Chef Guida Michelin

Guida Michelin 2023, è record: 2 chef under 35 conquistano 2 stelle a Roma

di:
Alessandra Meldolesi
|
copertina stile lippi

Giovani, stellati e detentori di un record assoluto: quello di aver conquistato il doppio macaron nelle rispettive insegne capitoline a poco più di trent’anni. Daniele Lippi e Domenico Stile sono arrivati alla consacrazione dopo un percorso esemplare, che ci raccontano qui in esclusiva.

L'intervista

Entrambi giovanissimi, entrambi in forze a Roma. Ha stupito non poco Michelin, assegnando la doppia stella a due volti relativamente nuovi della cucina italiana, arrivati alla consacrazione dopo un percorso esemplare e faticosissimo. Perché ogni passione è sofferenza, anche quella per la gioia degli altri.



DOMENICO STILE


Trentatré anni, originario di Gragnano, Domenico Stile è lo chef del Ristorante Enoteca La Torre, formatosi al Buco di Sorrento, poi con Gianfranco Vissani, Nino di Costanzo e più brevemente da Antonino Cannavacciuolo ed Enrico Crippa.



Ma dovendo individuare un maestro, penso ad Enrico Cosentino e a mio zio Franco La Mura, che mi hanno indirizzato, oltre a Nino Di Costanzo che mi ha trasmesso il rigore. Se sono arrivato fin qui, lo devo principalmente a loro. La seconda stella mi ha travolto con sensazioni incredibili, che posso paragonare solo alla nascita di mio figlio Luigi. Chi conosce il mio percorso sa che ho iniziato a 15 anni, tenendo sempre accesa l’ambizione di lavorare a un certo livello. Sono emozioni che solo chi si è sacrificato può capire. Questo lavoro è una scelta di vita, non un impiego come un altro, ma da grandi sacrifici possono derivare grandi soddisfazioni”.


“Non mi è facile definire la mia cucina: vogliamo essere italiani, concreti, mediterranei, valorizzare il territorio senza escludere incursioni da altre parti del mondo, trasmettere tutta la passione che ci vuole per cucinare in chiave emozionale. Perché italianità significa trasmettere amore e manipolare con sensibilità anche l’ingrediente più ‘banale’".

Uovo, taleggio di bufala, tartufo nero ai sentori di sottobosco



"Se devo scegliere i miei piatti firma, dico l’agnello alla Villeroy, che mi ha fatto assaggiare per primo Enrico Cosentino in veste di docente all’Alberghiero di Castellammare di Stabia e che mi ha subito catapultato nell’alta cucina. Una bontà assurda. Noi lo riproponiamo con il filetto leggermente affumicato, impanato e fritto, sul piatto funghi, senape e tartufo nero. Ciò che era dentro, fuori e una nuova leggerezza. Poi da campano mi chiedono tutti di tenere il risotto al limone di Amalfi, che cuciniamo in 7 modi diversi. Un classico che in Costiera viene servito in modo basico, rielaborato in modo da mitigare gli spigoli acidi e amari del limone, più maionese di vongole, cannolicchi crudi, asparagi arrostiti”.

Agnello alla Villeroy



Risotto ai limoni, cannolicchi, vongole veraci, asparagi e yogurt



Roma è una piazza difficile. Ci lavoro ormai da sette anni e devo dire che si è evoluta moltissimo, tanto che oggi è la città più stellata d’Italia. La competizione ha portato un upgrade, come nello sport quando Nadal fronteggia Federer, oppure Messi se la batte con Ronaldo. Tanti giovani sono arrivati in location prestigiose e si è sviluppata un’emulazione naturale, dei cui effetti forse non ci siamo resi conto. Ora per noi si tratta di consolidare il risultato, senza cambiare atteggiamento e continuando a cercare di migliorarci, perché questo è un lavoro fatto di stimoli. La seconda stella può cambiare il pubblico, ma la nostra mentalità resta la stessa. È importante tenere i piedi per terra".


