Buttarsi a capofitto, per Richard Abou Zaki, non è uno sport estremo: gli viene naturale, come due tiri a padel. Ma non stiamo parlando di approccio amatoriale, qui si va oltre l’agonismo. Vi raccontiamo la sua performance da Retroscena.
Retroscena
Richard, non pensare mai ai soldi, perché se lavori bene i soldi arrivano. Bottura dixit a colui che ha preso il volo dalla cucina della Francescana a 23 anni e si è imbarcato come stagista imprenditore sulla costa marchigiana. Il re chiama e tu che fai, ti guardi in giro e poi “grazie ma no, grazie”. Rifiutare un’investitura da Bottura non è da tutti, tanto meno se la controproposta è quella di seguire l’invito di un amico/collega conosciuto quando alla Francescana eravate in stage insieme, e che ha un bistrot in centro a Porto San Giorgio e una trattoria all’interno dello chalet Sombrero, sull’Adriatico (scopro che in quella zona della Marche non si dice bagno o bagnino ma chalet).L’amico è Pierpaolo Ferracuti, fresco vincitore del World Cous Cous Championship. I patti erano chiari - e l’amicizia lunga: Retroscena il playground esclusivo di Richard, lo chalet Sombrero in mano a Pierpaolo. Vi diciamo sinteticamente come è andata. Retroscena, da bistrot moderno si è trasformato in un finedining che in 9 mesi ha preso la Stella Michelin. Il Sombrero ha raddoppiato la brigata perché da maggio a settembre è diventato anche una pizzeria da sold out tutte le sere. Insomma, è andata bene.
Il ristorante
“Prima del 23 novembre - assegnazione della stella - ho fatto due serate a zero coperti. Poi sempre il 90% pieno. Quest’estate, con un ristorante da 20 coperti, 30 con il dehor, abbiamo totalizzato 1584 clienti. Pierpaolo ha fatto un lavoro pazzesco sulla clientela. Era già quella giusta, predisposta a fare un passo in più. Con questi numeri, reinvestiamo tutto. Il futuro a 25 anni cos’è? Reinvestire tutto. Io sono diventato imprenditore senza accorgermene, solo con il duro lavoro e con l’idea della qualità dei locali. Non avevo tanti soldi. Tutti quelli che avevo li ho investiti nel forno della pizzeria e nel bancone. Quello era un sogno, una pizzeria che raccontasse le bellezze e le prelibatezze dell’Italia. È stata un’escalation. Da 50 pizze i primi tempi fino alle 180 attuali, tutte le sere”.
Richard parla al trotto, il volume della voce è leggero. Poi fiammate improvvise. E gesti. Sembra un Bottura in miniatura. Estro, sicurezza di sé. Frasi effettate. Buttarsi a capofitto per lui non è uno sport estremo, gli viene naturale, come due tiri a padel. Non stiamo parlando di approccio amatoriale, qui si va oltre l’agonismo. La stella era il suo obiettivo, condiviso con Pierpaolo, fin dall’inizio. La pizzeria un suo sogno. Vuoi poi non aprire un ramen bar, dato che il lockdown era una noia.
“Andando in giro per il mondo con Bottura, a New York ho visto la fila al noodle bar di Momofoku. Perché tutta questa gente sta in fila? Allora ho voluto provare a crearla anche io sui sanpietrini del ‘500 del centro di Porto San Giorgio. La gente entrava e chiedeva il sushi. Noi facciamo cucina cucinata dell’asia orientale. Ora la gente sa cos’è un ramen bar. Siamo stati i primi nelle Marche, e ora altri ci sono venuti dietro. Numeri pazzeschi con un calo del 30% durante l’estate, ma l’avevamo programmato”. Quando entriamo nel locale, Richard è impegnato con una persona. Indica parte del muro facendo ampi gesti. Intuiamo stiano parlando di un cambiamento. Intanto notiamo che la sala è piccola e la cucina a vista, con un bancone da quattro posti rivolto ai cuochi.
