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Due Buoi senza giogo: la cucina di Andrea Ribaldone

di:
Alessandra Meldolesi
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Andrea Ribaldone serve da un anno la sua cucina d’autore presso un indirizzo storico di Alessandria, lasciando oscillare il pendolo della creatività fra tradizione reinterpretata e stimolanti composizioni astratte.

La Storia

La Storia di Andrea Ribaldone


Pochi indirizzi vantano la profondità dei Due Buoi di Alessandria, ristorante i cui arredi moderni e total white, illuminati con sapienza teatrale da Davide Groppi, rinnovano una storia plurisecolare, iniziata secondo la leggenda cittadina nel 1741 sotto l’insegna “Alli Due Buoi Rossi”. Un solco lungo 274 anni, nel quale dal settembre 2014 ha gettato i semi di una cucina matura Andrea Ribaldone, vecchia conoscenza della ristorazione piemontese. Ormai giunto al suo primo raccolto annuale.

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Foto Giorgio Annone
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Foto Giorgio Annone
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I gourmet se lo ricordano dagli anni felici della Fermata, ristorante stellato dal 2003, con sede prima ad Alessandria, poi a Spinetta Marengo. Ma Ribaldone, originario di Milano, è stato instradato ai métiers de la bouche dalla mamma Maria e dal nonno Luigi, buongustaio e pastaio (nonché inventore delle ruote), che con il marchio Frattini e Ranzini ha sfamato tutto l’esercito italiano. Dopo il liceo classico e qualche esame di lettere moderne, con il sogno di diventare professore, il richiamo della manualità gli ha fatto allacciare il grembiule in una birreria, al ritmo sincopato della musica live. Panini e bistecche però non valevano a saziare i suoi appetiti professionali, tanto da indurlo a presentarsi alla Fermata in stage, per poi trascorrervi 14 anni come dipendente e come socio. Qui è Riccardo Aiachini, con i suoi quattro anni di San Domenico infilati nella toque, a trasmettergli i rudimenti della professione: i classici piemontesi, dai tajarin al tonno di coniglio, valgono al duo la stella Michelin, specie dopo la deviazione parigina di Ribaldone, in pellegrinaggio da un mostro sacro come Alain Senderens. “Di quella esperienza mi è rimasta la grandeur della cucina francese: lavoravo in una brigata di 40 elementi, dove l’intera linea veniva rifatta completamente ogni giorno. Sono cambiato nell’attenzione al dettaglio e nella ricerca della massima freschezza nel piatto”.


La simbiosi si rompe nel 2011, sotto l’urgenza di stimoli ulteriori. Seguono un anno e mezzo presso Eataly Tokyo, dove Ribaldone, fra montagne di spaghetti, familiarizza nel tempo libero con le tecniche giapponesi, e un anno a Borgo Egnazia, splendido resort pugliese. Prima della ripartenza nel centro storico alessandrino, dove lo segue il sous-chef Federico Sgorbini, compagno d’avventure ormai da 4 anni, passato per gli insegnamenti di Enrico Bartolini all’Osteria Perillà di Castiglione d’Orcia.

 

Difficile, anche per un alessandrino acquisito come lui, sottrarsi alle liturgie della tradizione ortodossa, in una regione che da sempre subisce il giogo della nostalgia, episodicamente sovvertita dalle bestemmie dell’avanguardia più cattiva d’Italia. Niente di tutto questo in via Cavour, dove Ribaldone propone un menu capace di danzare con impeccabile senso del ritmo fra portate della memoria, reinterpretate con misura, e composizioni astratte che risaltano per linearità gustativa ed eleganza, sfoderando a tratti autentiche trouvailles. A testimonianza di quella solidarietà fra tradizione e tradimento, ricerca e memoria che costituisce una legge universale dell’estetica.


 

