Chef

Moustafa Elrefaey, lo chef egiziano che riporta in vita le ricette dei faraoni

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina zooba restaurant

Da lavapiatti nelle bettole americane a chef di successo in Egitto, Moustafa Elrefaey si è via via concentrato sull’identità gastronomica del suo paese, fino ad arruolare uno scienziato per decifrare i geroglifici delle ricette e proporne interpretazioni attualizzate.

La storia

Alla seconda edizione dei 50 Best per il Medio Oriente e Nord Africa, sul palco è salito anche Moustafa Elrefaey, destinatario del premio Estrella Damm, l’unico votato da altri cuochi. A smentire il detto egiziano, ricordato dallo chef, per cui al mendicante non piace l’altro mendicante. Guida un gruppo di ristoranti chiamato Zooba che conta dieci location, concentrate in Egitto, con estensioni negli Stati Uniti e in Arabia Saudita. Un successo che ha cambiato la scena gastronomica araba.


Nato in una cittadina a nord del Cairo, Elrefaey ha umili origini. “Vivevamo con mia nonna, che aveva una cucina piuttosto primitiva. Ma mangiavamo bene. Cucinava dieci o dodici tipi di pane al giorno, tutto cuoceva sul carbone in stufe vecchissime. Era completamente autonoma: avevamo mucche da mungere ogni mattina, un pollaio per le uova e degli orticelli. Davo questa vita idilliaca completamente per scontata, pensavo fosse la stessa di tutti ed ero convinto che sarebbe durata per sempre. Ma quando mia nonna ha compiuto 95 anni, tutto è cambiato per me. Ho iniziato a nutrire il desiderio di muovermi e sperimentare una vita diversa”.


Ha così deciso di trasferirsi con la famiglia in Michigan nei primi anni ’90 ed è stato in quel momento che è entrato in contatto con la ristorazione. Nel giro di dieci anni era chef di ristoranti acclamati e docente di prestigiosi istituti culinari. Ho lavato montagne di piatti”, racconta. “Parlavo male l’inglese e ho realizzato in fretta che mi trovavo sul gradino più basso della scala della ristorazione. Chi entrava nel ristorante, salutava chiunque tranne me. Ero sempre bagnato, ero quello che lavorava con la spazzatura. Nessuno riconosceva chi fossi o cosa facessi, per quanto una donna ogni tanto venisse da me a portarmi un caffè e chiacchierare. Significava tanto per me”. È stato allora che ha preso un duplice impegno con se stesso: diventare chef e rispettare sempre gli umili. Una promessa cui ha tenuto fede, se è vero che lavapiatti e camerieri sono i primi che saluta nei suoi locali ed è attivamente impegnato nell’inserimento dei rifugiati, nell’occupazione degli svantaggiati, nella trasmissione del sapere.

@Supplied



Quando nel 2009 il padre si è ammalato, tuttavia, Elrefaey è tornato in patria e ha riscoperto i sapori della cucina egiziana, dopo aver cucinato per anni piatti europei e americani. Quando poi un ristorante raffinato ha aperto a Sheik Zayed City, si è perfino ritrovato gomito a gomito con Gordon Ramsay. La cucina internazionale tuttavia non lo soddisfaceva, specie dopo la rivoluzione del 2011. Elrefaey ha così iniziato a scavare nella sua memoria gustativa, segnata dall’imprinting della nonna. “Mi colpiva che la cucina egiziana non fosse sulla mappa. Mi sono vergognato di aver propagandato quella francese e italiana, senza aver mai lavorato in un ristorante egiziano”.


È stato allora che è caduto l’incontro karmico con Chris Khalifa, giovane imprenditore per metà americano. “È stato lui a darmi la possibilità di iniziare a esplorare il nostro patrimonio gastronomico e ha così acceso in me una passione che non si è mai spenta”. Zooba nasce nel 2012 e si moltiplica in fretta. Ma Elrefaey non si ferma: “Trovo affascinante domandarsi cosa mangiasse la gente quando furono costruite le piramidi. Ho chiesto aiuto a uno scienziato per studiare i geroglifici e cercare di decifrare le ricette, in modo da poterle riproporre. Abbiamo scoperto alcuni piatti originali brillanti e gli ingredienti esatti del pane, quella che oggi chiamiamo ‘pasta madre’. Sorprendentemente, è la stessa che faceva mia nonna tanti anni fa”.


Fonte: theworlds50best.com

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