Prosegue la ricerca di Mauro Uliassi che nel Lab 2017 mette a fuoco materie di scarto e inusitate, spessori etnici e popolari.
La Storia
La Storia di Mauro Uliassi
Il mare come hals, sale e materia, oppure pelagos, distesa e immagine; l’esperienza del thalassa e la vastità del pontos, fino alle profondità insondabili del laitma. Nemmeno ai tempi dei Greci il mare era uno solo, tanti erano i termini con cui veniva descritto: Mauro Uliassi ne ha tratto una cucina, che a ogni primavera fa tintinnare le campanelle più di una buriana. Un appuntamento irrinunciabile su una delle tavole più inventive d’Italia.
“Con Mauro Paolini e Luciano Serritelli ci siamo riuniti dopo l’11 febbraio, senza Michele Rocchi, in libera uscita per 4 mesi a praticare il suo hobby, il carpfishing. Dopo di che è tornato, ha assaggiato, apprezzato e avanzato i suoi suggerimenti. Teniamo molto al suo palato, è anagraficamente e stilisticamente più giovane. Non ogni anno si fanno cose nuove d’emblée, capita piuttosto di riprendere in mano vecchie idee o spunti lasciati nel cassetto. Stavolta ci interessava usare materie prime insolite, non il caviale ma quello che del pesce è scartato, consumato dai pescatori oppure torna nelle viscere di altri pesci: le interiora, le teste, i ritagli marginali. E ci siamo concentrati sulla cucina della gente che lavora, quella di tutti i giorni”.
L’algoritmo è quello gustativo di Mauro Uliassi, sempre più implacabile nella sua esattezza. “Perché una volta avviato questo tipo di ragionamenti, l’ampliamento è consequenziale. Esiste una metodologia interiorizzata che si manifesta in modo esponenziale: più riflessioni fai, più te ne vengono. Quest’anno abbiamo rivisto il nostro sistema organizzativo per concentrarci solo sul ristorante e sulla ricerca, rifiutando tanti catering e lavori all’estero, seppur ben retribuiti, in controtendenza rispetto ai più. Diventava faticoso per un maniaco della perfezione. E la cucina ha bisogno della relazione con le persone”.
“La sfida è standardizzare verso l’alto l’esecuzione dei piatti. Tutti coloro che lavorano con me hanno assimilato determinate routine: per esempio sentirsi sul lavoro in ogni momento, essere sempre all’erta per mettere a frutto qualsiasi spunto. E poi assaggiare continuamente, perché anche se le ricette sono grammate, la materia prima è sempre differente, il pesce può essere in amore, variare per provenienza o stagione. Per avere la certezza quindi è necessario assaggiare a campione. Ogni piatto e ogni preparazione vengono testati con cadenza almeno settimanale, anzi quelli da tenere sott’occhio sono i più cucinati e familiari, che si possono dare per scontati”.
“Le menti della cucina sono diverse, ma il punto di incontro è il mio palato, con il problema che se sono emotivamente alterato, anche per l’adrenalina del servizio, la percezione può essere scorretta. Il gruppo è potentissimo, capace di qualsiasi cosa. Ma spetta a me fornire gli spunti e l’imbeccata per il nuovo, visto che dall’esterno si esercita meglio questa funzione. Solo il 5-10% delle cose che pensiamo finisce nel menu e di fronte a trovate anche geniali dico sì o no, tenendo in considerazione il gusto della gente. Alla fine è sempre la bocca che decide”.
Capitolo tecniche, la Spagna non è mai stata così lontana: che si tratti dell’ennesima nuotata (ma il filone dell’anatomia marina tipo Prima secca è in stand-by, per scongiurare l’effetto cliché), di un ripescaggio marchigiano oppure vintage, di tecnica se ne vede sempre meno. Quella sul piatto è una cucina “feriale”, piacevolmente quotidiana, sempre più etnica e popolare, accattivante nella semplicità apparente dei suoi tour de main. “In testa abbiamo tutte le tecniche, ma abbiamo scoperto che possiamo farne a meno. Mauro e Luciano, come me, non si sono formati nell’alta ristorazione; arrivano piuttosto da esperienze nella banchettistica e negli alberghi, anche se hanno fatto Berasategui e Adrià, Dacosta e Roca. Le radici sono nella tradizione, anche femminile. La mamma di Luciano è una cuoca di estrazione contadina bravissima, è stata lei a darci la dritta per cucinare le lumache in modo che restino dritte. Così come la mamma di Mauro, il cui imprinting entra inevitabilmente nel piatto”.
I Piatti
Gli appetizer non sono cambiati: ci sono l’ormai storico wafer, la finta oliva all’ascolana, il crostino di acciuga e tartufo, il kir con cialda alle alghe. Nel cestino del pane grissini alle alghe e alle acciughe, pizza di Pasqua e un pane a lievitazione naturale da farine locali, antico, pesante e saporito. È accompagnato dal consueto burro composto alle ostriche, un po’ come nel tipico pain beurré transalpino.L’esordio è per il minimalismo, con lo scampo firmato Luciano Serritelli. Sul piatto ci sono la coda cruda con il succo della sua testa, il fagiolino di mare crunchy essiccato in casa e il finger lime per l’acidità scoppiettante e pepata, su un velo di gelatina ricavata dal liquido filtrato che il crostaceo rilascia durante le operazioni di pulitura, addizionato di acqua di ostriche, per spingere la forza marina e per lo scarto zero.
