Cenni sul complesso lavoro di ricerca del cuoco tecnicamente più audace in Italia, dalla sua idea di semplicità apparente alla realizzazione di piatti che parlano una lingua nuova
Il Ristorante
Ristorante Reale
Ci sono i bravi cuochi e poi ci sono i Grandi. Sono vestiti uguali, ma i primi cucinano bene limitandosi a eseguire, imparano automatismi senza farsi più domande del necessario e nel tempo si affinano con l’esperienza data dalla pratica sul campo. I secondi invece di domande se ne fanno pure troppe, quelle giuste, e arrivano alle conclusioni tramite un percorso diverso da chiunque li abbia preceduti, al termine del quale trovano una cifra personale che non li abbandonerà mai e che trasmetteranno a chi avrà voglia di ascoltarli. Niko Romito appartiene a questa seconda categoria, è un maestro che gioca nel campionato di chi conosce abbastanza le regole per poterle cambiare, baciato da un luminoso talento di palato e di pensiero.
La sua è una cucina del falso sottrarre, in cui è vero che si tende all’essenzialità ricorrendo a estrazioni e sottolineature degli elementi cardine, ma lasciando al tempo stesso visibile ogni passaggio attraverso cui si è arrivati al risultato finale. Così come Caravaggio è famoso per i suoi “neri” fitti di ombre e allucinazioni, nei quali mille strati differenti vanno a comporre un unico colore compatto ma informe, Niko insegue il medesimo effetto nei piatti, aspirando a lavorare per accumulo col fine di dedicare l’intero palcoscenico all’ingrediente nudo.
Sembra una follia: aggiungere, addizionare e aggiungere per arrivare a un risultato spoglio. Ma a pensarci meglio la logica è forte, perché per esaltare un elemento ci vuole grande controllo degli equilibri unito ad assoluta padronanza tecnica, e non basta certo piazzare l’ingrediente sul piatto senza manipolarlo. E’ un po’ come per l’ape, che deve volare velocissima se vuole rimanere ferma.
Emblema di questo teorema è il suo “Carciofo e Rosmarino”, ottenuto cuocendo il carciofo sottovuoto un’ora a 90 °C prima di unire gli olii essenziali sprigionati alla resina di rosmarino, ottenendo la salsa (che a Niko piace chiamare “vernice”) con cui infine avviene la laccatura. Ne esce un carciofo in tutta la sua purezza, con sfumature che vanno dall’amaro al balsamico passando per note di liquirizia che sembrano traccia di qualche lavorazione e invece sono solo frutto di un curioso scherzo della natura.
Discorso simile per l’”Assoluto di Cipolla”, dei bottoni di pasta ripieni di Grada Padano immersi in un brodo denso ottenuto frullando delle cipolle cotte in forno a 180 °C e filtrate fino a separarne l’acqua di vegetazione (tramite un processo non troppo diverso da quello con cui si ottiene l’olio d’oliva), contaminato solo da alcuni pistilli di zafferano. Una volta scelto bene l’ingrediente, Niko si adopera al fine di concentrarlo e offrirlo in una nuova prospettiva nitida e fedele.
La sua storia ai fornelli è cominciata da un sogno che il padre ha dovuto abbandonare a metà, e lui (insieme alla sorella Cristiana che gli copre le spalle in sala e non solo) ha deciso di non lasciar cadere, troncando sul nascere una carriera nel mondo della finanza.
Il principio è a Rivisondoli, in un ristorante nato turistico e pian piano mutato grazie a esperienze nelle cucine di Valeria Piccini e Joan Roca. Dopo ogni viaggio, Niko torna a casa e cambia qualcosa sia nei piatti sia nella sala, ma senza mai copiare quanto ha da poco appreso; applica, piuttosto, la lezione dei maestri alle sue idee, chiedendosi come quello che ha carpito possa incastrarsi con la visione dietro cui sta correndo.
Quando inaugura Casadonna, sulla giacca gli brillano due stelle Michelin e non è più un segreto che sia un predestinato, eppure lo stacco assoluto deve ancora compiersi. Alla fine del 2008 ha cominciato a costruirsi un posto dell’anima, uno di quei luoghi in cui arrivi rapito e te ne vai piangendo, dove l’ambiente ti invita a rallentare concedendoti uno sguardo più cauto sul mondo.
