Fra i protagonisti della gastronomia portoghese, Alexandre Silva ha appena aperto a Lisbona un locale incentrato sul fuoco, dove l’alto tasso di ricerca non pesa sul conto. Il suo motto? “Fare lo chef in un tre stelle o in un’osteria è esattamente la stessa cosa”. Vediamo perché.
La notizia
Classe 1980, Alexandre Silva è stato un rinnovatore sulla scena gastronomica portoghese, premiato più dalla critica locale (Time Out gli ha conferito a suo tempo 6 stelle, il massimo di sempre) che da Michelin, da sempre avara con gli chef lusitani, che si è fermata a una stella quando cucinava da Loco. Ora è di casa nella capitale a Fogo, un ristorante inclassificabile, dove lo scontrino può partire da appena 20 euro, ma il menu è in continua evoluzione. Con il 40% di clientela locale, vanta una lista d’attesa di due mesi e mezzo. Indubbiamente un successo.Rispetto al passato, l’atmosfera risulta più informale. “Non importa se serviamo da sinistra o da destra. Queste sono cose del passato. Ci avviciniamo alle persone e mostriamo loro cosa ci piace fare. Vogliamo che l’ospite si senta libero di parlare con chi lavora e di andare in cucina. Le mie sono tutte aperte. Il risultato è una narrazione molto intensa. Queste pietre nere sono roccia vulcanica delle Azzorre, le lampade sono in marmo di Estremoz. Fogo racconta la storia di un edificio andato a fuoco e che sta risorgendo. È tutto nero per mostrarlo”.
Il totem che ispira il locale è il grande forno, alimentato con diversi tipi di legna: eucalipto e pino per l’accensione, leccio per il pane, alberi da frutto dopo la potatura. “Abbiamo un fuoco aperto alto quattro metri e mezzo, dove possiamo fare di tutto, sopra grigliare, in mezzo stufare e cuocere le zuppe, sotto preparare fondi, riso o rigaglie”. Se ne occupano due fuoriclasse, Ronald Sim e Manuel Liebaut, in arrivo da Burnt Ends a Singapore, forse il migliore ristorante incentrato sul fuoco al mondo.
Una moda? Alexandre non ci sta. “I portoghesi hanno una lunga storia con il fuoco. Ci sono molti ristoranti che hanno sempre funzionato così. Preferisco mille volte andare in un ristorante del genere che in uno che va avanti a induzione. Questione di sapore, anima, vita che può avere il piatto. I nostri sono pieni di sapore, è una cosa intensa, come un cenone di Natale. Il fumo è un ingrediente, deve essere presente quando cucini in questo modo. Anche se il nostro è un grande ristorante, riusciamo a controllare la provenienza delle materie ed è ciò che fa la differenza. Non mi interessa lavorare con la grande distribuzione. Stagionalità e sostenibilità sono due parole che mi tormentano. Tutti ne parlano, ma non le mettono in pratica, e questo fa paura”.
”Fare il cuoco in un tre stelle o in un’osteria è esattamente la stessa cosa. Me l’ha insegnato Joan Roca. Dipende tutto da te come cuoco, la consistenza che vuoi dare, la qualità che vuoi servire. Cucinare è cucinare. Personalmente non sento la pressione della stella. È stata la guida a sceglierci, non il contrario. Abbiamo ottimi bicchieri, ottimi vini, un buon servizio e una buona cucina. Ci hanno dato una stella, ma non faremo nulla di diverso per mantenerla. Continuiamo il nostro lavoro e se realizzerò che devo cambiare traiettoria, lo farò senza problemi. Sarò ovviamente triste se perderò punteggio, in particolare la mia squadra ne sarebbe devastata. Ma non è essenziale”.
Fonte: Time out
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Foto di copertina: @Nuno Ferreira Santos