle 21:00 perché la gente faceva la fila.” E cosa spiega il continuo successo di Fabios oggi, quasi 20 anni più tardi? "Sono finiti i tempi delle sale formali, dove non osi chiedere abbinamenti arditi perché il vino rosso sta notoriamente male con il pesce. Anche gli ospiti sono diventati più critici, viaggiano di più e sanno che sapore ha la buona cucina nel rispettivo paese”.
Design, buona cucina e buon servizio: va da sé che questi elementi resistano alla prova del tempo; lo sa anche Giacobello, l'ex personaggio selvaggio e indisciplinato: “Non ci siamo mai adagiati sugli allori. Siamo rimasti con i piedi per terra. Forse è per questo che siamo ancora sempre al completo”.