Il ristorante di Rho, poco fuori Milano, è il manifesto culinario di un autodidatta capace, tra tradizione campana e avanguardia tecnica.
Identità e istinto: il racconto contemporaneo di Gaetano Marinaccio a La Cucina: non il solito ristorante
Rho non è certo la prima destinazione che ci si aspetterebbe per un’esperienza gastronomica “interessante”. Ma La Cucina è un progetto gastronomico che rompe gli schemi della provincia per affermarsi come luogo di cucina identitaria, intensa, evocativa.
Il locale
Il luogo è raccolto, intimo, pensato per far sentire l’ospite al centro. Solo una ventina di coperti, distribuiti in una sala luminosa dove i dettagli raccontano una cura autentica: quadri tra il pop e il classico alle pareti, tovagliato bianco che rievoca una certa idea di eleganza familiare, un servizio che parla sottovoce ma sa essere preciso e presente.

In sala c’è Nadia Petronio, compagna di vita e d’impresa di Gaetano, che con dolcezza e attenzione accompagna il percorso gastronomico. Entrambi arrivano dal mondo del turismo e dell’hôtellerie, e si sente: nell’accoglienza misurata, nella naturalezza del gesto, nella capacità di creare una bolla fuori dal tempo. A pochi minuti dal ristorante, gestiscono anche un piccolo B&B, dove coltivano germogli, fiori eduli e ortaggi che poi ritrovi nei piatti. È un’estensione concreta della loro visione: accogliere, nutrire, prendersi cura.

Lo Chef: un napoletano con visione globale
Un ristorante che è anche il prolungamento naturale della visione e delle radici di uno chef, Gaetano Marinaccio, che si è fatto da solo, senza formazioni, pur riuscendo a raggiungere in pochi anni interessanti traguardi con il suo locale. Campano di nascita, lombardo d’adozione, Gaetano Marinaccio trasforma la sua origine napoletana in linguaggio contemporaneo, senza mai perdere di vista la sostanza.

La personalità del locale è profondamente legata alle origini partenopee dello chef, che porta nel cuore della Lombardia i sapori della sua terra natia, rivisitandoli con estro creativo e tecnica. Ciò che colpisce è la capacità dello chef di raccontare storie attraverso i suoi piatti: ogni portata è un capitolo di un racconto gastronomico che parla di territorio, di stagionalità, di memorie familiari e di sperimentazione.

Il percorso gastronomico
Il viaggio comincia proprio da Napoli, con un benvenuto che è tutto un piccolo manifesto d’origine: scaroline ripassate che profumano d’amaro e di casa, una stracciatella in carrozza calda, colante, dove la croccantezza si fa complicità con la morbidezza del cuore, e poi i taralli napoletani, friabili, intensi, accompagnati da pane da scarpetta e da un sugo che sembra uscito da una domenica d’infanzia. Completa il quadro un salame da maialino bianco sannita, sapido, elegante, che prepara il palato con una rusticità nobile.

Poi si vira, con misura, verso altri mondi. Arriva il piatto intitolato Mollusco marinato, dove una capasanta al cedro incontra un ciclottero al nero, concentrato di mare e umami, con le fave fresche a chiudere il boccone in una nota verde, dolceamara. È un antipasto costruito con leggerezza e profondità insieme, giocato sulla verticalità dei sapori e sull’equilibrio tra grassezza e freschezza.

A seguire, un gioco semantico e sensoriale: Tonno di terra. In realtà è scottona, cotta lentamente nell’olio, tenera, succosa, che dialoga con un uovo cotto a 64° e una patata affumicata che regala una carezza rustica e avvolgente. Un piatto che pare semplice, ma ha dentro tutto: tecnica, comfort, intelligenza. Il piatto intitolato Viaggio in UKR sorprende per costruzione e carattere. Una composizione insolita di pollo, gallinella, barbabietola, panna acida e aneto, che lavora su toni acidi, terrosi, marini anche, evocando suggestioni slave e baltiche senza scimmiottare nulla. È una tappa coerente con il percorso ma capace di spostare l’asse del racconto altrove, senza perdere il filo.


Con i Vermicelli di mare si ritorna al Mediterraneo, ma attraverso una lente contemporanea. La pasta di Gragnano IGP, perfettamente al dente, è avvolta in un burro d’alghe che profuma di battigia, con accenti di miso per dare profondità fermentata e un tocco di limone che illumina il tutto. Un piatto che riesce a essere tecnico e familiare, moderno e ancestrale allo stesso tempo. Elegante ma goloso e soprattutto, vegetariano pur essendo un piatto di mare.

Poi arriva il Risotto giallo, che si presenta senza retorica ma è chiaramente il piatto-firma dello chef. Il riso – Tenuta Margherita – è portato alla perfezione, mantecato con un parmigiano stagionato 100 mesi che dona sapidità nobile e concentrata. Il polline aggiunge una nota floreale che sa di campo, la fava tonka profuma in modo sensuale, e l’estratto di cipresso dà un colpo di scena aromatico, quasi balsamico. Un risotto che vibra, che cambia a ogni forchettata, e che resta impresso.

La Giovenca sannita rappresenta il picco di forza e struttura del menu. Una carne importante, saporita, che viene accompagnata da una demi-glace profonda, lucidissima. Al piatto si aggiungono topinambur fermentati, per una spinta acida e vegetale, e nocciole tostate che aggiungono croccantezza e rotondità. Si vira verso il dolce con un pre-dessert freschissimo, una crema che rilegge la pastiera napoletana nei suoi profumi fondamentali – grano, ricotta, agrumi – ma in forma soffice e moderna. A bilanciare, una granita alla mela verde acidula e pungente, e un tocco di salvia fresca.

E poi, il gran finale: il Bab(b)à, scritto con doppia “b” per doppia identità – classico e contemporaneo. Lievito madre, tre lievitazioni, una bagna alla creola che sa di rum e spezie, e una crema diplomatica vellutata, arricchita da lamponi freschi che spingono con la giusta acidità. A chiudere, una piccola pasticceria colorata e giocosa, fatta di mignon, bonbon, cioccolatini, morbidezze e croccantezze che lasciano il palato felice. Un finale pensato con lo stesso spirito con cui si è cominciato: accogliente, sincero, coinvolgente. Un’esperienza che dimostra come la grande cucina non abbia bisogno di clamore, ma di verità. E di uno chef che sappia raccontarla.

La Cucina: non il solito ristorante
Via Porta Ronca, 86, 20017 Rho MI
t. 02 8717 8606