In occasione della pubblicazione del loro ultimo libro, CCR, quattro chili di filosofia e impegno, i fratelli Roca si raccontano, dalla guerra alla timidezza di Jordi alla proiezione nel futuro, al fianco della quarta generazione.
La notizia
Non accenna a declinare la parabola dei fratelli Roca, stabilmente allo zenit da almeno vent’anni. Ora arriva l’ultimo libro, intitolato CCR (come l’acronimo del ristorante), opera di grande formato che pesa quattro chili, in cui le 150 ricette sono quasi un apparato da relegare alla fine. Elaborata nell’arco di un biennio, è focalizzata su problematiche filosofiche, impegno e processo creativo. “Durante la pandemia abbiamo avuto tempo per pensare e raccogliere informazioni. Abbiamo deciso di scrivere un altro libro che riflettesse su ciò che è successo in questi anni”, illustra Joan.
Il cervello del ristorante è la Masia, centro di Ricerca e Sviluppo, dove la R sta per Roca, ovvero rischio, radici, ricreazione. Qui, in una dimora catalana tradizionale di fine Ottocento, hanno sede un laboratorio scientifico e una cucina per le prove, dove ogni martedì si tengono lezioni per gli stagisti; ma è anche il luogo degli incontri con Imma Puig, psicologa che si occupa di gestire le tensioni intrinseche alla ricerca dell’eccellenza.
Il pasticciere Jordi Roca, il più giovane dei tre fratelli, commenta: “La nostra cucina parla della progressione dell’avanguardia estrema. Siamo tre fratelli con le nostre complicità e ciò che abbiamo realizzato è stato una casualità meravigliosa, frutto di una squadra meravigliosa. Ci vogliamo bene, ma dietro il ristorante, che è in marcia da cinquant’anni, c’è la squadra, che è già famiglia. Lavoriamo con gente che non meritiamo e che ci accompagna, abbiamo cercato la conciliazione perché possa avere una vita soddisfacente fuori dalla cucina. Che fortuna abbiamo avuto! E oggi gli ospiti arrivano al ristorante col desiderio di divertirsi, quindi la partita è già mezza vinta. Mentre prima c’erano aspettative, diffidenza. Prima mi facevano paura, mi sentivo sotto pressione. Stavo sempre male, li vedevo come l’altro da me. La cucina era la mia barriera e al momento di salutare, mi nascondevo”.
“Abbiamo voglia di andare avanti”, sopraggiunge Joan. “Non abbiamo perso il senso dell’umorismo, che è fondamentale, soprattutto in questi progetti. Il nostro ristorante ha 47 anni di storia; la cucina è audace, anticonformista, parla di creatività e innovazione. Ha dato frutti insperati, perché credimi: ciò che è successo, non era nel copione. Volevamo solo fare ciò che ci piaceva nel migliore dei modi. Tutto ciò si è consolidato ed è destinato a proseguire. Gli ultimi dieci anni, poi, sono quelli in cui ci siamo strutturati, perché abbiamo iniziato con quattro tavoli, quattro sedie e qualcuno in cucina. Ora, con la struttura che abbiamo, possiamo fare molte più cose. Il Celler andrà avanti con noi tre e con la nuova generazione, che già ci affianca”.
Fonte: Elle
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