Non nasconde il suo entusiasmo Davide Oldani dentro il suo ristorante D’O: ampio, moderno, lineare come la sua cucina.
La Storia
La Storia di Davide Oldani
Sembra di mangiare en plein air, dentro il nuovo D’O di Davide Oldani. Ristorante aperto sulla piazza lenta del paese, con la sagoma dell’albero che battezza San Pietro all’Olmo, i sottostanti vasi delle erbe aromatiche a marchio Foo’d e la Foresta rossa di Velasco Vitali a citare l’antica bordura dei fontanili, davanti al campanile della chiesa vecchia. Un sentimento di provincia italiana vischiosa come una carezza per chi arriva dalla concitazione metropolitana, distante appena 5 chilometri.
“È stato un piccolo spostamento per un grande cambiamento”, sintetizza lo chef. Perché rispetto al vecchio D’O l’eleganza non è solo in cucina. La superficie è generosa: circa 900 metri quadrati ripensati niente meno che da Piero Lissoni, ma i tavoli e le sedie sono stati disegnati dallo stesso Oldani e realizzati da Riva con legno di olmo. Il ristorante è suddiviso in sale, battezzate come gli ambienti di una casa: il tinello di fronte alla cucina aperta, con il grande tavolo dello chef ricavato dai ritagli degli altri mobili, il salotto, la veranda, il soggiorno, la galleria e lo studio al piano inferiore dove si svolgono le ricerche della squadra, per un massimo di 45 coperti perennemente in sold-out. Ad andarvi in scena è il ritorno al gastronomico puro, ma con uno spirito nuovo, come finito un giro di spirale. “Dopo il D’O c’è stata la bistronomia, oggi è tempo di pop evoluto. Ma le regole di quando ho iniziato non esistono più, è diventato tutto più selvaggio”.
“Sento che il futuro è in questo inizio: un progetto di italianità. Non ho voluto aprire un ristorante bello, ma fare evolvere le esperienze già compiute. A questo sono serviti i 12 anni che ho speso al vecchio D’O, accumulando le risorse per comprare e ristrutturare questo immobile, che era un ristorante chiuso ormai da tempo, e coinvolgendo il paese, che all’inizio era diffidente. ‘Nemo propheta in patria’, recita il detto, ma non è vero, se prima che a se stessi si pensa alla comunità in cui si vive”. Il concept pop è infatti invariato, con prezzi amichevoli di cui Oldani preferisce non parlare, “perché sarebbe volgare. Piuttosto si tratta di stagionalità, qualità e gusto: il pop è questo”.
In fase di start-up sono anche due spin-off del D’O sotto il marchio Foo’d, che identifica le attività esterne: uno a Manila, dentro un hotel Shangri-La nel centro di Bonifacio, di fronte alla Borsa; l’altro a Singapore, in una casa vittoriana lungo lo Street Circuit che ospita il gran premio di Formula Uno. “È una situazione nata due anni fa: la società partner ha apprezzato quello che stavamo facendo e ha deciso di investire. Gli chef resident si sono formati al D’O, ma anche da Ducasse e Le Gavroche; diversi altri collaboratori trascorrono con me almeno tre mesi l’anno. E io viaggiando assaggio prodotti nuovi, che ampliano i miei orizzonti”.
A beneficiare del trasloco è stata anche la cantina, che adesso conta 450 etichette più altrettante in ingresso. È amministrata dal solito Manuele Pirovano, ma anche il resto della squadra è invariato, cominciando dai due secondi Alessandro Procopio, passato per Le Gavroche, Ducasse, Troisgros, e Wladimiro Nava, al D’O da 10 anni. Oltre ai mobili, il talento di Oldani per il design ha forgiato piatti e suppellettili, in particolare una posata totale che è al tempo stesso cucchiaio, forchetta e coltello, per catturare tutti gli elementi di piatti che sono studiati per essere completi nel loro gioco di contrasti. “E proprio adesso sta uscendo la nuova collezione di stoviglie elaborate con la stampante 3D. Elementi che ci aiutano a rendere la tavola sempre più ergonomica”.
Restano in carta alcuni classici di Oldani (la cipolla caramellata, il risotto al Marsala e pepe nero), ma la cucina ha abbassato il tasso glicemico di pari passo son il PH: nessuna paura dell’acidità, che imperversa in piatti comunque succulenti e generosi. Né mancano gli spunti contemporanei, che si tratti di giochi di testure, sprazzi di ironia, bevande miscelate o contrasti ortogonali fra gusti primari, inseriti in un tessuto che si potrebbe definire post-classico. “A parte Marchesi mi sono formato con Albert Roux, Alain Ducasse e Pierre Hermé, ma non mi sento francese”, puntualizza Oldani. “Sono per il sì, non per il no. E dico sì all’eleganza. Questo percorso è stato necessario per sviluppare un’idea, che oggi non è comparabile a niente. Siamo eleganti: io ho la giacca e il grembiule bianchi perché sono un giocatore da Wimbledon, dove si scende in campo con una determinata divisa. Io gioco a Wimbledon ma in cucina”.
A celebrare la ripartenza, non a caso, è la Battuta d’inizio, servita con i formaggi a fine pasto. “Una dedica che abbiamo voluto fare al nuovo ristorante, scherzando sullo sport perché la cucina è movimento e benessere”. Si tratta di una pallina di mousse di Gorgonzola rivestita di burro di cacao, accompagnata da una composta di frutta speziata e un ciuffo di teff a simulare l’erba del campo da tennis. E la degustazione si svolge con la racchetta, perché il D’O è anche questo: gioco.
