Mano, sensibilità, cultura, equilibrio. La grande cucina di Silvio Salmoiraghi all'Acquerello di Fagnano Olona, uno dei ristoranti più sottovalutati in Italia.
La Storia
La storia di Silvio Salmoiraghi
Non si vedono a occhio nudo, le stelle di giorno; eppure non smettono di risplendere secondo l’ora e il fuso orario. Indifferenti alle circostanze che fanno trillare la sveglia e scattare i nostri ritmi circadiani. Anche la gastronomia conta tante stelle di giorno. Quei ristoranti che non si lasciano catturare dal campo visivo della Michelin e ciononostante continuano a brillare di luce propria. Acquerello fa parte della costellazione: una stella di giorno depositata su una stradina di Fagnano Olona, operoso paese poco distante da Milano. Alla fine di un cortiletto interno, tanto nascosta quanto è schivo il suo chef patron.
Silvio Salmoiraghi l’ha accesa nel 2007, coronando una formazione di tutto rispetto. Lui nato nel 1974 a Varese e discepolo DOC del Gran Lombardo Gualtiero Marchesi. L’ennesimo di una generazione numerosa, andato a “scuola” con Paolo Lopriore, che passava a prendere in macchina ogni mattina a casa sua. Correvano gli anni 1997-98 e il comasco, sprovvisto di patente, era già chef dell’Albereta.
Quasi fossero gli ingredienti della ricetta perfetta, il suo curriculum snocciola esperienze disparate e ben assortite, assemblate sul piatto senza mescolanze poco chiare: in Italia anche Joia e la Fermata di Luciano Tona; all’estero il Buerehiesel di Strasburgo, il Lotti di Parigi, il ristorante dell’hotel de Mikuni a Tokyo, il Chapter One di Dublino. La nota del kaiseki in particolare è ben distinta, nella stagionalità e nella carica evocativa, nell’armonia che regola, come un vigile a un incrocio, le relazioni fra gli elementi sul piatto. Gusti, profumi, aromi, forme, colori. “Quando si usano prodotti di stagione, il buon esito è naturale. Perché la freschezza fa tutto. È il motivo per cui odio le pentole che crogiolano e le basse temperature”, dice. Ma la sequenza delle cotture è spostata entro le singole ricette e le stoviglie sono praticamente tutte rotonde e bianche, contrariamente a quanto accade in Giappone.
Poggiano su appena sette tavoli di un’unica sala lunga e chiara, le tendine alle finestre e i paesaggi in trompe-l’oeil sulle pareti a trasmettere un senso di classicità vagamente piccolo borghese, tutto lombardo. Quella di Salmoiraghi non è infatti una cucina fatta per stupire, anche se di tanto in tanto sa graffiare. Incarna al meglio un certo manierismo, nel senso alto del termine, di uno stile cioè che processa precedenti e culture, intessuto di citazioni e fatalmente elegante. Misurato e meditato, tanti sono gli strati attraverso cui transita l’ispirazione prima di affiorare sul piatto, depurata da ogni scoria. Ne fa parte la stessa avanguardia, ormai convertita in accademia; e prima ancora la rivoluzione marchesiana, le tradizioni regionali italiane, il Giappone e l’Asia in generale.
I Piatti
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A dare il la al menu degustazione è il tris degli appetizer: il soffiato leggerissimo alle erbe di mare, l’uovo al caffè con tè nero e soia, lazzo futurista che inverte il senso del pasto , dove la marinatura toglie il frescone all’uovo, e la deliziosa tartelletta al Bloody mary, variazione sul tema dei cocktail solidi o variamente gastronomizzati, in questo caso ibridati con la famiglia dei petits fours. Pre-dinner in senso stretto. Il seguito del pasto è incardinato sugli antipasti, con una concessione finale ai primi piatti e ai secondi, più per ossequio alle consuetudini che per intima convinzione. Lo storione in bianco, o alla ferrarese, per cominciare, che recupera marchesianamente il palinsesto regionale. Pesce di lago, quindi, ma crudo anziché cotto, secondo lo schema dei reverse crudisti (e del kaiseki), in un carpaccio che esalta le note terragne della polpa grazie all’accostamento con spuma di cavolo, rapa e sedano rapa, brunoise di cavolfiore e olive taggiasche più un’alga di lago. Bella mano, grande sensibilità, perfetto equilibrio.
