Trattorie e Osterie

Dottore in biblia palati, la straordinaria cucina di Angelo Torcigliani

di:
Alessandra Meldolesi
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Forse la più bella mangiata che si possa fare in Italia per poche decine di euro: materie prime, sapienza, stile per una classicità nervosa e ruspante.

Il Ristorante

La storia del ristorante Il Merlo


Erudito “dans operam studioque gulae, bibliaeque palati”: calzano a pennello sulla silhouette imponente di Angelo Torcigliani i versetti con cui Teofilo Folengo descrive il suo cuoco Gambone, che “presiede all’arte ghiottona, dedicando tutto il suo impegno allo studio della gola e alla bibbia del palato”. Solennità, antichità, mestiere. Riti secolari officiati senza posa, dentro nuvole di arrosto e di stufato promanate come incensi del Bengala. Dove se non in Toscana, capitale gastronomica in saecula saeculorum, dentro le sue corti e nelle sue campagne, intrecciata a Versailles da leggende dubbie ma vettrici di sicura nobiltà?


Il Merlo non è certo un ristorante qualunque: chi si accomoda ai tavolini delle sue due salette, dietro una porticina sobria che si affaccia su una strada provinciale, infila la forchetta in un’esperienza senza pari nel suo genere in Italia. Appena 45 euro (tale è il prezzo del menu degustazione, composto di 6 portate sostanziose) per materie prime assolute, crogiolate al fuoco vivo della conoscenza, classiche nell’impostazione eppure nervose e ruspanti. Non tutti lo sanno, ma Camaiore fu a suo tempo la San Sebastian della Versilia. Soprattutto per merito di nonno Guido Torcigliani, falegname di professione, che vittima di un incidente sul lavoro dovette inventarsi un’altra vita aprendo un bar alimentari nel centro del paese.


Prima di lui, a dire il vero, c’era stato il bisnonno, che ai tempi della seconda guerra mondiale aveva animato una trattoria chiamata il Merlo, dal soprannome di famiglia i Merlini, dove si servivano gli evergreen della toscanità, come la trippa e il baccalà. Ma fu Guido ad alzare il tiro verso la luna, negli ormai lontani anni ’50, forse la notte più buia sulle tavole degli italiani. Mentre Peppino Cantarelli stendeva tovagliati di Fiandra e depositava calici Baccarat sulle tavole del suo retrobottega a Samboseto, Guido ammassava fieno in cantina: châteaux che fanno tremare la voce degli enofili, appuntati su fogli di carta intestata. Margaux, Pouilly Fuissé, la grande Francia nella profonda provincia toscana.


Un testimone a tastevin raccolto dal figlio Claudio, artefice dello sfondamento oltre le linee del commercio. “Fu lui negli anni ’80 a volere la cucina per ampliare l’offerta alla gastronomia”, racconta Angelo. “Ai fornelli c’era mia mamma Romana, che preparava 4 o 5 piatti emiliani e toscani. Tordelli, tortellini, tortelli di erbette o di zucca, ma alla moda emiliana, senza mostarda, solo qualche amaretto per asciugare il ripieno; oppure baccalà, torta di riso e di pere. Nella seconda saletta, oggi adibita a Enoteca, troneggiava la televisione, forse la prima del paese, che richiamava a frotte gli spettatori di Lascia o raddoppia; mentre nella prima si dipanava l’offerta della gastronomia, poi trasferita negli anni ’70 dentro la palazzina adiacente per lasciar fluire la sfornata dei piatti”.



Romana: impossibile parlare del Merlo senza citare questa azdora ieratica, che aveva conosciuto Claudio quando si recava a far shopping di bestiame in terra emiliana. Lei, nativa di Correggio e cresciuta con innumerevoli fratelli in un casolare oggi adibito ad azienda agricola, dove Angelo trascorreva buona parte delle vacanze estive. Le due radici della sua cucina sono queste: la matericità contadina e la noblesse della gourmandise. Perché Claudio era uno che girava le tavole dei grandi: i 12 apostoli a Verona, Paracucchi, il San Domenico, soprattutto Cantarelli. “Ah quella frittata di cipolle abbinata a Château d’Yquem… Raccontava che a volte con la nebbia si perdeva, perché il locale era sperduto nella Bassa. Allora bastava fare caso alla fila delle BMW 735 davanti alla tabaccheria”.


