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La notizia
Se c’è un ristorante che negli ultimi anni ha rinnovato i registri della cucina di mare, è sicuramente Aponiente, il tre stelle di Ángel León a Cadice. Anche quest’anno lo “chef del mar”, come è stato soprannominato, continuerà a stupire, utilizzando ingredienti acquatici per il salato e anche per il dolce, compreso un paio che ha lanciato in prima persona: il plancton e la zostera marina. Coerentemente con un impegno per la sostenibilità, che da queste parti ha preceduto le mode.La sperimentazione, tuttavia, non è la stella polare del suo pasto. “Non mi piace perdere il nord”, scherza. “Aponiente potrebbe essere molte cose, un centro di ricerca sul mare, un luogo dove si riflette sul futuro dell’alimentazione. Ma alla fine sono un cuoco e la vita mi ha insegnato che la gente non viene qui ad ascoltare le mie storie, se mi sono alzato alle quattro, se ho scoperto questo o quello… La gente viene a mangiare, inzuppare il pane e bere e non possiamo scordarlo. Ogni volta cerco di raccontare di meno e dimostrare di più con la cucina e i propositi di Aponiente. È un ristorante dove vai ad assaggiare il mare come non l’hai mai provato, mai come pensavi. Sicuramente tutti quelli che arrivano, credono che daremo loro ostie marine e faranno la faccia corrucciata. A forza di perdere clienti, la vita mi ha insegnato a non essere troppo radicale, che bisogna smettere per un po’ di pensarsi cuochi e porsi nei panni dei commensali. È ciò che faccio da qualche anno. Se riesco a far sì che la gente dimentichi la sua vita per tre ore, è un successo. E se uscendo non ricorda tutti i piatti, ma che l’insieme l’ha resa felice, sta bene!”
“Alla fine, la vera avanguardia (che non significa mescolare ingredienti o fondere cucine, ma fare cose mai tentate) non viene capita e nasce molta sofferenza, ci si sente soli. Mi è sempre successo. Quando usavo i pesci che si buttavano via per gli insaccati di mare, mi davano del mistificatore, come se servissi il peggio ai clienti. Quando poi ho scoperto il plancton, dicevano che sottraevo il pasto alle balene. Ora che ho lanciato un cereale marino, nuovo per l’umanità, quasi nessuno mi ha aiutato. Si spendono milioni per arrivare sulla luna, si ripete che nel mondo mancano le proteine e dovremo mangiare gli insetti. Non capisco come diavolo non si accorgano che abbiamo scoperto un grano del mare, una proteina inedita! Arrivo alla conclusione che non si voglia disturbare l’ecosistema del business che muove il pianeta”.
“Invece io sono persuaso che abbiamo aperto una finestra alla scienza. Forse ancora qualcuno non si rende conto, ma nel giro di quindici anni saremo obbligati a reinventarci, la terra si sta esaurendo e questa può essere una soluzione. Il principio della sostenibilità è amare la natura. A partire da questo, tutto ciò che fai sarà buono, anche andare dal benzinaio. Alla fine, ci persuaderemo tutti di essere sostenibili… Neppure la parola ‘creatività’ mi piace, credo sia abusata e poco rispettata. Con i miei preferisco parlare di ‘fantasia’, mi sembra più nobile, infantile, originale. Incontro molta gente che sostiene di essere creativa, ma chi lo è veramente, non lo dice. È una forma di vita, un crash, un vento. E io ho avuto la fortuna di essere circondato da gente così. Quando ho fame di cose o sono arrabbiato, la chiamo. Ma non siamo meno creativi di un tempo. Piuttosto la nostra cucina è sempre più saggia, pesante, seria, profonda e trascendente. Non facciamo avanguardia, quello sì”.
“Sono ubriaco, il mio ego è sepolto dai premi, fino alla morte. La vita mi ha regalato più di quanto sperassi e mi sento appagato. Se poi ne arriva un altro, ben venga. Mi hanno tutti entusiasmato, mi è piaciuto e mi piace condividerli con i miei, ma durano 24 ore. Il giorno dopo li abbiamo già dimenticati. Non tengo statue né trofei, preferisco regalarli. Non voglio che una visione mi faccia pensare che ho già venduto il mio pesce”.
Fonte: Esquire
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