Seguono tre piatti del Lab 2016: il pancotto con mandorle e ricci ghiacciati dedicato a Roberto Petza, Benvenuti al mare, brodo in stile tè matcha, e la nostalgica sogliola alla maître d’hotel.
A seguire di nuovo Luciano Serritelli con il Mare dentro: una miscellanea di frattaglie di pesce (fegato di nasello e di seppia, cuore e lattume di rombo, trippe di baccalà, trippe e budella di rana pescatrice), tutte presentate intere per valorizzare le consistenze, con gusti che virano dall’ematico al sapido, dall’amaro a una dolcezza soave. Vengono cotte separatamente in padella e poi assemblate per legare il tutto in stile pil-pil con il collagene. A rinfrescare ci sono un trito di 12 erbe balsamiche o acidule e una dadolata di rabarbaro.
Sono strepitose le lumache di vigna di Cherasco, piatto ideato dallo chef Mauro Paolini, strisciate dal fosso fino all’orto, cotte con partenza a freddo in modo che restino diritte. Sono servite puristicamente con erbe, gelato di fave a spingere l’amaro vegetale, dadini di pane e un’acqua di “conditella” che configura un’insalata sbagliata, ma freschissima e dissetante: una zuppa fredda che è quasi una bibita estiva, senza grassi. Viene ricavata anche qui senza ricorso all’high tech, per pressione e macerazione: le foglie di diversi tipi di lattuga, pomodori, cetrioli e cipolla sono salati, innaffiati d’acqua con poco aceto e lasciati sotto peso per 24 ore in una vasca, in modo che rilascino i propri umori; poi l’operazione è ripetuta con altra verdura. Il risultato paradossale è un’acqua senza grassi che veicola profumi: testura e clorofilla a confronto.
Ha un richiamo etnico tutto marchigiano il collo di rombo in potacchio, in realtà un pezzo di mandibola, la cui forma combacia perfettamente con quella di una spalla di coniglio.”Quando siamo andati a cucinare la testa, questo taglio ha attirato la nostra attenzione. Lo cuciniamo come nella ricetta tradizionale: steccato di lardo e finocchietto, con un sugo colloso di pomodoro, vino bianco, finocchio selvatico e aglio, più un olio al finocchio selvatico. E lo presentiamo dentro la casseruola di ghisa”. Ne è autore Luciano Serritelli.
Il risotto allo scoglio (marchesiano all’acqua) sfrutta la tecnica dell’Omaggio a Giacomelli: in superficie vengono grattugiati lingotti congelati di anemoni, ostrica e fegato di rana pescatrice, alga codium per la nota tartufata, ricci, fegato e nero di seppia.
Ottimi poi i ciabattoni ripieni di triglia appena scottata e mantecati al beurre blanc, classico accompagnamento dei pesci bolliti, a firma di Mauro Paolini. Accarezzano la bocca come velluto, anche grazie ai fegatini dei pesci, in parte spadellati, in parte congelati sotto forma di lingotto e grattugiati al Microplane, per lo iodio e la burrosità sensuale sotto una cascata di rucola. L’effetto è quello di una salsa montata ai fegatini.
Poi il secondo servizio del potacchio, sempre targato Serritelli: la testa di rombo vera e propria, steccata con capperi e alici, impanata come si usa nelle grigliate adriatiche con pane, prezzemolo e olio, cucinata al barbecue su carbonella di carpano, più una citronette infusa allo zenzero e aglio. Con tanto di occhio, in cerca delle testure turgide, quasi da sot-l’y-laisse degli anfratti sexy del pesce.
Il finale salato è come sempre per la selvaggina, “primordiale come il pesce”. In questo caso la grouse di Mauro Paolini con ostriche, semi e olio di perilla, per la nota vegetale. “Sono condimenti preparati per via di estrazione a freddo: in questo caso un gelato di olio e perilla al Pacojet, che lasciamo in sospensione su una mussola in modo che l’olio colando porti con sé i composti aromatici”.
Al predessert 2016 di fragola segue la Capra ubriaca firmata Alessandro Furlan, effetto Baileys a fine pasto. “Volevamo un dolce diverso dallo schema consueto del montaggio di biscotto, gelato e frutta o altri elementi. Al cucchiaio, ma con le consistenze di una torta. Siamo partiti dal Cognac, che però ridotto sviluppa una rotondità stucchevole per la concentrazione della nota di barrique; così abbiamo optato per il whisky torbato Lagavulin. Alla base c’è la burrata di bufala di Trionfi Honorati, poi il crumble al cioccolato, il gelato di whisky e latte di capra, la pasta sfoglia croccante effetto diplomatico o millefoglie, in sommità la crema morbida di Lagavulin”.
Indirizzo
Ristorante UliassiBanchina di Levante, 6 _ 60019 Senigallia (AN)
Tel. +39 071 65463
Mail info@uliassi.it
Il sito web del ristorante