Roberto Ottini è il volto della cucina italiana in Argentina. Presenza assidua sugli schermi televisivi, dopo il Belpaese ha lasciato anche New York, dove “manca il valore umano e non lo puoi comprare”.
La storia
Siamo abituati a pensare l’emigrazione dei nostri cuochi come un fenomeno recente. Ma non è così. Storie come quelle cui assistiamo ogni giorno, sono sempre accadute. Storie come quella di Roberto Ottini, partito da un piccolo paese in provincia di Cremona, Soresina, e baciato dal successo a Buenos Aires. Non succederebbero, forse, se la cucina italiana fosse meno popolare all’estero. Soresina, dicevamo. La farina e i profumi erano nell’aria di casa, più per amore che per professione. C’erano il nonno pasticciere, che scolpiva chiese di marzapane, e la nonna gran cuoca, che lasciava sbuffare lungamente la polenta sul fuoco. “Occorreva tanto tempo, perché ci mettevano tanto amore e il risultato era nel piatto. Quando ero ragazzo, il pasto era una scusa per riunire la famiglia, probabilmente tutto questo mi si è impresso nella testa e mi ha ispirato”. Ogni domenica, però, c’era il risotto con l’ossobuco della mamma, piatto del cuore che Ottimi ama replicare per gli habitué.“Sono arrivato a New York per un sogno nel cassetto, di quelli che in tanti custodiamo. Era il primo dicembre 1989, feci un colloquio con il noto ristorante Paper Moon, che stava per aprire una succursale negli Stati Uniti”. Dopo 24 ore, ecco la telefonata del destino, con la proposta di volare oltre oceano. “Ed è stato l’inizio di un’esperienza che mi ha aperto la mente”. A ventisette anni Ottini ha venduto la macchina, cercato il passaporto e convocato i genitori per l’annuncio. “Sono arrivato a New York senza sapere l’inglese, mi sono fatto capire e ho preso un taxi. Non dimentico la scena: passato il ponte, ho visto i grattacieli e sono stato tutto il tempo con la testa fuori dal finestrino. Con una fascinazione, un amore, un orgoglio, una paura, tutto quello che può provare chi viaggia lontano dalla famiglia in un paese sconosciuto. Sono arrivato a New York innamorato”.
È seguito l’impiego al Cipriani, dove ha continuato a servire i vip, anche se non c’erano ancora gli smartphone per immortalare i momenti magici. Per esempio, Sylvester Stallone, Woody Allen e Madonna, che lo faceva impazzire con la dieta a base di mirtilli. Dopo sette anni, tuttavia, è venuto il momento di divorziare da New York. “C’è tutto quello che puoi desiderare, sempre che tu abbia i soldi, ma manca il valore umano e non lo puoi certo comprare. La città ha iniziato a starmi stretta”. Proprio in quel momento Cipriani stava aprendo a Buenos Aires: i giochi erano fatti.
“Nell’Argentina del 1997 c’era un’altra mentalità. Conoscevi qualcuno, ti invitava a casa e ti diceva: ‘Qui c’è il frigorifero, lì il bagno, lì la camera da letto, se bevi ti fermi a dormire e domani torni a casa’. Uscivamo dal ristorante e con la brigata giocavamo a palla usando una cassa di birra. Non ho avuto dubbi: era il mio paese! Riconosco di avere avuto i miei momenti difficili, ma sempre col desiderio ben saldo di fermarmi e non tornare indietro”. Il paese l’ha premiato col successo: oggi Ottini è un volto televisivo, attore perfino di telenovelas, e vanta 100mila follower sui social.
La cucina, tuttavia, resta italiana, anche se dopo la crisi del 2001 è diventato difficile procacciarsi certi prodotti. “Allora ho sentito di poter fare la differenza, compensando le mancanze con le capacità, in un paese dove non si produceva una sola mozzarella”. Va in scena nel suo nuovo ristorante Girardi, dotato di cantina per l’affinamento di salumi italiani e argentini. “Se invece fossi rimasto a vivere in un paesino di diecimila anime, come scorrerebbe la mia vita? Qui è bellissima, non per i soldi, ma perché la vivo intensamente. Trasmetto amore in ciò che faccio, perché lo amo davvero”.
Fonte: La Nacion
Trovi qui l'articolo cliccabile