Un’eccellenza che non fa più notizia: le Calandre dei fratelli Alajmo ancora una volta planano sulla cucina italiana
Il Ristorante
Le Calandre dei fratelli Alajmo
È l’autunno del 2017, ma potrebbe essere qualsiasi mese di qualsiasi anno degli ultimi tre lustri. Non fa più notizia l’eccellenza delle Calandre, ristorante che porta avanti il suo concetto gastronomico con una perfezione tecnica e una personalità stilistica inconfondibile: esprime una cucina più italiana che mai, che procede per ossessione, piuttosto che per riduzione o sottrazione, tanto continua ad arrovellarsi su motivi e associazioni ricorrenti. Perché un pensatore scrive per tutta la vita un unico pensiero: è la parsimonia del creativo, che porta a spremere ogni intuizione per ricavarne succhi nuovi.
Ci sono piatti che vivono ormai di vita propria, come il risotto allo zafferano, che ogni stagione di ogni anno indossa un abito nuovo per accomodarsi in carta, come un habitué del ristorante. Anche nel suo caso, le tendenze questa volta sono tre: il freddo, quale elemento di contrasto su gusti caldi e mediterranei e quale strumento di scansione, utile per porre olfatto e gusto nella giusta sequenza, quella che Massimiliano chiama una “scaletta di ingresso aromatica”, sul modello dei cocktail on the rocks; i profumi appunto, quali vettori di emozione, che si tratti degli oli essenziali della casa, di spezie o di incenso, ingrediente di tante ricette recenti, spia di dimensioni insondabili; le consistenze evanescenti e croccanti, in ultimo, che servono per mantenere desta l’attenzione. Le tecniche sono paramolecolari, ma di proprio conio; gli spessori subliminali o meglio subsensoriali, ben nascosti sotto la coltre comfort della piacevolezza. Cosicché in tanta italianità sovviene qualche ricordo di dantismo, il senso letterale quale scaletta verso l’allegorico e l’anagogico, fino a sfiorare verità supreme.
Ed è così che il piatto all’apparenza più banale, circoscritto nel repertorio familiare italiano, si rivela maturo e sorprendente: proprio la profondità del gusto mediterraneo è una scoperta continua della carta, ottenuta con mezzi tecnici che oltrepassano il tecnicismo. “Percepire il gusto più a lungo consente di concentrarsi nell’ascolto”, spiega Massimiliano. “Per questo uso l’acqua, l’olio più del burro e prediligo presentazioni molto semplici, che servono per fluidificare, avvicinare, far vivere nel profondo le sensazioni. Senza sovraccaricare l’ospite con un eccesso di spiegazioni”.
I Piatti
L’esordio è freddo, quindi, in Fu-mare, antipasto dall’ittico profondo e persistente, in varie consistenze: la gelatina di sgombro leggermente affumicata con il caviale, il gelato di bottarga e la bottarga stessa. Dove il riferimento è a certe abitudini francesi, vedi la gelée au caviar di Marc Veyrat, da cui un giovane Massimiliano si è formato, o quella di Robuchon. Secondo una ricerca della casa, di reductio ad originem, cioè ad amorem dell’ingrediente, la sensazione lattica è in absentia, viene cioè ottenuta obliquamente attraverso altri ingredienti nel gelato; mentre la gelatina è ricavata da lische tostate e lavorate con zenzero e brodo di gallina, in modo da richiamare alcuni fondi giapponesi.
In alternativa c’è il caldo/freddo di ostrica, servito in una ciotola realizzata da un’artigiana veneta che va presa in mano e toccata, per sentire la porosità del guscio. Sul fondo si trovano caviale, salsa e sorbetto di cavolfiore all’extravergine, secondo il classico binomio di Robuchon, ostrica in due consistenze, calda al vapore e in granita, più una julienne di foglia di ostrica.
Le moeche sono servite panate al mais finissimo e fritte, con una crema di curcuma che sembra maionese, ma senza uova, per un richiamo alla tradizione nell’alleggerimento.
L’impiattato è naïf anche nei ravioli di succo di triglia allo zafferano con ristretto di seppia in tecia, cioè al nero, e ricotta con rosmarino e lavanda, per un allungo di sapori. “Sono quelle che noi chiamiamo ‘staffette’ o ‘maratone’ del gusto, con la triglia e lo zafferano che viaggiano sul rosmarino e la lavanda”.
Sono una nostalgia di domenica italiana i cannelloni croccanti con ricotta e mozzarella di bufala, basilico e una passata di pomodoro cotta meno di un minuto, per un’espressione fragrante di mediterraneità. Vanno mangiati con le mani per la felice regressione all’infanzia, che sdrammatizza la riflessività della cucina.
