All’apice del successo, Dabiz Muñoz si appresta a diventare padre. “Sono pronto perché mi cambi la vita. Per quanto sia ancora al vertice, il concetto del successo vincolato al lavoro è per me cambiato molto. Prima era l’unica cosa che contava.” E la rinnovata serenità incide anche sulla squadra.
A 43 anni Dabiz Muñoz è l’unico cuoco a tre stelle Michelin di Madrid, ma ha incassato anche il titolo di migliore chef del mondo secondo The Best Chefs Awards, per due volte consecutive, e il terzo posto a The 50 Best Restaurants. Nel suo celebrato ristorante si affaccendano 60 collaboratori per 38 coperti, all’opera su due servizi al giorno, dal mercoledì al sabato. Effervescente la cucina: un mix di influenze asiatiche e latinoamericane, street food e ovviamente Spagna.
Tutto è iniziato quando aveva 12 anni: il padre lo portò a mangiare al rinomato ristorante Viridiana dello chef Abraham Garcia, che in quel momento era la punta di diamante dell’avanguardia in città. E fu un colpo di fulmine (“un giorno avrò un ristorante così”), prontamente gelato dal sarcasmo del padre (“sì, quando i maiali voleranno”, e di fatto il degustazione di DiverXO si intitola “la cucina dei maiali volanti”, metafora dell’impossibile che diventa realtà). Da qui l’inizio di una sperimentazione permanente in casa, con l’associazione di ingredienti sempre nuovi, non sempre riuscita. Ma lui non si perdeva d’animo. “Ho sempre saputo che sarebbe stato il mio destino”.
Di recente è finito nell’occhio del ciclone per la scelta di alzare il prezzo del menu degustazione da 250 a 365 euro, così giustificata: “Il buon cibo è l’esperienza di lusso più accessibile che si possa vivere oggi. Se vai a un recital o a vedere il Real Madrid, paghi un biglietto che può partire da 250 euro e né il calcio né la musica sono roba da ricchi. Io ho mollato tutto per cucinare. Tutto significa famiglia, amici, tempo libero. Ho sofferto, perseguitato dal fantasma della perfezione e del successo. Mi alzavo prestissimo ed ero sempre in ansia. Pesavo trenta chili più di oggi: mangiavo voracemente, perché il mio rapporto col lavoro era molto tossico. Avevo iniziato giovanissimo, i riconoscimenti erano arrivati troppo presto e quando ho ricevuto la terza stella, l’atmosfera nel mio ristorante era insopportabile”. “Vengo da una generazione cui è stato insegnato che un tre stelle deve avere una struttura militare. Un giorno mia moglie Cristina mi ha visto arrabbiarmi, gridare, sferrare un pugno sul tavolo durante il servizio, qualcosa di normale per me, un uomo educato per essere macho. Stavamo insieme da tre mesi e mi ha avvertito: ‘Dimmi se sei quello che ho appena visto, perché in questo caso scappo via’. Col passare del tempo ti rendi conto e dici: ‘Accidenti, aveva ragione’. Ora qui non si sente una voce, la gente che lavora con noi vuole fermarsi perché sta bene. Staremo facendo qualcosa di giusto”.
Dopo avere soddisfatto ogni ambizione, ora le priorità sono altre. “Mi importa che siamo buoni dentro come fuori. Voglio che la mia squadra si senta importante come i commensali. Non puoi dire ai ragazzi di sala di fare i magnifici con i clienti, se tu noi non lo sei con loro: non vale il ‘trattateli da re e date il culo’”. Fra un anno poi DiverXo traslocherà in una casa in mezzo al bosco a venti minuti da Madrid. “Sarà qualcosa di incredibile per il cliente, ma anche per il personale, che potrà usufruire di una grande mensa e di una veranda. Non sono la stessa persona e lo stesso cuoco di quando ho iniziato. Voglio tornare a rompere le regole, che la gente che va fin lì dica: ‘Che bastardo, l’ha fatto di nuovo’. Ma in un luogo più grande, circondato dal verde, dove c’è pace. Sarà l’età”.
“Passo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, a cucinare con la testa, facendo combinazioni, testando cose. A volte preparo un piatto avendo provato gli ingredienti solo separatamente. Ma so che funziona. Sto ai fornelli perché mi piace, mi costa molto chiudermi in una stanza a fare creatività. Preferisco parlare con la brigata: ‘Facciamo questo, o meglio quell’altro’, mettere tutti sottosopra, e a questo livello di creatività mi riesce molto bene”. Ora però le vecchie abitudini saranno sconvolte dalla paternità imminente. “Sono pronto perché mi cambi la vita. Voglio organizzarmi bene, stare con mio figlio, godermi la sua crescita. Mi sono sposato a 27 anni, oggi ne ho 43 e per quanto sia ancora al vertice, il concetto del successo vincolato al lavoro è per me cambiato considerevolmente. Prima era l’unica cosa che contava. Ora continua a essere la mia passione, ma negli ultimi anni mi sono reso conto con l’aiuto di una psicologa che la vita è molto più del lavoro. Che viviamo solo una volta e bisogna cercare l’equilibrio. Sono felice di diventare padre, sono felice quando passeggio con mia moglie e i miei amici. E più sono felice, meglio cucino”.
Foto di copertina: @Raùl Martinez