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A seguire il cardo croccante, appena sbollentato in un brodo speziato, con nocciole, tartufo bianco, polvere di curry e fungo shiitake (o melanzana secondo la stagione), piatto incentrato sul lieve amaro dell’ortaggio, attorno al quale il nutty dipana le sue note. In equilibrio fra consistenze acquose, untuose, puro profumo. L’insalata di rinforzo riprende il filo regionale, ma il cavolfiore bruciato è ridotto a comprimario, mentre dell’ittico (le acciughe del modello napoletano) fa le veci la capasanta carnosa, marinata all’acqua di cavolo nero, con le sapide uova di merluzzo contrastate dal miele di sambuco. E la clorofilla si esalta nel tripudio di cime di rapa, puntarelle e cavolo nero centrifugato. Dove l’acquosità dei vegetali e del mollusco finisce per armonizzare il piatto, con quel senso sexy dell’umidità che Giacinto Rossetti riconosce a Paolo Lopriore, quasi fosse un’esalazione dei tanti laghi vicini. Tanto provvidenziale per la pulizia quanto defatigante per il palato. Indispensabile per stemperare i pigmenti del gusto nella pennellata di Acquerello che battezza il locale. Freschezza pura.
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Il carpione di mare mette sul piatto un gambero rosso di Sicilia, ancora una volta crudo, con piccoli bignè di scampo fritto a evocare la frittura mancante, succo di arancia gelificato con aceto di mele e miele per un agrodolce di stampo mediterraneo, succo di erba cipollina e pomodoro. A seguire lo stacco della pralina di cioccolato bianco con pompelmo e genziana, che riprende il gioco ardito dell’acido unito all’amaro nell’insalata di rinforzo. Segna il passaggio dal pesce alla carne, compiuto per la classica serratura del quinto quarto, nella fattispecie il midollo di vitello alla mugnaia con marmellata di limone al naturale, salsa di burro e farina bruciati, prezzemolo fritto. Ardito grasso su grasso (come il midollo sul risotto), riequilibrato da acidità e amaro. Lo segue il piccione alla milanese, divertissement su un volatile tanto presente in Piazza Duomo quanto assente dalle tavole cittadine, naturalizzato da una panatura impalpabile, che lascia la polpa praticamente cruda. Sotto il coltello avanza appena una goccia di sangue a fondersi con il burro di cottura, generando una salsa espressa. In guarnizione il centrifugato di alloro a evocare cotture più canoniche, ma anche la milanese di una volta; e ancora fettine di filetto crudo, poca senape, limone confit, acciuga e indivia.
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gorgonzola e cioccolato
C’è un ricordo di primi nei ravioli di anatra, un po’ dimsum nella chiusura arricciata, un po’ casoncelli nella pasta all’uovo, con farcia di anatra pastosa grazie al sangue, in un brodo leggerissimo all’anice. Quale predessert la tegola di cioccolato al Gorgonzola, omaggio a Luciano Tona, dove il cibo degli dei smussa il piccante del formaggio; in chiusura i petali di carciofo fritto al latte di bufala cagliato con liquirizia in bastoncino e caramello salato, nuovo esercizio di stile sulle note osé dell’amaro e dell’acido, congiunte dalla passerella dolce.
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In cantina riposano una trentina di etichette di Champagne, passione dello chef e abbinamento elettivo dei suoi piatti, qualche naturale fra cui Vodopivec e Radikon, rossi piemontesi con blasoni quali Conterno e Gaja, Riesling della Mosella. Il menu degustazione di 7 piatti oscilla fra 75 e 90 euro, secondo gli ingredienti del momento. A uscire in sala per la comanda è lo stesso Salmoiraghi, che sospesa la parentesi della Cassinetta di Lugagnano continua a gestire la Sky Lounge dello stadio di San Siro, dove serve pasti regionali ispirati alle squadre ospiti.
Tutte le fotografie sono di Cristian Parravicini
Indirizzo
Ristorante Acquerello
Via Patrioti, 5 - 21054 Fagnano Olona (VA)
Tel:+39 0331 611394