Ma c’è anche la pasta secca: gli spaghettoni Benedetto Cavalieri con spremuta di olio mediterraneo, cioè una pressatura di olive nere infornate con finocchietto e origano, semi per la sensazione integrale, salsa di ricotta profumata alla menta e salsa di cipolle rosse, più una spolverata di residuo disoleato dell’estrazione per simulare formaggio o pangrattato. Fra l’omaggio ad Aimo e l’understatement di una pasta all’olio.
I tagliolini affumicati con scaglie di tuorlo cotto a temperatura controllata, affumicato e sfogliato, acciuga e gelatina di brodo affumicato sembrano una carbonara, ma omaggiano in realtà un altro maestro di Alajmo, Alfredo Chiocchetti con il suo tagliolino speck e porcini. Rappresentano l’evoluzione del precedente tagliolino al burro e fumo, che lavorava sul concetto della diversa affumicatura su solido e liquido.
È poi immancabile il risotto allo zafferano, attualmente in carta con liquirizia, incenso, rosmarino e funghi, per un'altra staffetta del gusto fra sequenze vicine e stagionali.
La battuta di vacchetta piemontese al tartufo è ormai un classico: viene presentata su un pezzo di corteccia con salsa all’uovo, in omaggio alla leggendaria tartara di papà Erminio alla Montecchia, e va mangiata con le mani. “Perché dalla tattilità arrivano informazioni su temperatura e consistenza, che attivano una diversa salivazione. Abbiamo effettuato prove con diversi tipi di posate allo scopo”.
Provala è un virtuosismo tecnico che strappa il sorriso: si tratta di un palloncino di provola soffiata da mordere al tavolo, per provocare la fuoriuscita dell’aria al tartufo, servito con purè di patate in cui fare scarpetta col formaggio in seconda battuta.
Ma è un capolavoro anche l’osso incendiato. “Un cliente ci ha commissionato una cena a tema quinto quarto e Cazzamali ci ha consegnato queste ossa del femore segate a metà. Ho provato a farle al forno, profumate con tanti ingredienti e alcune estrazioni alcoliche, coperte come la cotoletta di Scabin di erbe che abbiamo incendiato, più incenso, sale grosso e senape al dragoncello. Sono pochissimi bocconi di midollo, ma di grande intensità: più profumo che quantità. Un allungo di profumi e sapori su base untuosa, che in questi tempi di veganismo è quasi una provocazione”.
Il maialino è cotto nel forno a pressione, con la polpa fondente e la cotenna vetrificata (“Murano”, dice Massimiliano), in un’estremizzazione quasi caricaturale delle consistenze attese. Viene servito con purea di zucca al tartufo e salsa di carne profumata al caffè, per il tostato e la spinta energizzante.
Fede è un piatto manifesto: in tavola arriva vuoto e i bambini sono i più lesti a capire che va rovesciato. Si scopre così una crema profumata alla vaniglia e all’incenso che manifesta il pieno sotto il vuoto, il senso oltre la sensualità, al riparo di una lamina d’oro che irradia sacralità. È il coming out di una cucina esoterica sotto la coperta della piacevolezza, anagogica in senso stretto, secondo l’etimologia greca di quanto conduce in alto e solleva.
Ed è un capolavoro anche il predessert: la crema di latte di mandorle cagliata al fico d’India in funzione testurizzante, per un’esplosione mediterranea, addizionata di meringa vegetale (ottenuta da aquafaba dei ceci) fino a ottenere una mousse leggera, più marmellata di fico d’India, granita di menta e polvere di liquirizia. Il tutto su una ciotola confezionata apposta per il richiamo cromatico, effetto “dentifricio” per un fine pasto perfetto. “Una sera ho avuto a cena Peppe Barone, chef antropologo modicano, una persona splendida. Mi ha parlato delle pale, storicamente preparate a cotoletta, e mi sono incuriosito. Alla fine me ne ha spedite un cartone e ho scoperto tante qualità, oltre i benefici sul corpo. In quanto pianta grassa contiene acqua, è perenne, quindi disponibile tutto l’anno, e gelatinosa, tanto che può fornire sostanze testurizzanti, completamente diverse da quelle conosciute. Mi affascina perché ha un profumo scomodo, difficile da domare”.
Chiude Molto fico, anch’esso ispirato alle potenzialità della pala, di cui sfrutta diverse possibilità di estensione: affianca sorbetto di frutti di bosco, meringa vegetale all’aquafaba con marmellata di pala di fico, gelato di ricotta profumato alla foglia di fico in infusione e un caramello con gel di fico d’India per l’elemento croccante.
Indirizzo
Ristorante Le CalandreVia Liguria n 1 - 35030 Sarmeola di Rubano (PD)
Tel. +39 049 630303
Mail info@alajmo.it
Il sito web