Le ultime su Alchemist, epicentro high-tech dell’avanguardia mondiale: ecco i 7 segreti di uno dei ristoranti più cool del mondo, dall’ospitalità invisibile all’attivismo con dispense autoprodotte, dalla selezione del personale per temperamento alla strumentazione psicologica e alla filosofia open-source.
Nella prosa grigia dell’area portuale di Copenaghen, nessuno si aspetterebbe che quel magazzino dismesso immetta in uno dei ristoranti più esclusivi del mondo, per quanto sia maestoso l’ingresso dal portone sbalzato in bronzo, a firma di Maria Rubinke con dedica a Dante Alighieri (“I found myself within a forest dark”). Invece è qui che comincia un’esperienza gastronomica dirompente, al tempo stesso polisensoriale e socialmente impegnata. Durerà da 4 a 6 ore e lascerà gli ospiti profondamente trasformati. William Drew di The Word’s 50 Best ha enucleato i sette segreti del successo dell'Alchemist, insieme allo chef Rasmus Munk e la general manager Lykke Metzger.
1)- Sartorialità dinamica del servizio: comincia al momento dell’accoglienza, con una breve conversazione che consente di mettersi in sintonia (dalla nazionalità al colore degli occhi, cui abbinare il colore di un piatto). Sulla base delle informazioni ricevute Metzger sceglie un responsabile di sala su misura, che guidi nell’esperienza.
2)- Ospitalità invisibile: dalla lounge si passa all’enorme spazio sormontato da una cupola, su cui vengono proiettati video. Qui è servita la maggior parte delle corse, a opera dei camerieri o dei cuochi, tutti con la medesima divisa (a parte il grembiule). Significa assenza di gerarchia agli occhi degli ospiti: ogni membro dello staff è in grado di servire il vino o commentare i piatti, grazie all’esteso team building, ma significa anche flessibilità e adattabilità nei ruoli. In caso di particolari sensibilità (tavoli di sommelier, appassionati di tè), le postazioni tuttavia si ridefiniscono in corsa. Banditi orologi e gioielli per evitare distrazioni. L’approdo successivo è la zona relax, dove le divise cambiano per rendere lo staff quasi invisibile nell’ambiente.
3)- Mai dimenticare il cibo: “Tutti i nostri piatti sono sviluppati in una cucina neutrale, mai nella cupola. Solo quando il cibo è finito, consideriamo le luci, il design delle stoviglie e così via”, assicura Munk. “Il cibo è la priorità, non scenderemo mai a compromessi. Può essere sfidante, ma deve essere buono”. Ogni mese entrano in carta due piatti, di nuovo conio o rivisti.
4)- Ambasciatori di attivismo: sono tanti i temi che finiscono sul piatto, dal lavoro minorile alle microplastiche nell’oceano, dall’allevamento in batteria ai senza casa. A divulgarli è lo staff, che riceve un documento di un centinaio di pagine redatto internamente da uno scrittore e zeppo di informazioni, senza mai derogare al rispetto verso la disponibilità degli ospiti.
5)- Agenti di casting: il team di sala del ristorante conta 25 collaboratori, che rappresentano una dozzina di nazionalità, tutti formati internamente nell’arco di 8 settimane; vengono selezionati per lingue e temperamento, in modo da ottenere il giusto mix fra estroversi e “information nerd”. Con soli quattro servizi a settimana (turni serali dal martedì al venerdì), il personale lavora all'unisono e non separatamente, migliorando l'apprendimento e l'intercambiabilità. "Capita di essere stanchi alla fine della settimana, perché si è dato il 100%, ma lo staff è felice di lavorare e crescere in un contesto simile. La nuova generazione non vuole solo servire un piatto di cibo: si impegna ed è orgogliosa di trasmettere messaggi importanti", chiosa Munk.
6)- Psicologia, linguaggio del corpo, coaching: dietro Alchemist ci sono saperi multidisciplinari, artisti visivi, ma anche ingegneri del suono, animatori, compositori, scrittori, industrial designer. Fra le recenti intuizioni, l’arruolamento di un coach della voce per suscitare diversi effetti. Poi ci sono il linguaggio del corpo, registrato anche sul messaggio del piatto, e soprattutto in prospettiva la psicologia, nella massima attenzione verso il dettaglio. “È interessante sfruttare diverse discipline, applicandole in cucina. L’anno scorso abbiamo lavorato molto su design e architettura, prima su arte e teatro. Prossimamente guarderemo di più alla psicologia e a come può essere impiegata nell’esperienza”.
7)- Filosofia open-source: la logica è quella di condividere il sapere e le conquiste, attraverso articoli, materiali scientifici e post, in prospettiva libri e cataloghi. “Spero che possiamo ispirare a pensare più in grande: anziché arruolare un altro chef per posizionare le erbe perfettamente sul piatto, forse è meglio un industrial designer che guardi alla tavola e alle sedute, qualcosa che interessa di più agli ospiti”.
Foto di copertina: @Mathias Svold
Foto nell'articolo per gentile concessione del ristorante