“Se non ci diamo degli obiettivi, non otteniamo niente. Gli obiettivi ci hanno anche aiutato a non far andare via le persone. Il problema delle dimissioni e di non trovare gente io, ad oggi, non l’ho vissuto. Ma c’è sempre uno che arriverà e mi dirà, vado via. Perché? Perché pensa che io gli ho dato tutto. E come fare perché non abbiano questo pensiero? Dando ancora di più, reinventandosi, non stando fermi solo a incassare risultati o critiche. Adesso infatti rifacciamo tutto il locale perché così maitre, commis, chef de rang saranno qui a vedere cosa faremo e dovranno dare il loro contributo su questo. Cambierà il design, gli spazi e dovranno anche loro in sala rimettersi in gioco”.
L’energia di Richard si manifesta sotto le spoglie dello spirito dei tempi. Basta all’indifferenza sul rispetto, dignità della persona, clima che si respira tra i dipendenti. Le risorse umane non sono solo una funzione aziendale, ma una realtà con cui fare i conti. Probabilmente anche quella che sia a breve che a medio termine i conti li fa anche tornare. Il talento si può bruciare o far crescere.
“Il problema è il cattivo esempio, dato anche da molti grandi ristoranti, anche stellati. Se tu finedining prendi un ragazzino a 200 euro al mese, io che sono una trattoria, pizzeria perché non lo devo fare? Sono loro che non hanno alzato il gap dello stipendio medio. Se le spese sono tantissime, devi rivedere il tuo plan. Dopo la stella, io ho alzato di 200/300 euro gli stipendi a tutti, come premio. Ero a Le Gavroche, quando Roux è stato denunciato per il troppo lavoro. Lavoravo 16-18 ore al giorno. Sempre. Avevo così tanta voglia di imparare che non dicevo niente. Se a Le Gavroche i responsabili ti salutavano dovevi ringraziare Dio. Questo approccio non ti può più definire. Il buongiorno, l’ascolto, lo staff food fatto bene e non le bucce di patata: non possono più mancare”.
In cucina vediamo sincronismi e passo spedito. Quello che ci pare un po’ troppo teatrale è il “sì, chef” quasi urlato quando Richard legge la comanda. In un ambiente aperto come quello di Retroscena fa un po’ full metal toque. La seconda cosa è la voce baritonale della cappa, sarebbe meglio facesse la sua parte senza essere così presente.
I piatti
Partiamo dalla fine. Dal dessert che ci ha fatto surfare come non surfavamo da tanto tempo a fine pasto. Coccobello al mare è un piatto che ti stordisce da quanto è buono. Da occhi lucidi. Un’ostrica accoglie il cocco in tre versioni: spuma, meringa e gelato con una piccola percentuale di acqua di mare. In aggiunta frutto della passione, lime tostato e frammenti di ostriche ghiacciate. La sinestesia con il mare è assicurata. La ricchezza del frutto è infranta dall’acidità e dal salmastro. Da lasciare la terraferma a vele spiegate e non fare ritorno.
“Con il cocco ho chiuso un cerchio. Anche la Michelin ha detto che è un dolce geniale. Ma ora che faccio? L’obiettivo è la seconda stella, superarsi con piatti nuovi anche se alcuni li terrò in carta. I signature dish li decide il cliente, sono quelli che emergono dai loro occhi quando li saluto a fine cena”. Hic et nunc è il nome del percorso creato da Richard. Ci sono talmente tante idee al fuoco che è quasi overacting. Il primo atto è una trilogia marina. Per primo esce Mare aka canolicchio, capasanta, spigola, erbe grasse e salsa al dragoncello, finalmente un crudo di un’altra pasta o meglio di un’altra polpa, rispetto alla classica “mollezza” di gamberi, scampi e simili. Un piatto che provoca una leggera astringenza, tannico e fresco insieme.
Seguono due piatti in cui il caviale è protagonista assoluto nel gusto e nel colore, eppure senza la classica collinetta di uova. Una sfida che Richard vince con merito presentando il caviale come una crema, assieme al coriandolo, a sublimare una zucchina ripiena, e poi come un mare in cui sguazzano alcuni bottoni di seppia che ricordano la consistenza e la speziatura del lardo. Con il Cavolo Cappuccio in “rosso” la provocazione è quella dell’inversione: il vegetale che si prende le luci della ribalta, e la proteina animale a fare da contorno.
