La mancanza di manodopera si traduce in contrattazioni sfavorevoli ai ristoratori, costretti a sborsare salari insostenibili. Se ne lamenta Clare Smyth, “ma la situazione è la stessa, da Tokyo a Milano”.
La notizia
Londra è sicuramente una delle piazze più dure per chi vuole lavorare nella ristorazione. Di fatto la deregulation impera e chi fa gavetta, per poi spenderla altrove, può facilmente trovarsi privo di qualsiasi diritto. Tuttavia, c’è chi interpreta la situazione a modo suo, per esempio Clare Smyth, prima cuoca tristellata di Gran Bretagna e migliore del mondo ai 50 Best, rispettivamente nel 2021 e nel 2018. Una che ha imparato a dirigere le cucine e a fare business nell’arco di vent’anni da Gordon Ramsay, non certo un samaritano in materia.Il suo ristorante Core by Clare Smyth ha aperto nel 2017, sulla base di un rigoroso business plan mirato ad ammortizzare le ingenti spese di allestimento, basato sul flusso di cassa e mandato all’aria dalla crisi pandemica. “I primi tre anni sono davvero cruciali per qualsiasi attività. E per me sono state le montagne russe, questo è certo. Quando è arrivato il lockdown, ricordo di essermi guardata allo specchio chiedendomi se i ristoranti sarebbero sopravvissuti nel futuro e come sarei potuta andare avanti.”
La prima risposta l’ha trovata nei sontuosi kit per cenare a casa, dalla concezione impeccabile, con le consegne a cura di personale nelle divise del locale, i filmati dei camerieri che recitavano il menu, playlist musicali, addobbi floreali e Champagne a fiumi, su richiesta anche tartufi e caviale. Hanno fatto numeri importanti, nel fine settimana fino a 450 coperti, più che al ristorante. “In questo modo siamo riusciti ad andare in pari, coprendo tutto il periodo di chiusura. Non ci ha portato profitti, ma abbiamo tenuto tutto il personale con il salario intero”. E una volta riaperte le prenotazioni, quei clienti hanno avuto la priorità.
Con il senno di poi, la crisi è stata una grande occasione per testare la propria elasticità imprenditoriale; gli strascichi tuttavia non mancano, neppure oltre la Manica. I costi delle utenze e l’inflazione, che ha fatto salire l’incidenza della materia prima del 35%, ma anche la mancanza di personale, aggravata dalla Brexit che ha decimato i lavoratori stranieri, cosicché i pochi restanti possono contrattare salari migliori. “Nel complesso c’è una carenza che va a onde. Vediamo i salari dei dipendenti che aumentano astronomicamente nel settore dell’ospitalità, in modo insostenibile. Ho recentemente parlato con un collega italiano è mi ha detto che da Tokyo a Milano la situazione non cambia”.
Nonostante il prezzo del menu completo meno caro si attesti sulle 330 sterline, il pubblico continua a non mancare. Le prenotazioni vengono aperte ogni 91 giorni e si chiudono in giornata, grazie alla bolla del lusso e alla clientela americana. Ulteriori investimenti, tuttavia, resteranno ancora un po’ nel cassetto, comprese le nuove aperture progettate su Londra.
Fonte: Financial Times
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Foto di copertina: @Ana Cuba