"Ai giovani consiglio di abbandonare l’idea che in questo campo si diano scorciatoie verso risultati importanti. Non esistono corsi miracolosi, è pian piano che la manualità si sviluppa e la sensibilità si affina. Occorre partire dalle basi, come le salse madri, e possibilmente girare tutte le partite, come si faceva una volta. Ma i ragazzi in grado di fare un’omelette, come chiedeva Bocuse, ormai sono pochi. Invece occorrono umiltà e pazienza, senza fretta”.

Galletto, rabarbaro e peperoni



Il team di Enoteca La Torre- Alessandro Nocera, Domenico Stile e Rudy Travagli


DANIELE LIPPI


Classe 1990, Daniele Lippi è lo chef di Acquolina. Sul suo curriculum non mancano nomi importanti, come quelli di Yannick Alléno, Enrico Crippa, Grant Achatz e Martin Berasategui.Ma il mio maestro resta Angelo Troiani, che ho affiancato per dieci anni al Convivio. Se sono il cuoco che sono, lo devo a lui, per la conoscenza della materia prima, la sensibilità, il tatto sul piatto”.


Questo riconoscimento non l’ho ancora festeggiato veramente. Ho sentito una grandissima pressione, seguita da un senso di liberazione. A Roma era qualcosa che si aspettava da tanto, ma non credevo sarebbe spettato a me. Ci sono chef in attesa da anni e io mi sento il loro sopracciglio… Ma sono contento innanzitutto per la città, che è cresciuta tanto. Due stelle portano una grande scossa, significano tanto, quindi alzare l’asticella per meritarle ogni giorno è un dovere. Sarà che sono un perfezionista, perennemente insoddisfatto, ma cercherò di lavorare ancora di più”.



Voglio dedicare questo momento ad Alessandro Narducci, amico e chef di Acquolina, che è mancato prima che arrivassi. Questo ristorante è rinato come una fenice, perché col covid eravamo dati per spacciati. Poi passo dopo passo abbiamo ricostruito i due outlet e siamo ripartiti. Per mesi ho fatto solo crudi di pesce e spaghetti con le vongole, prima di riavviare il fine dining. Quindi mi sento molto orgoglioso di quello che abbiamo fatto insieme al restaurant manager Benito Cascone, con cui pian piano siamo riusciti a riaprire”.


“La nostra è una cucina mediterranea contemporanea. Perché tutti si riempiono la bocca di Mediterraneo, ma poi cucinano diversamente. Abbiamo un menu chiamato Periplo che rappresenta la circumnavigazione della penisola, con influenze arabe o andaluse sul fulcro di Roma, e Anabasi Catabasi, che si sposta fra la terra e il mare. Cerco di ritrovare prodotti dimenticati, legumi antichi, che poi sottopongo a una rilettura contemporanea, per esempio attraverso le fermentazioni. E se dovessi indicare un piatto firma, direi il Topinambur come un carciofo, lavorato alla romana e tipo giudia, con le lamelle fritte ricomposte in una rosa".

Topinambur come un carciofo



Hoink Hoink Anguilla



Terra Arida



"Ai giovani cuochi consiglio di vivere la cucina sempre con entusiasmo, come se fosse il primo giorno. Quando viene a mancare, è un campanello d’allarme, probabilmente significa che non fa per te”.

Ultime notizie

mostra tutto

Rispettiamo la tua Privacy.
Utilizziamo cookie per assicurarti un’esperienza accurata ed in linea con le tue preferenze.
Con il tuo consenso, utilizziamo cookie tecnici e di terze parti che ci permettono di poter elaborare alcuni dati, come quali pagine vengono visitate sul nostro sito.
Per scoprire in modo approfondito come utilizziamo questi dati, leggi l’informativa completa.
Cliccando sul pulsante ‘Accetta’ acconsenti all’utilizzo dei cookie, oppure configura le diverse tipologie.

Configura cookies Rifiuta
Accetta