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Fenomeno Jordnær, dai debiti alle 3 stelle Michelin: il gourmet nato in un seminterrato

di:
La Redazione
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Un inizio fra i debiti, un futuro luminoso: come Eric Kragh Vildgaard ha raggiunto le 3 stelle.

Crediti fotografici: @RAISFOTO

La storia

C'è una storia che risuona con la forza di un'epopea, quella di Eric Kragh Vildgaard. Una storia non di fiaba, ma di cruda realtà e trionfo personale, che lo ha visto emergere dalle ombre più profonde per ascendere all'olimpo della gastronomia mondiale. Prima ancora di affinare un coltello, Vildgaard ha imparato l'arte più difficile: quella della sopravvivenza.

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"Non ho problemi a parlare di chi ero", ha dichiarato a La Vanguardia lo chef del Jordnær, tre stelle Michelin a Copenaghen. "Ero un criminale. Un uomo violento. Vivevo di rabbia. Nessuno mi ha insegnato altro. Non sapevo cosa fosse l'amore, conoscevo solo la paura". La sua casa erano le strade, il suo ambiente le bande giovanili, i furti, la criminalità organizzata. E, inevitabilmente, la prigione. "Ero il tipo che non volevi incrociare di notte", spiega con una lucidità disarmante. Il seme del suo destino, tuttavia, germogliò in un luogo inaspettato: a bordo di una nave. La noia, quella scintilla inattesa, lo spinse a scendere in cucina e preparare qualcosa. All'epoca, però, la strada lo teneva ancora saldamente in pugno.

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Oggi, il copione è stato riscritto. Eric Kragh Vildgaard è il genio creativo dietro Jordnær, uno dei ristoranti più celebrati d'Europa, un faro di eccellenza culinaria con tre stelle Michelin e una reputazione impeccabile. La sua ascesa è stata sigillata quest'anno dal terzo posto ai prestigiosi Best Chef Awards. Un successo che, per molti, avrebbe spinto a celare le ombre di un passato scomodo. Ma non per Vildgaard. Per lui, la sua storia è un inno alla redenzione, un libro aperto che narra di una trasformazione radicale. 

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La luce che ha squarciato le tenebre di Eric ha un nome: Tina Kragh. La sua compagna di vita e d'affari, regina della sala di Jordnær, è stata la prima a vederlo con occhi privi di paura, a credere in lui quando nemmeno lui riusciva a riconoscersi. Tina non è stata solo la sua "salvezza", ma la sua complice, la sua socia, la donna che lo ha incoraggiato a inseguire il sogno di un ristorante quando nessuno gli avrebbe concesso un centesimo. "Non avevamo soldi, solo debiti. Ma quello che avevamo era una fame di cambiamento. E questo ci bastava. Siamo entrambi molto testardi", afferma Vildgaard, una dichiarazione che testimonia la forza indomita del loro sodalizio.

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Prima di fondare Jordnær, Kragh ha affinato le sue abilità in cucine di primo livello, incluso il celebre Noma. "Ho lavorato lì per un po', ma non è durato a lungo. René (Redzepi) sapeva da dove venivo. Lo sapevano tutti. Eppure, mi ha dato un lavoro. Non mi ha licenziato per quello che avevo fatto, ma non ero pronto per stare lì. Avevo ancora la rabbia dentro", ammette con sorprendente onestà, delineando un percorso di maturazione personale che non si è esaurito con l'ottenimento di un posto in cucine stellate. Dunque Jordnær, che in danese evoca il concetto di "con i piedi per terra", ha preso vita nel 2017 nel seminterrato di un modesto hotel a Gentofte, un quartiere residenziale tranquillo e ordinato alla periferia di Copenaghen. Una sede che, all'apparenza, cela la sua grandezza, ingannando chi non si aspetterebbe di trovare un tempio della gastronomia a tre stelle Michelin. Trasferirsi? Ora che è arrivata la fama, la coppia potrebbe, ma non vuole: prevale il legame affettivo col posto da dove tutto è iniziato.

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La cucina di Kragh è un vero e proprio crogiolo di influenze, un'armoniosa fusione di tradizioni nordiche, francesi e giapponesi che si sposano con maestria. "La mia cucina è una lingua che ho imparato a poco a poco, come uno straniero che arriva da qualche parte senza parlare", spiega lo chef, rivelando di non aver mai frequentato scuole di cucina e di aver costruito il suo sapere attraverso la sola esperienza e l'intuizione. "Ha una base francese, perché è la tecnica che mi sostiene; un cuore nordico, perché è ciò che sono; e un'anima giapponese, per la sua purezza e il suo silenzio. La prima volta che ho visitato questo Paese, ho imparato da loro a non fare più del necessario", conclude Kragh, dipingendo il ritratto di una cucina che è la fedele espressione di una vita straordinaria, di un uomo che ha trasformato le sue cicatrici in stelle.

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