Nel più antico fra i grandi ristoranti italiani, dove il cuore della tradizione batte all’impazzata grazie a innovazioni improntate al massimo rispetto.
La Storia
La storia del Ristorante San Domenico
Triste fato, quello dei maestri. Ridotti a monumenti su cui si stirano le ragnatele. Ingrato destino, quello dei classici. Umiliati a letto di Procuste su cui tarpare la creatività, premiata un tempo per la sua disobbedienza, come lamentava Giacomo Leopardi. Alla serrata dei nostalgisti non manca una lodevole eccezione: si chiama San Domenico, il primogenito fra i grandi ristoranti ancora attivi in Italia. Un luogo fuori dal tempo, dove il cuore della cucina classica batte all’impazzata grazie a un intelligente lavoro di squadra.


L’impresa non poteva che andare a buon fine, considerate le sue solide premesse. Nino Bergese, sacerdote della cucina borghese, già conteso da magnati e casate nobiliari, ingaggiato da Gianluigi Morini per il progetto di un ristorante senza uguali, fasciato nelle tappezzerie preraffaellite di un altro sognatore, William Morris; nella cantina, sotto le volte del convento, una collezione di cru imperiali.

Bergese non era un cuoco parruccone: creatore di ricette immortali come l’uovo in raviolo, geniale inversione di crudo e cotto, interno ed esterno, alla Santa di Genova aveva captato le prime spore della nouvelle cuisine, convertendosi alle cotture espresse, alla vivacità mediterranea e alle ispirazioni regionali. Senza mai rinnegare la cucina di casa di impianto francese, che aveva ingannato la noia dei suoi ricchi committenti con menu sempre nuovi. Il maestro perfetto per il giovanissimo Valentino Marcattilii, designato da Morini a guidare le cucine. Al suo fianco, fin dagli esordi e fino ai giorni nostri, l’impeccabile fratello Natale in sala.

Mantenere viva questa linea di cucina, senza indulgere alle mode del momento, anche negli anni più ruggenti della dissacrazione pavloviana, è stato il capolavoro del duo, capace di trasformare il classicismo in un concept, che ha reso il ristorante un unicum in Italia. Ma Valentino e Natale hanno anche il merito di aver già preparato la loro discendenza: in cucina il nipote Massimiliano Mascia, che si è guadagnato i galloni del sous-chef lavorando dopo l’alberghiero per 6 mesi nella casa madre, per altri 6 in stage presso Romano Franceschini, Michael White, Nino Graziano, Gianfranco Vissani, Jacques Chibois e Alain Ducasse; in sala il giovanissimo figlio di Natale, Giacomo.

Al pari di Ernesto Iaccarino, Massimiliano ha dinamizzato come un manager l’attività del ristorante, ideando formule ad hoc per le coppie, pranzi di lavoro nonché il menu 70, come l’anno in cui fu fondato il locale, proposto a 70 euro a quanti sono nati da quella decade in avanti, per avvicinare una nuova clientela. Il giovedì invece si mangia alla francese, per esempio la sogliola gratinata con salsa allo Champagne e champignon ideata 30 anni fa per la leggendaria Madame Point da Valentino, che ha voglia di voltarsi indietro per omaggiare i suoi maestri Troisgros e Paul Bocuse.


Andare al San Domenico, infatti, è come chiedersi con Italo Calvino perché leggiamo e rileggiamo i classici: innanzitutto perché ci piacciono, e poi perché ci insegnano chi siamo.
I Piatti
I capisaldi restano immutati a presidiare la carta (vedi il riso con sugo d’arrosto, la sella di vitello, la torta fiorentina), magari dinamizzati da un abbinamento a sorpresa, come l’uovo in raviolo sposato al Breg di Gravner, mai così opportuno per possanza aromatica, tannicità e ossidazione sul tuorlo, carica di suggestioni stranianti. Soprattutto i classici imbrigliano nella loro grammatica i piatti più recenti.

Vedi la coda di astice su royale di broccoli con erbe aromatiche e pomodori confit, perfetta nella testura grazie alla bassa temperatura, bilanciata dal leggerissimo amaro vegetale in un matrimonio interclassista che sa di nouvelle cuisine; il riso all’olio di oliva con coniglio e caviale di melanzana, soave nelle testure e nuovamente giocato sulla padronanza dell’amaro; l’indimenticabile cappello del prete brasato al vino bianco con verdurine, polenta al pecorino di fossa e timballo di sedano, così tenero che si mangia al cucchiaio; fra i dessert, la ricotta caramellata con pere volpine al vino rosso, salsa all’albicocca e pasta sbriciolata alle mandorle.

Managerialità, abbinamenti, discrete innovazioni in cottura: tutti modi per stare al passo, e forse anche un po’ oltre, senza affondare il coltello nella carne viva di un Filetto alla Rossini.
Indirizzo
Ristorante "San Domenico"Via G. Sacchi – 40026 Imola (BO)
Tel: +39 0542 29000
e-mail: sandomenico@sandomenico.it
Il sito web del Ristorante San Domenico