Al ristorante LeoneFelice Fabio Abbattista amministra da tre anni l’elastica eredità marchesiana, stirata in senso mediterraneo e internazionale.
La Storia
La Storia di Fabio Abbattista
Sabrage in Franciacorta. Ha dato un taglio netto al passato Fabio Abbattista, al momento di metter piede dentro il sancta sanctorum della cucina italiana: quell’Albereta dove Gualtiero Marchesi per vent’anni aveva dato forma e gusto alla contemporaneità, risucchiando in un vortice le migliori energie delle generazioni a venire. L’ultimo coup-de-feu è scoccato il 31 dicembre 2013, prima della presa in carico immediata da parte del giovane chef pugliese, determinato a imprimere il suo sigillo non solo sul menu.
Il rinnovamento è stato infatti integrale: nuova la brigata da 18 elementi, guidata con il secondo Daniele Ferrari, passato per gli insegnamenti di Ducasse e di Blumenthal; nuova la carta, senza retaggi né omaggi al passato; nuovi perfino a stretto giro gli ambienti, con la cucina a vista, palcoscenico del Maestro, chiusa da pannelli dietro il sipario della cantinetta e le attrezzature rinnovate, senza gas ma a induzione. Il resto del relais è rimasto praticamente invariato, salvo uno spazio esterno per gli eventi battezzato in occasione dei recenti festeggiamenti per le nozze d’oro dei Moretti, titolari della struttura.
L’occasione, imperdibile, è rimbalzata su una gavetta esemplare. Partito da Molfetta, dove la tavola in famiglia era religione, Abbattista subito dopo l’alberghiero di Bari è passato per tre ristoranti londinesi: l’Halkin, con la consulenza di Marchesi, Le Gavroche e The Square, in cerca di stimoli globali per finire a scuola di grande Francia. Nella sua cucina restano le tracce di un melting pot esperito per quattro anni abbondanti, ricalcato dalla passione per i viaggi.
Altri sei anni li ha trascorsi all’Altro Mastai di Roma con Fabio Baldassarre, allievo di Heinz Beck, di cui è stato secondo con poteri speciali ottenendo subito la stella e che ha seguito anche all’Unico di Milano per due anni e mezzo, dopo una parentesi al Roof Garden di Atene, alla testa di una brigata da 24 elementi per 80 coperti. “Ed è stata la mia prima esperienza da chef, una palestra di organizzazione e gestione”. La successiva, dal 1 gennaio 2014, è ambientata in Albereta, dove dirige il ristorante gourmet LeoneFelice, intitolato al vecchio custode e giardiniere della tenuta, il bistrò Vistalago e il servizio d’albergo con le colazioni. Ma ci sono anche il ristorante che segue il protocollo Chenot per i clienti della Spa, dove operano tre cuochi in collaborazione con il corporate chef, e la pizzeria appena aperta nel chiosco denominato “La Filiale”. La pala è nelle mani di Franco Pepe, forse il migliore pizzaiolo italiano, che vi ha portato una squadra di collaboratori napoletani. Al termine di mesi di lavoro per raggiungere la quadra sugli impasti nel microclima franciacortino, vi serve i suoi classici (la margherita sbagliata con la mozzarella alla base e il pomodoro crudo in finitura, la gustosa scarpetta al Grana Padano, l’allitterato e cipolle), ma anche dischi messi a punto con Abbattista: due mani per l’impasto, le altre due per i prodotti del territorio (come il Fatulì della Val Saviore) e la tecnica di trasformazione. Del resto le farine di Caiazzo erano già quelle del Molino Piantoni, nel Bresciano.
“Quando sono arrivato, ho subito iniziato a battere il territorio, che sapevo ricco di giacimenti”, racconta infatti Abbattista. “Il pesce di acqua dolce, in particolare, ha rappresentato una scoperta e una sfida per un cuoco come me, cresciuto sul mare. Ho avuto il piacere di conoscere Andrea Soardi, uno degli ultimi pescatori del lago di Iseo, che mi ha introdotto in questo mondo. Così sono nati tanti piatti, nel tentativo di traslare le ricette marinare su una carne grassa e delicata, ovviando alla sapidità mancante. Qui intorno non manca nulla: formaggi e latticini, norcineria, piccoli allevamenti e aziende agricole. Artigiani con cui è stimolante mettere a punto il prodotto. Quindi pratico il km 0, ma senza rinunciare a una buona carne di fassona o agli ortaggi rari di Harald Gasser, mentre dalla Puglia arrivano la farina di grano arso e le frise, il pesce è ligure, l’olio toscano della casa”.
