Storico giurato di Masterchef Spagna, lo chef stellato Pepe Rodriguez non dimentica la ristorazione popolare in cui affonda le radici. “Si può vivere con e senza stella, a prescindere dai ranking. Un ristorante non lo scelgo certo per i punteggi”.
L'opinione
Non è molto famoso all’estero, Pepe Rodriguez, ma in Spagna è ormai una celebrità. Non tanto per la stella Michelin, che ha agguantato nel 1999 e non ha più perduto nel ristorante di famiglia, El Bohio a Illescas, quanto per la partecipazione di lunga data in veste di giurato a Masterchef, che ha fatto di lui un volto familiare agli spagnoli. Non c’è traccia di snobismo, quindi, nel suo approccio alla professione. “Si sono persi alcuni aspetti del ristorante per la competizione estrema che ha generato Michelin”, riflette, lodando l’apertura della guida alla ristorazione quotidiana.Oggi che il successo è arrivato, lui, che è entrato nel ramo un po’ per caso, spinto dal desiderio di salvare la trattoria familiare sulla Madrid-Toledo, si guarda bene dal montarsi la testa. “Continuo a non avere la pretesa di essere qualcuno. È vero che dopo molti anni di lavoro con gente importante e apprendimento da mille problemi, difficoltà e gioie, ho il ristorante che ho, molto ben considerato, e lo sono anch’io. Ho l’enorme fortuna che questo accada nella cucina dove lavorava mia madre, quando nessuno veniva a dirle che era un’artista. Ma la società cambia, come le prospettive. Oggi viaggiamo molto di più, ci interessa dove andremo e dormiremo, cosa faremo e mangeremo. È una fortuna essere nati in una generazione che valorizza questi aspetti, dove il cuoco non è più un reietto. Ma non mi sogno di essere il migliore della Castilla-La Mancha e neppure del mio paese”.
“La cucina ha molto dell’artigianato. Se per arte intendiamo qualcosa che può commuovere, stimolare, fare pensare e vedere la vita in un’altra maniera, non so, a volte succede anche in cucina. Se pensi che sia qualcosa che va oltre il cibo, dipende dai cuochi, dai ristoranti e dai luoghi. Ma non mi azzarderei mai ad affermare che la cucina sia un’arte. Se convive con altre discipline, come è successo ai fotografi, fra qualche anno potrebbe essere naturale chiamare ‘artista’ un cuoco. Nella cucina spagnola attuale e di gran parte del mondo c’è molta radicalità. Ci sono cucine artistiche e di avanguardia meravigliose. Ma in primo luogo nel mondo in tanti hanno ancora problemi a sfamarsi come a parlare di arte. Poi nei paesi sviluppati la cucina ha preso una piega più edonistica. Sarà il tempo a dire se ha senso viverla in questo modo e continuare a sostenere o agire al fine che la società comprenda che la gastronomia, il cibo sono parte della nostra cultura”.
Michelin e Masterchef sembrano due mondi lontani. Ma è davvero così? “La guida Michelin ha una lunga storia, cosicché il suo modo di lavorare è cosa nota, ci sono aspetti positivi e negativi. Esistono ristoranti che non hanno né tre né due, né una stella Michelin e sono fantastici e geniali. Non è necessario seguire i dettami della Michelin, che ha la sua politica. Io vado al ristorante indipendentemente dai punteggi. Masterchef, dal canto suo, è servito a far parlare della stessa Michelin, che era ancora sconosciuta agli spagnoli, tranne quattro gatti”.
Il prezzo da pagare, tuttavia, è alto. “Un’ossessione! Ci sono cuochi che vivono per le stelle, è il loro tormentone e il loro modo di intendere la professione. A volte perdono un po’ il polso degli affari, che si tratta di un ristorante e di fare da mangiare. Ma c’è vita con e senza Michelin, a prescindere da piazzamenti in classifiche, dietro le quali può esserci la comunicazione. Viviamo nel mondo in cui viviamo, non dobbiamo dare troppa importanza alle stelle o ai ranking. Conta che il cliente si alzi soddisfatto, che tu vada a casa con la sensazione di aver lavorato bene e che domani potrai farlo ancora meglio. La domanda è ‘ci tornerei?’ Invece molti vanno al ristorante solo per dire ‘ci sono stato’”.
Fonte: cronicaglobal.elespanol.com
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Foto: Crediti El Bohio