Chef

Andrew Wong: “Preferisco viaggiare che costruire un impero di ristoranti”

di:
Alessandra Meldolesi
|
andrew wong Sunday Times

Andrew Wong con le sue due stelle ha cambiato per sempre l’immagine della cucina cinese a Londra, piazza in anticipo di decenni sul resto dell’Europa. Ma non smette di coltivare la virtù del dubbio.

La storia

Fra i protagonisti della scena gastronomica londinese c’è Andrew Wong, il cui ristorante di cucina cinese contemporanea ha conquistato due stelle Michelin nel 2021. Un vero evento, senza precedenti al di fuori della Cina. Eppure, da ragazzo non ne voleva sapere di lavorare nel ristorante di famiglia, al punto da iscriversi a Oxford e poi alla London School of Economics per studiare antropologia. Fin quando il richiamo familiare non si è fatto avvertire con la scomparsa del padre, spingendolo a rientrare per una forma di freudiana obbedienza differita. “All’epoca mi sembrava di essere bloccato in quella situazione, ma nel corso degli anni mi è piaciuta”. E oggi c’è chi parla di “chinese food revolution”.

@Food Story Media



Paradossalmente è stato studiando antropologia che Andrew ha ritrovato le sue radici, attraverso l’approfondimento delle cucine regionali cinesi. A quell’epoca le ricette che si potevano assaggiare in Gran Bretagna erano quasi tutte cantonesi, a causa del legame con Taiwan. Lui no, si era messo in testa di scoprire i sapori del Sichuan o dello Xinjiang, fra le altre zone. Cosicché al termine di un lungo viaggio per il paese ha aperto il ristorante A. Wong, dedicato ai genitori Albert e Annie, dove serve una cucina “cinese, rispettosa, curiosa”.


All’inizio certo non sono mancate le difficoltà. “Ma non credo che ora la situazione sia così diversa. Stiamo ancora cercando di affrontare alcune idee sbagliate sul cibo cinese. È un viaggio continuo”, lamenta Andrew, che pure rivendica il privilegio di lavorare sulla scena londinese, in anticipo di 5, 10 o forse 50 anni su Francia, Germania o Stati Uniti. Il covid, tuttavia, ha colpito al cuore la sua seconda casa, Kym’s a Bloomberg Arcade, dedicata agli arrosti cantonesi e battezzata come il ristorante di famiglia. “Ma in un giorno ci sono solo 24 ore e per quanto cercassi di dividermi fra i luoghi, a qualcosa toccava rinunciare. In questo caso Kym’s. La vita è troppo corta per passarla a costruire un impero di ristoranti. Ci sono così tanti posti incantevoli da visitare nel mondo. Perché aprire più di un locale nella stessa città? Preferisco viaggiare con la mia famiglia che lanciare una catena di ristoranti cinesi”.

@Jutta Klee



In questo modo Andrew si è potuto concentrare sul suo ristorante principale, studiando i nuovi piatti con l’antropologo Mukta Das, coprotagonista di un fortunato podcast.  “Passo in cucina 15 o 16 ore al giorno. Quando torno a casa, di solito ho giusto il tempo di prepararmi gli spaghetti istantanei e andare a letto. Poi comincia il giorno dopo”. Non tutti i dubbi nel frattempo si sono dissolti. “Sinceramente mi chiedo ancora se è il lavoro giusto e se lo faccio bene. Ma penso sia naturale. Tutti dovrebbero interrogarsi su ciò che stanno facendo e i motivi per cui lo fanno, i lati positivi e quelli negativi. Per esempio, penso che sarei stato un buon dottore”.


E gli spaghetti istantanei? “Sono l’unica cosa che cucini a casa mia, all’una di notte. Lo stigma che li circonda in Europa, non esiste in Asia; in fondo non sono altro che un ramen disidratato, come la pasta secca. Quelli in vendita nei supermercati europei sono particolarmente scadenti, le zuppe di base sono orrende. Io mangiavo solo i Nissin, ma ora ci sono marchi incredibili provenienti da Corea, Malesia o Singapore. Possono essere più o meno gommosi, i coreani poi super piccanti”.

Fonte: Square Meal

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Foto di copertina: @Sunday Times

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