Il
I Piatti
Il menu degustazione consta di 6 portate (con possibili extra) a 95 euro. Per accompagnarlo ci sono i suggerimenti di Valerio Cappiello, che può attingere da 550 referenze: non solo Bellavista (40 etichette), non solo piccoli di Franciacorta, ma anche Champagne, tanta Italia, Francia e Nuovo Mondo. Tutti abbinabili al calice, mentre il percorso sul menu punta sui vini della casa (Bellavista, Contadi Castaldi, La Badiola e Petra).I gusti si delineano sul piatto come i disegni di un elastico fra i chiodi: tesi, diritti e cangianti fra contrasti per nulla spigolosi, che esaltano la riconoscibilità degli ingredienti. Geometrie di semplicità apparente, che beneficerebbero di un po’ di grinta in più. Dopo gli appetizer (la cecina fritta con mortadella e maionese al tartufo nero, le chips di polenta con polpo e maionese della sua acqua, la pelle di pollo croccante con il suo patè e la cipolla in agrodolce, il maccherone di churro cacio, pepe e lime), la leggerezza del Mediterraneo sciacqua la gola. Vedi il gambero viola di Sanremo proposto crudo in una variazione del gazpacho con crema di pomodori, fragole, cetrioli e pane all’aceto alla base, coriandolo e il ghiacciolo di un brodo di teste di gambero con peperone, lime e tabasco in superficie, a mantenere una temperatura da plateau.
Segue il morbido di seppia, con il mollusco frullato, steso e passato al vapore, la sfoglia di salsa alla pizzaiola addensata dalla pectina dei semi, le zucchine schiacciate con le olive taggiasche, le teste in un intingolo al pomodoro, il limone salato, la maionese senza uova al nero di seppia e la salsa alle acciughe, per una quasi lasagna di mare, o forse parmigiana di zucchine, schizzata di iodio sull’ittico latente dell’ortaggio.
Gli spaghetti Vicidomini alla bottarga di tonno sono un’icona italiana esposta ai barbarismi: a condirli sono la curcuma fresca grattugiata e i gamberi in ceviche, sottoposti alla marinatura (tecnica prediletta dello chef) in lime e centrifugato di sedano.
Mentre il lavarello parte da una classica ricetta del pesce di mare, la mugnaia, con il limone che cede il passo al calamondino, agrume dolciastro, intermedio fra kumquat e mandarino. La sapidità viene corretta dalla meringa salata sempre con calamondino e capperi, più un toffee di cavolfiore, ottenuto da una base di zucchero e panna con aggiunta di purea dell’ortaggio; ma è soprattutto l’acidità a farne le veci.
Scherza invece con le icone della cucina pop la coppa di maialino di mora romagnola, planchata e finita sui carboni del Green egg, spennellata pre e post cottura di chimichurri, condimento sudamericano per l’asado a base di olio ed erbe aromatiche. Viene guarnita con radice di prezzemolo, in crema e in bastoncini agrodolci che simulano le chips, e ketchup di albicocche all’anice e aceto di chardonnay, per il massimo dell’acidità sulla grassezza.
La pasticceria è un’altra passione dello chef, che preferisce parlare di “cucina dolce”. Vedi il cioccolato elastico (una ganache a base di Domori addizionata di agar-agar) servito con gelato di arancia bruciata, per un classico binomio italiano svolto in senso amarognolo, crema di nocciole e crumble di cacao.
Oppure la meringata al piatto, composta di cremosi al limone e al bergamotto, meringa bruciata, gelato alla mandorla con granelli di sale, camomilla in polvere e gel ad arrotondare.
La piccola pasticceria, servita nel contenitore ad hoc firmato Giulio Marchesi, torna alla tradizione italiana con un gesto di casa: è la torta di rose, specialità bresciana meno briosciata del solito, con la vaniglia in evidenza; sotto ci sono uno zabaione al vino dolce della casa; e ancora due praline di nocciola e zucchero effervescente, lamponi, litchi e rose. Si chiude con gli choux ripieni di chantilly alla vaniglia, crema di nocciole e marmellata al limone.
Indirizzo
Ristorante Leone Felice presso Albereta ResortVia Vittorio Emanuele, 23 - 25030 Erbusco (BS)
Tel. +39 030 776 0550
Il sito web del ristorante