A Milano un ristorante “fusion” al passo con la rotazione terrestre: è Wicky’s di Priyan Wicky, cuoco di origine cingalese passato per la scuola del sushi e del kaiseki in Giappone.
La Storia
La Storia di Pryian Wicky
Non sta mai fermo, il mappamondo di Pryian Wicky, attorno a un asse di rotazione conficcato nel centro di Milano. Sri Lanka, Bali, Kyoto, Tokyo e gli altri quattro continenti, paralleli e meridiani. Tutti dissolti nella costruzione di un effetto mondo, che mette il commensale di fronte a qualcosa di globale: aperto, eterogeneo, incompleto come il mondo. L’occasione buona, forse, per colmare un gap storico della nostra ristorazione: la sottovalutazione della grande cucina etnica e fusion, che in Italia non ha mai conosciuto interpretazioni di rilievo.


“Sono nato a Colombo, in Sri Lanka, e alla cucina mi ha svezzato mia madre quando avevo 5 anni, chiedendomi di darle una mano”, racconta Wicky, pacato e carismatico come un samurai. “Perché non bastavano sei figli da sfamare: la nostra era una casa senza muri, dove regolarmente si sedevano a tavola una ventina di persone. Faceva cucina cingalese, qualcosa di simile al cibo indiano, che però è più vario, date le dimensioni e le culture del paese, e anche più pesante, perché usano lo yogurt al posto del nostro latte di cocco. Era così brava che a dodici anni ero praticamente già un cuoco. Facevo avanti e indietro con il Giappone, dove abitavano alcuni parenti, a causa della mia passione per le arti marziali: karate, judo, iaido, tanto che ho collezionato katane; nel ristorante ne ho esposta una di 500 anni. Praticarle mi ha aiutato a sviluppare un senso di profonda disciplina, che si è rivelato utilissimo in cucina.

In Giappone mi sono trasferito stabilmente a 16 anni: i miei studi da criminologo mi hanno portato in giro per il mondo, facendomi familiarizzare con le cucine di altri paesi e continenti; nel frattempo ho lavorato in ristoranti anche molto importanti. È stato un amico di famiglia a mettermi in contatto con i miei maestri, che torno ad affiancare ogni anno: Keller a Bali, Kaneki per il kaiseki a Kyoto e Kan per il sushi a Tokyo. Perché in Giappone si impara ancora a bottega. Sono rimasto al loro fianco per più di dieci anni: all’inizio mondavo il pesce o facevo le pulizie, poi ho iniziato a prendere in mano i coltelli. Solo per imparare a fare un dashi occorrono 3 o 4 anni, non basta certo un giorno. L’ultimo step è stato il taglio del pesce: non è facile spiegarlo, ma ci sono tanti modi per farlo e io volevo impararli tutti. In questo i cuochi giapponesi non hanno rivali. Mentre tante volte in Italia il pesce viene ucciso due volte, è come una violenza.


Lavorare per il gruppo Four Seasons mi ha fatto battere a tappeto l’Asia: ovunque andassi assaggiavo e registravo. Finché nove anni fa non sono arrivato in Italia e ho iniziato a esplorare le cucine regionali. Durante i primi otto mesi ho mangiato ovunque, dalla trattoria allo stellato. Nel 2011 ho aperto Wicky’s in via San Calocero e all’inizio del 2015 mi sono trasferito in corso Italia, dove aveva sede una banca”. I lavori gli hanno restituito un locale espanso e materico, umbratile e lineare. Con la vetrata della cucina ad angolo retto sul bancone, fra decorazioni strategiche e ben delineate: le spade giapponesi, gli ideogrammi di “tenzo”, che significa rispetto e spirito dello chef, il cerchio luminoso della luna ereditato anche da Yoji nella vecchia sede. “Un ricordo del mio paese e della mia infanzia, di quando studiavo con la lampada a olio, perché mancava l’elettricità, e la luna era bellissima”.

La cucina è uscita immutata dagli scatoloni: al loro interno tecniche “invisibili” al 100% giapponesi, che si tratti di sushi o di kaiseki, scampate al telefono senza fili della mistificazione, spesso sottoposte ad aggiustamenti personali; ingredienti globali, ma per l’80% italiani, anzi mediterranei, come olive, capperi, extravergine (Pianogrillo o leccino) e ortaggi pugliesi; mentre dallo Sri Lanka arrivano procedimenti e prescrizioni della cucina ayurvedica, la cui medicina è pane per i denti del clan Priyan da 800 anni. La carne è italiana, giapponese o scozzese; il pesce proviene da una ventina di fornitori, selezionati durante viaggi in Sicilia e in Sardegna, ma c’è anche qualche integrazione a mandorla, vedi la ricciola e le capesante giapponesi. Viene tutto abbattuto e poi rigenerato dopo 24 ore, in tempo per il servizio. Le stesse stoviglie artigianali sono in parte italiane, in parte giapponesi. “Ma non chiamatela fusion”, puntualizza Wicky. “Qualcosa che è destinato a sparire. Questa è la cucina di Wicky, la mia cucina. Sapori che è difficile trovare altrove, sempre ispirati dalla materia prima, capaci di arrivare al cuore e all’intelletto nel rispetto dell’organismo umano”.
I Piatti
Il patchwork fa impazzire le bussole e scompagina allegramente il calendario: qui e altrove, inverno e primavera. A uscirne scardinato è il fondamento stesso della cucina kaiseki: la stagionalità. Nessuna unità di tempo e di luogo, nessuna rigida alternanza di cotture. Il menu si compone in crescendo, “come un’escursione in montagna”, ma finisce per ricalcare la suddivisione in portate che accomuna curiosamente Italia e Sol Levante, con una progressione dal crudo al cotto, dal freddo al caldo, dal mare sulla terraferma che ingrana volentieri la retromarcia. Quello che si può degustare al bancone, postazione fissa dello chef, coadiuvato da due aiutanti giapponesi, è speciale: 18 portate senza prezzo fisso, stabilite guardando l’ospite che mangia e cercando di intuirne gli appetiti. Il resto dei 50 coperti accede al degustazione Sorpresa, composto di 3 antipasti, sushi misto e 2 piatti caldi a 85 euro, oppure alla carta.