Vuole che gli somigli fin dai muri, tanto che discute con l’architetto incaricato del disegno perché questi giudica le sue pretese assurde. Vuole tutto bianco, ampio e rilassante, rifiuta l’idea d’inquinare lo spazio con qualcosa di non fondamentale. L’architetto rinuncia al lavoro non senza polemica, così Niko e Cristiana si trovano costretti a ultimare il progetto da soli, ma portano a casa il risultato e nell’agosto del 2011 ci si sposta a Casadonna.
I Piatti
“Animelle, panna, limone e sale”. Bianco su bianco, candore su candore, grassezza su grassezza. Il nuovo ciclo di Niko a Casadonna si apre all’insegna di piatti in cui un contrasto violento (il limone, nel caso dell’animella) magnifica la morbida rotondità di ogni boccone. Di qui nasce anche un dessert estremo e inviso a chi ama i dolci zuccherini: la granita di liquirizia e aceto di vino, con cioccolato bianco e aceto balsamico. I primi due cucchiai entrano in bocca come schiaffi, ma appena il palato prende le misure si viene attraversati da una scossa di piacere.
Il pane viene studiato con altrettanta cura e piglio tecnico fino a diventare una portata autonoma del menu degustazione. Se la scelta può parere pretenziosa, ogni dubbio si dissipa non appena si infilano le dita nella mollica umida della pagnotta calda che arriva in tavola a spezzare gli antipasti. Fragrante, pieno, morbido e ricco, sembra portarsi dentro il profumo di un intero campo di grano fresco di mietitura.
Ma l’ultima e più impressionante delle sue ricerche, Niko la sta portando avanti circa le carni, su cui interviene in maniera ragionata dopo aver approfondito lo studio dei cambiamenti organolettici causati dalle varie tecniche di cottura, per essere sicuro di non omologare consistenze e sapori. Il piccione viene allora cotto nel brodo di un altro piccione, estratto ad alta pressione, così che i succhi arricchiscano la succulenza della carne e la pelle risulti quasi cremosa. A finire il piatto, una purea di pistacchio che ridona al piccione un po’ della grassezza a cui siamo abituati, oltre a un accenno vegetale utile a stemperare.
La pancetta di maiale non viene più cotta a bassa temperatura, ma ad alta pressione intorno ai 120 gradi, mantenendo intensità e scioglievolezza. Non viene servita con la pelle croccante a parte né con alcun fondo, l’accompagna soltanto del sedano rapa a cubetti, a sua volta trattato con rispetto e quindi capace di completare alla perfezione il piatto.
Questa consapevolezza tecnica in ascesa, Niko la infonde nei ragazzi che lavorano con lui, ma pure in quelli che frequentano la sua scuola, “Niko Romito Formazione”, dove un numero ristretto di ragazzi studia e lavora ogni giorno a contatto con la squadra di Casadonna, fino al momento in cui ognuno viene mandato a fare pratica nelle cucine di uno degli “Spazio”, il format simil bistrot di Niko che oggi ha sedi a Milano e Roma. Prezzi bassi, piatti apparentemente semplici figli invece di una grande tecnica, tempi rapidi.
Oltre a quella degli allievi diretti, con i suoi studi sta attirando l’attenzione di molti colleghi blasonati, su tutti Alain Ducasse che ha definito Spazio “génial”, complimentandosi per la capacità di fare un lavoro simile sull’ingrediente anche a centinaia di chilometri dal proprio ristorante principale.
E nonostante Niko sia poco più che quarantenne, in giro per l’Italia comincia a raccogliere successi la prima generazione di suoi discepoli (grandi professionisti come Cristian Torsiello o Caterina Ceraudo). Così come a Caravaggio seguì il caravaggismo, sembra che in qualche misura siamo di fronte a una precoce nascita del “romitismo”.
Indirizzo
Ristorante RealePiana Santa Liberata – 67031 Castel di Sangro (AQ)
Tel. +39 0864 69382
Mail: info@ristorantereale.it
Il sito web del ristorante Reale