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Due torri e una stella, i portici di Agostino Iacobucci

di:
Alessandra Meldolesi
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due torri e una stella i portici di agostino iacobucci 8172

Ultimo tassello di un miracolo campano esploso troppo forte per restarsene compresso fra i righelli dei geografi, una cucina che trasmette senso di fusione fra luoghi geografici e mentali , l'alto e il basso, la raffinatezza e il vitalismo plebeo.

La Storia

La storia di Agostino Iacobucci


E' arrivato a bologna un anno fa, Agostino Iacobucci, ultimo tassello di un miracolo campano esploso troppo forte per restarsene compresso fra i righelli dei geografi. Quasi non bastasse la galassia Michelin sparpagliata sulla Costiera, quella diaspora ha ricamato lettere importanti su tante divise del nord: Antonino Cannavacciuolo, Ilario Vinciguerra, Viviana Varese...


Cinquanta sfumature di blu a schizzare la tela della ristorazione nazionale, ingrigita dallo smog metropolitano e dalla cronica mancanza di sole, impallidita dalle carenze vitaminiche e dall’ ipercolesterolomia galoppante. Tanto che l’ottimo Guido Havercock, discepolo di Heinz Beck giunto da latitudini ancor più boreali, dopo essersi fatto notare per l’eleganza fredda dei suoi manierismi, non ha avuto il tempo di lasciarsi rimpiangere nel repentino cambio della guardia sotto le volte gourmet di via Indipendenza. Nemmeno la stella Michelin se ne è accorta: oggi come ieri, l’unico astro che splende sul centro storico di Bologna.


Nord-sud, quindi: l’asse che identifica la cucina dei nuovi Portici è chiaro. Una fusion che segue i passi di Iacobucci, trentenne nativo di Castellammare di Stabia, folgorato dalla ristorazione nel locale della zia a Lettere, poi sui banchi dell’Alberghiero e a fianco di eminenze indigene quali Michele Deleo ed Enrico Cosentino.


Già stellato alla Cantinella di Napoli, vi scalò l’organigramma diventando per la prima volta (e in tempi record) chef e apprendendo da Antonio Busiello la ricetta del babà a tripla lievitazione, che fa la gloria del reparto pasticceria anche sotto le due torri, nel bel locale ricavato presso l’ex Teatro Eden, café chantant di epoca liberty recuperato fin negli affreschi sul soffitto.


Uno scenario di grande suggestione, dove il pianoforte sul palco torna protagonista nelle ricorrenti serate di spettacolo consacrate all’eatainment. Panem et circenses sì, ma di nuovo conio.



I Piatti

Dalla Campania felix giungono una pletora di ingredienti originari (il Provolone del Monaco, le olive di Gaeta, le mele annurche, il moscione di Sorrento, le grandi paste di Gragnano…) e di richiami alle ricette di sempre (una su tutte, la minestra marinata che manteca il risotto alle seppie). Ma di napoletano c’è soprattutto l’attitudine alla contaminazione in senso alto, che fa di Iacobucci una sorta di reincarnazione del Monzù, il cuoco di ascendenza o formazione francese, che nelle case patrizie della città si esibiva in preparazioni d’alta scuola, imbevute spesso e volentieri della forma edendi locale.

Pasta, fave e gamberoni



Una predisposizione alla addizione più che alla sottrazione, si direbbe quasi alla stratificazione di stampo chiaramente barocco, nello stile sudista di un Sultano per capirci, dove la pervasività delle salse, per certi versi passatiste, eppure irresistibili e plurali, si fa legante variopinto di identità disparate, trasmettendo un senso di fusione fra luoghi geografici e mentali, l’alto e il basso, la raffinatezza e il vitalismo plebeo.

Pasta, patata e provola



Mentre di bolognese o di padano restano soprattutto le forme, nel senso dello stile, dell’abbondanza e di una carrellata di simulacri insufflati di nuova vita, le lasagne come i tortelli di zucca (eretici nel loro ripieno, che per la scarsa dolcezza pare fatto di zucca napoletana anziché di marina di Chioggia o di violina, ulteriormente mediterraneizzati dai rivoli di riduzione di Aglianico, Provolone del Monaco e sugo di maiale).


Paradigmatico in questo senso il piatto “Napoli incontra l’Emilia”, dove il pacchero viene avviluppato dal ragù alla napoletana, quello che pippava sui fornelli di Eduardo, preparato però con una carne ancora una volta eretica, quella di mora romagnola. In modo da invertire lo scambio fra ricetta e ingredientistica del tortello già citato.

Maialino e astice



Né mancano i richiami a una classicità che non scompare certo dal carotaggio, vedi il petto di piccione rosato su milanese di foie gras con salsa alle nocciole e purè di topinambur, che sembra rovesciare come un goleador il filetto Rossini, utilizzando la panatura a mo’ di impalcatura; o il vitello brasato con chela di astice, zucca e pera allo zafferano, (variazione del maialino e astice) dove la carne con la sua misurata acidità funge quasi da salsa per il crostaceo croccante e la speziatura viene estrapolata nella guarnizione. Destrutturando così il vecchio civet de homard, non senza qualche reminescenza di nouvelle cuisine (il piccione con l’astice di Alain Chapel).

Spigola da amo croccante



Ma Iacobucci è soprattutto uno chef del mare, che valorizza con guizzi da fantasista una materia prima pescata nelle reti mutevoli della giornata, abbinandola agli ortaggi di stagione con risultati di fragranza citrina e freschezza creativa.

Babà napoletano a tre lievitazioni



Il must tuttavia resta il babà, che arriva al tavolo con l’understatement di una guarnizione di lamponi e panna montata. In bocca svela una testura inimitabile, virtuosistica, priva di scarti fra il cuore e la crosta, che la bagna converte in una sorta di architettura liquida. Impalpabile, vaporosa, tiepida come una nuvola tropicale pronta a rovesciarsi in un finissimo acquazzone sul palato.

Indirizzo

I Portici Hotel Bologna
Via Indipendenza, 69 - 40121 Bologna
Tel. +39 051 4218562
E-mail: ristorante@iporticihotel.com
Il sito web

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