Un duetto fuori dal coro che riscrive le regole della classica cena a 4 mani: questa la proposta di Francesco Vincenzi e Marco Ambrosino nella prima tappa di Franceschetta58 On Tour.
L'evento
Gli chef e la cena
Di Francesco Vincenzi, trentenne chef della Franceschetta, abbiamo scritto di recente. Un posto dove si sta molto bene, in cui l’impronta di un genio conclamato come quello di Massimo Bottura si sente proprio perché, al di là di un indirizzo generale mirato a una qualità che dev’essere fuori discussione, l’autonomia nelle decisioni gastronomiche è garantita.
Allora, Franceschetta on tour, come racconta Vincenzi in occasione della prima data modenese del percorso, “nasce dal fatto che Franceschetta è un ristorante giovane e sempre in crescita. Da qui l’idea di approcciarsi e fare serate a quattro mani con altri ristoranti distribuiti in tutta Italia, per parlare della nostra filosofia legata al territorio di Modena e dell’Emilia-Romagna, accostandola ad altri pensieri e altre origini per crescere, non solo a livello di ingredienti ma anche di tecniche e di visioni.”
Il primo ad affiancarsi a Vincenzi è stato Marco Ambrosino, procidano, il quale dopo una decina d’anni trascorsi a Milano al 28 Posti, uno dei luoghi gastronomici più interessanti della metropoli meneghina, è tornato in Campania a Napoli per costruire una nuova realtà la cui apertura è prevista per la fine di quest’anno.
Presentandosi a Modena lo chef ha detto: “Al di là della retorica di una cena a 4 mani, che come molti addetti ai lavori sanno è una cosa rischiosa (che spesso si risolve in un compitino ben eseguito ma nulla più – n.d.r.), in realtà questo è un incontro di persone che per la maggior parte del tempo stanno chiuse in cucina e quando poi hanno l’opportunità di trovarsi possono raccontare il manifesto di quello che è la cucina, perché essa va contro tutte le fesserie che si dicono in questi periodi. La cucina non tiene conto, e anzi contraddice, il concetto stesso di origine, perché è difficile trovare l’origine di un piatto, di una preparazione. L’origine la cancella (e con ciò si abbatte ogni barriera); in questo periodo storico è una cosa da tener conto e moltiplicare.”
Del resto, Ambrosino, magistrale nella gestione di uno stile personalissimo e con un passato che l’ha portato prima di Milano da un inizio come plongeur alle cucine del Noma, ha fondato il Collettivo Mediterraneo. Si tratta di un progetto interdisciplinare tra professionisti in diversi ambiti nato durante la pandemia, nel cui manifesto si possono leggere le sue stesse parole: “Il collettivo mediterraneo è un progetto di inclusione sociale e culturale. Crediamo nel cibo come gesto sociale, fatto dalle persone per le persone. Partecipare al dibattito globale sul cibo attraverso questi temi sarà la sfida del Collettivo.”
E ancora: “Il Collettivo si propone di raccontare la multiculturalità del bacino che ci ospita, la biodiversità, le esperienze di donne e uomini che hanno costruito la nostra storia come abitanti del Mediterraneo. La salvaguardia dei mari e del suolo, la promozione della pesca etica, dei produttori, degli allevamenti e dell’agricoltura sostenibile, la divulgazione delle culture del Mediterraneo, saranno temi centrali del Collettivo. Il veicolo di questo racconto sarà il mondo della cucina e del cibo tramite i suoi interpreti, narratori e osservatori.”
I piatti
Un approccio etico forte, così com’è stata incisiva la cena proposta dai due cuochi a Modena, i quali si sono alternati con piatti di notevole gusto. A partire dall’entrata del padrone di casa con il suo storione leggermente scottato e avvolto nella rete di maiale, completato con un ricco fondo di pianura a base di carne pesce e verdure, tra grassezza e succulenza.
Di Ambrosino buonissima la minestra di pesci poveri con base di sgombro marinato in una miscela di tè, acqua sale e zucchero, arricchita da un olio mediterraneo aromatizzato con erbe spontanee, grani fermentati e un raviolo di sedano rapa e arachidi: un gioco armonico e pieno di gusto nei suoi contrasti tra morbidezze, acidità e note sapide.
Minestra di pesci poveri con base di sgombro marinato in una miscela di tè, acqua sale e zucchero
Dalla mano di Vincenzi il gioco sul cavolfiore, servito alla brace con la sua polvere, una crema dello stesso ortaggio marinato e un brodo di cavolfiore bruciato da alternare tra i bocconi.
Cavolfiore alla brace con la sua polvere, una crema dello stesso ortaggio marinato e un brodo di cavolfiore bruciato
Ancora l’inconfondibile stile di Ambrosino, in cui le acidità trovano un ruolo di spinta imprescindibile, con gli spaghetti a cui vengono aggiunte un’estrazione di acqua di pasta fermentata e una spolverata di un saporito miso di legumi.
A seguire, della Franceschetta, l’ottimo pâté di fegato di faraona ripieno di confettura di cipolla rossa.
Squisito e dall’insolita consistenza, di Ambrosino, l’agnello cotto in acqua e fieno e poi arrostito e servito con olio di mirto e una purea di ceci.
Davvero interessante (e pure buonissimo), infine, il dessert ‘corale’ mandorla e tumminia, sulla base di una gelatina di topinambur con un sorbetto alla mandorla, cialda di tumminia lavorata come cacao e olio extravergine d’oliva.
Riuscito anche il percorso di abbinamenti enologici, con piccoli vignaioli a tendenza naturale della provincia di Modena ma anche con escursioni in Piemonte, Toscana e Francia, grazie alla bravura di una sala composta da ragazzi molto affiatati.
Foto di Cinefood