Un background altamente calorico, nel quale Angelo si è subito trovato a proprio agio. C’è stata prima la scuola alberghiera, con le stagioni nella gastronomia del cugino, dove ha ulteriormente messo a fuoco la sua cucina: “Mi è sempre piaciuta la figura del cuoco di gastronomia, che si occupa della norcineria oltre a saltare lo spaghetto allo scoglio. Un’idea di totalità. La mattina mentre facevo colazione leggevo Pellaprat e Paul Bocuse. Ho fatto diverse stagioni in alberghi della zona e gastronomie al mare, ma quando mio padre è mancato sono tornato in azienda e ho dovuto prendere in mano tutto quanto”. Poi l’apprendistato da gourmet, sulle orme di papà Claudio, battendo a tappeto i tre stelle francesi e americani. Fino a tre pasti al giorno per caricarsi di ricordi ed emozioni, giacché entrare in gastronomia è come entrare in una religione. “Non ho mai potuto fare stage perché il negozio è sempre aperto, così ho studiato a tavola. Ho iniziato in zona, l’Oca bianca, da Romano, da Lorenzo, che qui sono leggendari. Poi in vacanza con la famiglia ho esplorato il mondo. Da Daniel Humm ho mangiato forse la migliore anatra della mia vita, ma anche Londra è una giostra gastronomica”.


Per lungo tempo, tuttavia, non c’è stato un ristorante vero e proprio, ma la palestra del servizio catering e qualche tavolo per serate private. Esiste dal 2007 e la simbiosi con la gastronomia è cruciale: “Mi piace lavorare gli animali interi, quindi il banco mi serve anche per gestire i tagli meno smerciabili in carta. Faccio di tutto, anche il biroldo di maiale; i prosciutti no perché la stagionatura ideale è a Sant’Ilario. Quindi mi reco due volte l’anno a Parma per scegliere le cosce, le faccio maturare più a lungo e poi marchiare con il nome della gastronomia, Claudio. Così come faccio con il Parmigiano Reggiano, che scelgo al casello e lascio affinare più a lungo”.

 

 

I Piatti



Concretezza, abbondanza, materia; altro che cuisine minceur e derive modaiole. “Si apparecchia una cena con la quale i morti potrebbero resuscitare e con le loro casse attaccate al culo uscire dalle fosse”, per citare nuovamente Folengo. Le fonti sono diverse, con la capacità tutta toscana di elevare il dialetto a idioma traendone grande poesia. A cominciare dal parfait di foie gras d’oca e fegatini di pollo, interclassista e interculturale nell’amalgama di ricco e povero, gallicismo e toscanità, servito con la brioche di rito. A seguire l’uovo alla Nino Bergese, in realtà una variante dell’oeuf Villeroy con panatura al Panko per la testura croccante, crema di topinambur e tartufo bianco.




Ma c’è anche, senza scendere di rango, la toscanità profonda: quella del baccalà islandese con i porri, cui la dissalatura in casa regala una testura regina, che tende quasi verso lo stoccafisso, o la trippa di rana pescatrice con pomodorini e capperi, alla moda dei pescatori sulle barche. Sublime fuori programma, di quelli che il metodo Torcinelli regala agli happy few capitati al momento opportuno, quando il lavoro sull’animale intero mette a disposizione tagli inconsueti e rari.




I cappelletti con stracotto di manzo, maiale e piccione portano la firma di mamma Romana, come tutte le paste fresche. Fra i secondi il porcastro, incrocio di maiale e cinghiale che assomma le virtù dei due animali, con salsa all’antica acidula e purea di mele, la cotenna vetrificata in una testura senza eguali; il piccione à l’étouffée cotto intero, perché ossa e spine regalano succulenza alle polpe; l’anatra ingermanata spiumata in casa con la coscetta confit nel suo grasso. Tutti benedetti dalla padella di ferro. Per chiudere il millefoglie, signature dessert del Merlo, composto di pasta sfoglia di giornata a base di ottimo burro e crema chantilly.


In cantina riposano oltre 500 etichette: grandi francesi per la storia, soprattutto borgognoni; in prospettiva sempre più Italia, che sia sangiovese o nebbiolo, “perché stiamo facendo vini da favola”. A selezionarle è lo stesso Angelo coadiuvato dal sommelier Marco Lemmetti.

Tutte le fotografie sono di Lido Vannucchi

Indirizzo

Ristorante enoteca Il Merlo

Via Provinciale, 45 - 55041 Camaiore (LU)

Telefono: +39 0584 989069

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+39 0584 989069


Mail: Ristoranteilmerlo@gmail.com


 

Il sito web dell'Enoteca Ristorante Il Merlo



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