L’esordio è italiano, per mettere a proprio agio i commensali. Quindi gamberi rossi siciliani con pomodori datterini, olio Pianogrillo e salsa sakè, serviti alla temperatura di circa 10 °C. Ma si decolla a stretto giro con la ricciola giapponese, pesce più profumato del nostro, particolarmente ricco di omega 3, il cui gusto metallico entra in sinergia con l’acidità spiccata, vera firma dello chef. La fettina è infatti condita con il patè di tre tipi di olive (siciliane, di Gaeta e taggiasche), in modo da conciliare intensità e dolcezza, bottarga, soia e yuzu, “l’ingrediente che per me meglio rappresenta il Giappone, come il pomodoro per l’Italia. La sua acidità mi serve per ripulire il palato, preparandolo al piatto successivo, e perché favorisce la digestione”. In evidenza anche l’umami, interculturale grazie alla soia e alla bottarga, che fa esplodere tutti gli altri gusti.

Il Carpaccio 5 continenti è uno dei signature dish di Wicky: le fettine di salmone, ricciola giapponese e tonno sono condite con una salsa di sua ideazione, realizzata secondo una tecnica della cucina ayurvedica. Sono addirittura 40 le spezie che vengono lasciate marinare per 2 mesi in una miscela di soia, succo di yuzu e succo di limone: il risultato è una profondità straordinaria, densa di suggestioni olistiche e spirituali. In generale, lo spessore delle fettine varia secondo la masticabilità della polpa: massimo nel tonno, si riduce nel più coriaceo pesce bianco.

La dissoluzione delle coordinate spaziotemporali si compie nella ventresca di tonno, servita cruda “perché non amo l’odore del suo grasso quando cuoce”, con una guarnizione di verdure croccanti e colorate, che riporta in Puglia: piselli, peperoni di Carmagnola, patate peruviane appena scottate dalla consistenza spettacolare. Per condimento una salsa di umeboshi, le susine salate giapponesi, utilizzate per favorire la digestione. Dove si intuisce che sono considerazioni di natura filosofico-medicamentosa a ritmare il menu, slegato dai dogmi kaiseki.

Seguono le capesante giapponesi, scelte per la loro dolcezza, servite con pomodoro confit e peperoncino jalapeño ma tailandese, scelto per la sua dolcezza. Dove il piccante serve per spezzare l’assuefazione all’acidità e finisce per variare uno schema molto italiano. Si passa quindi al cotto, versione tataki, nel tonno con daikon, carota, soia e zenzero, il cui protagonista è il pepe Punjab, “il migliore del mondo per la sua dolcezza”.
Ma la sequenza degli 8 sushi è senza eguali in Italia: un’eccellenza assoluta. Segue la scuola dell’edomae sushi, che prevede condimenti ad hoc in accompagnamento alle polpe, alternando crudo, cotto e fiammeggiato. Il riso è lo yuminiski tipico di Kyoto, meno dolce che a Tokyo, preparato secondo i dettami di Sushi Kan. Si comincia con l’angus, per contravvenire alle aspettative, il cui filetto è condito con porcini, tartufo e rosmarino. A seguire il salmone con zenzero e menta, passato leggermente alla fiamma secondo la tecnica aburi per sciogliere il grasso e favorire l’intensificazione del gusto; il gambero rosso siciliano con salsa di datterini; la capasanta con salsa yuzu; la mazzancolla pugliese con salsa di capperi e il baccalà con datterini e bottarga di muggine, entrambi cotti e italianeggianti; il tonno e la ricciola giapponese con salsa 5 continenti. Eleganza e precisione.
La pasta trae in inganno con le sue rassicuranti sembianze italiane: si tratta in realtà di udon autentici, anzi di Nagasaki Goto udon, sottili e gelatinosi, serviti con salsa di crostacei, pomodorini e caviale. A seguire il celebre maialino Kaneki, ricetta vecchia di 4 secoli, eseguita senza alcuna licenza in omaggio al maestro di Wicky. La carne di suinetto siciliano viene bollita per 16 ore in una miscela di acqua, soia e sakè nell’arco di 3 giorni, per 6, 5 e 5 ore, in modo che sia possibile sgrassarla, senza toccare plastica da sottovuoto. Perde così quasi metà del suo peso. Viene servita con daikon e mele fuji caramellate. In chiusura l’equilibrio del biscotto di tè matcha con pralinato di nocciole del Piemonte e gelatina di succo di yuzu: tannico, grasso, acido e salato.
Coese le squadre di sala e di cucina. La carta dei vini, a cura dei sommelier Anna Sala e Nico Gaballo, comprende 110 etichette, per un terzo Champagne e spumanti, abbinamento elettivo della cucina e passione dello chef, soprattutto a base di chardonnay per una cremosità che bilanci le punte acide. In via di espansione anche i Riesling della Mosella, soprattutto Kabinett e Auslese, il cui leggero residuo zuccherino riesce parimenti a fronteggiare le durezze.
Le fotografie dei piatti, di copertina e della sala sono di Cristian Parravicini
Indirizzo
Wicky's Wicuisine SeafoodCorso Italia 6 - 20122 Milano
Tel. +39 02 8909 3781
Mail: reservation@wicuisine.it
Il sito web di Wicky's Wicuisine Seafood