I Piatti

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Trancio di morone alla mugnaia
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Si comincia con una serie di appetizer dove la lezione giapponese emerge subito nitidamente, negli ingredienti e nel ricorrente umami: il peperone ripieno, dove l’ortaggio è simulato dal pomodoro gelificato attorno alla classica farcia di tonno, capperi e acciughe, in un trompe-l’oeil che ricorda Bartolini; la crocchetta di melanzana liquida affumicata, in omaggio a Lopriore, impanata al nero con concentrato di pomodoro e miso; il tentacolo di polpo ben tostato con salsa teriyaki, acqua di cottura e “maionese” emulsionata con il suo collagene; la terrina di fegatini di pollo con pera all’anice e cioccolato, sorta di mousse abbattuta e presentata a fettine. E si prosegue con piatti la cui pulizia gustativa è evidenziata da presentazioni per lo più in bianco, centrate nell’articolare un numero limitato di ingredienti sottoposti a elaborazioni minimali, che però sprigionano la scintilla del gusto. Il pesce è quello ligure del mercato di Oneglia, le carni sono piemontesi da pascolo (Ribaldone acquista le mezzene intere), i formaggi, indimenticabili, arrivano dall’affinatore Marco Bernini, autore di un carrello che mitraglia una raffica di erborinati definitivi. Materie prime di eccellenza, più comuni quando la ricetta lo consente, per un “Grande degustazione” composto di 8 portate servito al prezzo di 55 euro. Per accompagnarlo il polpastrello sfoglia una carta dei vini incentrata largamente sul territorio, con pagine dedicate al Timorasso, a Franco Martinetti e a Scarpa.


Ecco allora le acciughe liguri al verde, dove secondo lo schema ormai comune del reverse crudista il pesce è servito fresco e integro, avvolto in una gelatina di prezzemolo, con una salsa dolce di aglio di Voghiera. Oppure il baccalà con yogurt e olive, in realtà merlano sempre ligure, piacevolmente sfogliato grazie alla pezzatura, che viene salato in casa “perché il baccalà in commercio è sempre troppo sapido, oppure non sa di niente”.

 


Lo accompagnano sul piatto lo yogurt fatto in casa, che nel congelatore si separa concentrando i grassi con un esito cremoso, e olive “alla terza potenza”, che evidenziano il senso di Ribaldone per il dettaglio. Si tratta infatti di drupe siciliane verdi denocciolate e riempite con un paté della stessa oliva, poi passate in una polvere di taggiasche tostate due volte, frullate con olio di oliva ed emulsionate alla glicerina. Rifinisce il piatto la schiuma di pilpil, alla cui preparazione si prestano perfettamente pelle e lische del pesce.


 

 

Delicatissimo e quasi miracoloso per finezza il coniglio cotto a bassa temperatura e servito con porcini crudi e sconditi, miele di carota selvatica per una dolcezza che vira su un leggero amaro, una spolverata di polline usato come spezia, che riprende l’amaro e asciuga la succulenza, burro nocciola a chiudere il cerchio con una nota classica. La prova di una grande mano unita a un ottimo senso del gusto.
Ma il Sol Levante torna protagonista nel Cavolfiore servito con uova di trota, spezie giapponesi e burro alle acciughe, che riprende la tecnica della cottura dell’ortaggio sotto la brace e del suo servizio a fette dalla carnosità esemplare. “Bob Noto mi ha detto che è stata adottata anche al Noma, con un condimento balsamico di aghi di pino, mentre io ho preferito tornare al territorio con le acciughe”.


Il vegetale segna il passaggio ai primi piatti, sempre di impronta giapponista. Vedi gli agnolotti classici, eseguiti secondo la ricetta della zia con manzo, erbette ed erba di san Pietro e una sfoglia di soli tuorli, serviti sconditi come se fossero al fazzoletto, ma sul ghiaccio, sul modello della soba estiva. Dove la temperatura esalta la callosità croccante della pasta e il gusto, virato su note ittiche dal cavolo sotto il ghiaccio, che riporta quasi alle alghe. “Per me anche il ricordo degli agnolotti che assaggiavo crudi da bambino”.


Oppure gli gnocchi di ricotta di pecora dei colli tortonesi, serviti in un brodo di funghi concentrato eseguito come un dashi, a base di porcini freschi e secchi, shitake, terra dei gambi e qualche fiocco di katsuobushi: umami, sottobosco, affumicato per una profondità vertiginosa.


Il petto di pollo, cotto sottovuoto e ritagliato come un pavé, apre visivamente alla sezione dei dolci nella felice concatenazione del menu. Lo guarniscono lamponi congelati con olio e sale, punti di salsa bernese, foglie di sedano e tronchetti di cipollotto bruciacchiato. Dopo il predessert defaticante di spugna sbriciolata alla menta e verbena, gelato di camomilla e polvere di barbabietola, chiudono il pasto i fichi caramellati e spruzzati di vino bianco e aceto di mele, scortati dalla giuncata fatta in casa e dal gelato di ricotta di pecora.



 

Le fotografie dei piatti sono di Bob Noto

Indirizzo

Ristorante I Due Buoi

Via Cavour 32 - 15121 Alessandria

Tel. +39 0131 517105

Mail: info@iduebuoi.it

Il sito web del ristorante I Due Buoi

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