“L’idea di suddividere il menu in quattro sezioni è nata dalle Lezioni americane di Italo Calvino. La Rapidità noi la intendiamo come ‘agilità’: non si tratta di fare in fretta, ma di valorizzare il tempo. Esattezza per noi è cura, gesto preciso, attenzione nella preparazione dei piatti della tradizione. La Molteplicità è la possibilità di scelta che è specchio della varietà, e variare in cucina è un valore, della modernità come della tradizione. La Leggerezza armonica infine è un nostro connotato da sempre: l’armonia nei piatti nasce dall’equilibrio dei contrasti; è assenza di peso, leggerezza che non rinuncia al gusto, con un uso minimo di grassi e salse perché l’ospite non si alzi appesantito”. Rapidità e Armonia sono degustazioni (3 portate a 32 euro e 6 portate a 75 euro, più l’eventuale abbinamento), Esattezza e Molteplicità due sezioni della carta, con l’abbinamento di 4 calici a 28 euro. A dettare legge nella composizione del menu è l’alternanza fra cotture, perché anche il fuoco secondo Oldani è un ingrediente, capace di generare molecole nuove. E qua e là tornano a spuntare prodotti lungamente accantonati come scampi e astici, foie gras italiano e tartufo bianco di Nizza Monferrato.
I Piatti
Il benvenuto, dopo il panino al vapore con topping di Grana Padano gratinato, le cialde di cime di rapa e i grissini di cacao e zucchero, infila subito la nuova chiave di D’O. Si compone di biscotto di nocciola croccante, pala di fico d’India candita alla senape, come una mostarda, succo al limone, fave di cacao e tartufo grattugiato: una geometria di ingredienti in contrasto perpendicolare, volta ad aprire lo stomaco attraverso l’acidità.
A seguire una monografia di zucca destrutturata con il cucchiaino d’olio estratto in casa; poi la verticalizzazione di crema calda, biscotto di buccia, spaghetto di polpa e sorbetto; su un lato il residuo salato dell’estrazione da spizzicare per il crunch. Cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico: i contrasti ci sono tutti, senza uscire dal perimetro dell’ingrediente. E la stagionalità diventa ironia sui bruscolini da sgranocchiare, gesto “pop” in senso stretto.
Né manca il registro illusionistico: vedi il “midollo” servito nell’osso tornito, in realtà composto di purea di mela acidula leggermente salata e addensata all’agar-agar, con poca marmellata di cipolle all’interno. Dove il focus è tutto sulla testura.
Gli strichetti di grano arso con vellutata di cavolo viola hanno la palatabilità di una pasta ripiena in absentia, dalla memoria artusiana. Ed è una ricetta verticale, che percorre come uno zip lo stivale, dalla Puglia fino in Emilia e ancora più su. Sono serviti con una crema di cavolo viola al caviale arancione, cioè uova di trota trentine, che nel rimescolamento forma fantasie psichedeliche sui toni del blu. “Abbiamo scelto di servire la pasta in una salsiera e la salsa nella fondina, contrariamente al solito, per evidenziare il disegno dei punti di aceto, che virano immediatamente sul rosso, e il gioco visivo che creano sotto il cucchiaio”.
Secondo l’alternanza marchesiana delle cotture, il branzino di lenza è cotto poché e servito con salsa acidula di patate, polvere di pane al nero e la sua pelle soffice con gelatina all’aceto e pinoli tostati. In accompagnamento al posto del pane, che compare di rado per alleggerire il pallottoliere del pasto, vengono servite patate “soufflé” preparate con un apparecchio di purea all’amido e poi passate in forno, a mo’ di biglie vetrose ed eteree. “Ero stanco di vedere tornare indietro la pelle esausta dei branzini arrostiti in padella, mentre la sua testura poteva diventare interessante, così ho pensato di sfilarla, dopo la cottura a 54 °C nel court bouillon, e condirla”. Ed è il boccone perfetto: un’esplosione di contrasti perfettamente dosati, che sgrassa con l’acido e l’amaro della tostatura.
Il maialino infine è cotto a bassa temperatura, poi arrostito in padella e servito con creste di gallo, lattume di seppia, Recioto per la dolcezza, avocado e cubetti di brodo: un piatto originato dalla similitudine di testure, sode (il lattume e la carne) e croccanti (la cresta e la crosta), secondo lo schema classico delle carni bianche con il pesce. Con l’alternativa del galletto proveniente da un allevamento della zona, cotto in una vescica altrettanto lombarda, come classicità comanda, che viene aperta al tavolo con le apposite forbici del vecchio Lorenzi, in via Montenapoleone. Sul piatto raggiunge una salsa di spugnole secche e frutti arrostiti. “Per ricordarci da dove arriviamo”.
In chiusura la seada è destrutturata in una cialda croccante passata al forno e farcita di mousse di ricotta con caviale di miele, spezie e sorbetto di pompelmo, per un tasso zuccherino bassissimo. “Ho cercato la leggerezza, in modo da esaltare il miele, il formaggio e le nostre spezie”. Prima della Dama, piccola pasticceria che riprende il filo ludico del pasto: le pedine di cioccolato bianco e nero Barry Or Noir sono ripiene di frutta secca e uva passa, gelatina di frutta, fave di cacao, riduzione di torta di mela e crumble di biscotto, da mangiare fuor di metafora nel finale di partita.
La foto di copertina è di Sebastiano Rossi
Indirizzo
Ristorante D'OPiazza della Chiesa 14 - 20010 San Pietro all'Olmo - Cornaredo (MI)
Tel. +39 02 9362209
Mail: info@cucinapop.do
http://www.cucinapop.do/en