Cosa si è mangiato presso lo Spazio Battirame, nella prima delle Sette Tavole di Joan Crous: una carrellata dei migliori piatti del Celler
L'Evento
Joan Roca porta la cucina del Celler De Can Roca in Italia
Non capita tutti i giorni di assaggiare la cucina di uno dei migliori cuochi del mondo, lui presente, anzi ininterrottamente cucinante, schivando interminabili file al check-in e bagagli in stiva. Un’esperienza che è riuscito a concertare Joan Crous, anima catalana della cooperativa sociale Eta Beta insieme alla moglie Giovanna Bubbico, nell’ambito di un ciclo di cene organizzate a Bologna per fini benefici: sono chiamate “7 Tavole” e andranno a finanziare un progetto di formazione per cuochi rivolto a giovani in situazioni di disagio.
E l’inizio è stato col botto: nientemeno che Joan Roca, terzo cuoco del mondo secondo i 50 best, che di Crous condivide non solo il nome, ma anche il luogo (Girona) e la data di nascita. Con sé ha portato ben 8 elementi del Celler, suddivisi fra sala e cucina, che hanno lavorato alla preparazione dell’evento per due giorni insieme a qualche rinforzo locale. Il risultato è stato un pasto di precisione cartesiana, non troppo lontano forse dai livelli del Celler, se non fosse stato per l’ambiente spartano e il servizio abbozzato, ma prodigo di spiegazioni grazie al sardo Davide Nurra, a Girona da 10 anni. Le Sette Tavole poggiano infatti sui pavimenti dello Spazio Battirame, centro sociale graffitato da Blu, che Joan e Giovanna hanno preso in gestione e ristrutturato nel 2014.
Joan Roca e Aurora Mazzucchelli
Il menu presentato ha passato in rassegna alcuni signature del passato prossimo del Celler: l’occasione per fare il punto sul suo formidabile contributo all’evoluzione tecnica e concettuale della cucina mondiale, nonché sulla varietà di uno stile spagnolescamente propenso allo spettacolo, ma anche incline al nostalgismo classicista. Lusus, affumicature acrobatiche, estrazioni di profumi impossibili: il Celler ha ancora molto da dire.
Dopo comerse el mundo, serie di appetizer rappresentativi di diverse nazioni, dalla Thailandia alla Corea, dal Giappone alla Turchia, fino al Perù, presentati sotto un mappamondo di carta, è partito il flashback di Memoria de un bar en las afueras de Girona: quindi una serie di piccoli assaggi (il parfait di piccione, il calamaro pastoso con pastella in sfere croccanti, il bonbon di Campari, il cannellone di mamma Montserrat, soprattutto lo squisito rognone disidratato, esplosivo nella sua paradossale testura di meringa) in omaggio alle origini dei fratelli, corredato da un “presepe” del modesto locale di famiglia con le figurine dei tre ragazzini. Gioco, ma anche tecniche molecolari e narrazione in chiave tecno-emozionale, come è stata definita anni fa la cucina del Celler dal critico Pau Arenos.
Quindi, esemplificativo dello studio sull’affumicatura, il letto di castagne freddo con agrumi e funghi, presentato su una pellicola forata sovrastante tizzoni, che garantiscono un afflusso costante di fumo.
Lo sgombro marinato in sale e zucchero è stato servito con una classica (accademica?) salsa di sgombro al vino bianco, l’altrettanto classico corredo di limone e capperi, uova di triglia e bottarga su salsa amara di acciughe e olive. Mentre c’è una vaga sensazione di botturiano camouflage nel besugo con salsa delle sue lische e suggestivo mosaico alla Dalì di sanfaina, sorta di ratatouille catalana.
Molto classica la spalla di vitello a bassa temperatura con il suo fondo, quasi da tarte tatin, nervetti, funghi e avocado per il vegetale.
Ma sono strepitosi soprattutto i dessert, dove l’assente Jordi Roca ha giocato la carta dell’enfleurage, tecnica di estrazione dei profumi attraverso il grasso, poi sottoposto a distillazione. Quindi la monografia dedicata alla pecora di razza catalana, attraverso una stratificazione di sensibili sfumature: il latte sotto forma di gelato, la cagliata leggermente sapida in spuma, lo yogurt, il dulce de leche e lo zucchero filato. Il tutto accompagnato da un cono di essenza di pecora, ricavato dalla sua lana, per un nitido sentore di stalla. In chiusura il Vecchio libro, con dedica a Proust: millefoglie (o forse millefogli) di ostia stampata alternata a biscotto, gelato di madeleine, crema al tè nero ed essenza di vecchio libro. Dove il topos della bibliofagia anni 0 combacia con la provvidenzialità delle sostanze nervine a fine pasto.
Le fotografie sono di @Dinner