Fra gli apripista della cucina “naturale” in Italia, Michele Biagiola ne offre un’interpretazione senza eguali, al riparo dai cliché modaioli, alla mercé delle stagioni e delle peculiarità del territorio.
La Storia
La Storia di Michele Biagiola
Non ha aspettato che la bussola della cucina puntasse verso nord, Michele Biagiola, per riscoprire la natura. La quale, come insegnano i linguisti, è innanzitutto un participio futuro, insomma una potenzialità e probabilmente una missione, che spetta anche al cuoco (forse) portare a compimento.


Senza troppo cianciare di “gastrobotanica”, e men che meno di “foraging”, sono ormai dodici anni che le sue sperimentazioni, implementate in collaborazione con la famiglia Giosué nella campagna maceratese, hanno concretizzato un’utopia: quella di un agriturismo di altissima fascia, microcosmo conchiuso dove il chilometro zero è battuto e ribattuto ogni giorno dalle calosce della brigata di cucina.




Michele però non si limita a stenografare il paesaggio, che ettaro dopo ettaro allestisce un immenso mercato a cielo aperto, nel susseguirsi degli allevamenti e delle superfici coltivate. A convergere nelle sue celle frigo, attraverso i viottoli della tenuta sono i panieri traboccanti di erbe spontanee raccolte dalla signora Elvia, gli ortaggi bio di cui seleziona le varietà e segue la coltivazione, scegliendone il grado di maturazione, le carni di bestie cresciute allo stato brado, soprattutto maiali e animali da cortile, nutriti di mangimi autoprodotti che sigillano il circolo virtuoso (il poco che manca per coprire il fabbisogno viene procacciato nella zona, da artigiani che condividono gli stessi principi, in modo da non tradire il credo locavore).


Benzina verde per la sua immaginazione, addestrata al fianco di maestri non meno sensibili alle foglie. Marc Veyrat in quel di Megève come Vincenzo Cammerucci e Pietro Leemann, eminenza dell’alto vitto pitagorico. Lo chef svizzero in particolare sembra averlo influenzato con la linearità ludica della sua cucina, ma dopo la gavetta il richiamo delle origini l’ha spinto giù verso le Marche: fin quando Francesca Giosuè, patronne e signora della sala, non l’ha notato in un ristorantino della zona, ubicato fortunosamente al secondo piano di un bar, la toque già affondata nel gran libro della natura e le mani indaffarate coi fogli scritti dalla clorofilla. Per decidere presto di portarlo nel prezioso complesso di famiglia, dove il ristorante innesta suggestioni e arredi modernisti come una barbatella sulla storia.
I Piatti



La cucina che si può mangiare alle Case è ancora figlia di quella ispirazione, tanto che la carta ruota su cardini ormai classici come l’orto nel piatto e gli spaghetti alle verdure cotte, crude e fiori. Sveglia trillante ai ricettori olfattivi il primo, che dissemina sulla neutralità di una purea di fagioli cannellini, piselli, finocchi o zucchine, secondo la stagione, lo choc organolettico di semplici erbe, mai così integre e potenti, che si tratti di stevia, elicrisio, muschio o finocchio marino. Praticamente una raffica di highlights sul pasto a seguire. Stupenda contaminazione fra un’insalata e un primo piatto i secondi, dove gli amidi sembrano ritmare con il metronomo della testura la melodia dei profumi capricciosi. Una spiazzante interpretazione della somma icona italiana, nata gettando nello scolapasta gli oggetti d’amore, assemblati in base al dado dell’estetica aleatoria.



Ma Biagiola padroneggia anche altri registri, quando strizza l’occhio all’avanguardia di matrice spagnola (vedi l’ironica Fiesta ti tenta tre volte tanto, che abbatte la barriera fra alto e basso con le corna dell’ariete postmoderno, e soprattutto i piatti asintattici che sparigliano il menu, per esempio l’estemporanea frittatina al tarassaco con gelato di penne all’arrabbiata); e quando occhieggia alla tradizione che comanda le emozioni collettive, per esempio nella faraona con la mela o nella “grigliata” di verdure e carni (ingrediente questo che stimola il cuoco meno degli altri, per sua esplicita ammissione, a dispetto dell’eccelsa materia prima disponibile).


Noi lo preferiamo nelle sue espressioni più puntute e gustocentriche, 100% vegetali. L’understatement della patata lessa, coltre cremosa e ospedaliera resuscitata a nuova vita dal gelato di aglio orsino, che la galvanizza con contrasti più che termici, facendola assurgere all’empireo pastronomico. Come l’insalata di agrumi con centrifugato di bieta, meringa di bieta e gelato di capperi, match estremo fra acidità, ferrosità e sapidità che attiva sinergie spiazzanti, vivificando il palato con la scossa di un defibrillatore.



L’estate appena trascorsa ha lasciato la nostalgia degli spaghetti al fricandò, sorta di ratatouille dialettale, e della zuppa di portulaca alle pesche, dove l’erba, sottoutilizzata perché assente dai cataloghi, spesso bistrattata come “infestante”, vede valorizzata la testura (assomiglia alle verdure del deserto della gastrobotanica) e la tendenza dolce. A bilanciarla intervengono l’acidità delle pesche acerbe e il fondo piccante, nel cui brodo vengono tuffati i noccioli per una rapida infusione. Ma le fondine non sono rimaste vuote a lungo: a riempirle oggi c’è la minestra di funghi della casa (nei 25 ettari della tenuta rientra un pioppeto con i suoi pioppini), sorta di liquidità orientale a base di ingredienti mediterranei e soprattutto propri. Con l’alternativa della pizza servita nel locale adiacente, lievitata con la pasta madre e guarnita con ingredienti bio.
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Fra i migliori cuochi della sua generazione, nel luogo ideale per opportunità e atmosfera: sicuramente da provare.
Tutte le fotografie sono di Leonardo Rinaldesi
Indirizzo
Ristorante Enoteca Le CaseContrada Mozzavinci 16 - 62100 Macerata
Tel: +39 0733 231897
Mail: info@ristorantelecase.it