Una scelta con cui alcuni molto talentuosi stanno già facendo i conti, chi con passo più felpato e chi con un all in, come Diego Rossi di Trippa. In molti nei prossimi mesi faranno questa scelta. L’idea di Richard è un cavolo cotto che non raggiunga mai l’effetto crauti. Va sul fuoco per circa 1 ora e mezza, finché si brucia tutto. Il vegetale viene poi pressato, messo in frigo e lasciato a riposare quasi una settimana. Poi viene marinato con la rapa rossa 24 ore. Sulla superficie, quando è servito, c’è un gel di scalogno, che dona note acide e pungenti, assieme a una riduzione di ginepro, tannica e astringente. La salsa è di anguilla, grassa e con note di fumo. La Chitarra con kombucha al cipollotto, pepe verde, kefir alla foglie di fico e bottarga fa gridare il bis alla platea perché ha l’effetto di un tuffo…su un cuscino. Scuote e coccola contemporaneamente.
Richard è molto geloso del processo creativo, pensa ai piatti in solitaria e solo quando inizia la verifica esecutiva si confronta con la brigata. Non è per niente geloso delle idee, nel senso che una critica onesta è la cosa che ascolta di più. “Una volta che ho messo in pratica l’idea del piatto, mi confronto in cucina e con i ragazzi di sala e anche con qualche cliente ristretto, una decina di clienti che vengono da me 1-2 volte al mese. Per un ristorante così e per la fascia di prezzo che abbiamo, 140-160 euro, significa che sono molto legati a noi. Loro sono quelli senza peli sulla lingua, tra questi Massimo Mancini, titolare dell’omonimo pastificio. Su un piatto mi ha detto che c’era troppo amaro, poi me lo ha detto un altro. Mi sono confrontato con i ragazzi e abbiamo abbassato la dose. Da quel giorno nessuno me lo ha più criticato per l’amaro. Prendere i complimenti è facile, per le critiche servono spalle larghe e bisogna stare zitti e ascoltare”.
Anche scartare una cosa che è già uscita, che è già stata fatta da altri è un buon allenamento del cervello. Bella idea ma c’è già, troviamone un’altra. Come per il nido d’ape, che anche le api ne hanno pieni i pungiglioni. Nel nostro percorso era presente anche il piccione, una scelta demodè direbbe qualcuno. Richard di piccioni ne ha cucinati diversi, ma mai per il suo menù e come voleva lui. Una versione in cui la parte ematica e ferrosa viene smorzata con un riposo di dieci giorni su griglie alla cui base c’è del sale. Il gusto del piccione è molto più concentrato e la sosta sottovuoto con grasso d’oca dopo una scottata in padella gli dona una texture “fibrosa”. La salsa di accompagnamento è ribes nero tostato, il suo succo ridotto con una punta di whisky e fondo bruno a cui sono aggiunti tre tipi di pepe diverso, lime tostato e una punta di aceto di vino rosso.
Piccione confit-Salsa di Ribes nero, Lime tostato, coscia di Faraona farcita di Piccione royal al Midollo e Rafano
Retroscena è uno stage in cui Richard si sta continuamente mettendo alla prova, senza paura di scivolare ogni tanto o di strafare. L’orizzonte è quello della concentrazione, dell’estrazione del gusto, della ricerca della persistenza. C’è una sottile linea sapido/acida che fa emergere una piacevole astringenza, come filo conduttore, come una corrente continua in tutti i piatti.
Sui vini crediamo si stiano ancora provinando, la carta non ha la stessa sfacciataggine della cucina e anche le scelte degli abbinamenti sono forse troppo condiscendenti con i clienti piuttosto che con la freschezza delle idee di Richard. San Giorgio ha sconfitto il drago sputafuoco, Porto San Giorgio ha adottato un cuoco con il fuoco dentro. Quando abbiamo finito di parlare era lui quello più accaldato.
Indirizzo
Retroscena
Largo del Teatro, 3, 63822 Porto San Giorgio FM
Tel: 0734 302138
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