Spazio 7 è il ristorante all’interno della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, un luogo in cui la creatività passa dalle mani di Alessandro Mecca. Un cuoco senza roner e il fuoco dentro.
La Storia
La Storia di Alessandro Mecca
Forse Alessandro Mecca è l’unico a non aver mai detto “Potrei farlo anche io” di fronte a un’opera di arte contemporanea. Eppure, ogni due mesi, ha il compito di mettersi di fronte alle opere d’arte della Fondazione e di provare a entrare nella mente dell’artista per farsi venire un’idea, per lasciare che la sua creatività si esprima in nuovi piatti del menù.
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Non è qualcosa che lo mette a suo agio. Alessandro lo fa e basta, con occhi a volte spaesati, ma sempre profondi. “Io sono ignorante ma curioso, non smetto mai di farmi delle domande, di aprirmi a prospettive diverse, come quelle che spesso mi fornisce l’arte contemporanea”. Se esistesse uno stilema di cuoco associabile a un museo di arte contemporanea – intellettuale, capriccioso, genio-e-sregolatezza, intrattenitore, salottista - Spazio 7 sarebbe già fuori dai giochi.
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“È due anni e mezzo che sono qui. Sono sicuro di me, ma mi piace volare basso. Quando sono arrivato eravamo in tre, non ci siamo messi a fare i fenomeni, a svoltare. Abbiamo iniziato a ripulire e a fare le cose meglio, il servizio, il diciottesimo, l’evento privato. Mettere in ordine ogni pezzo, questo voglio fare per guadagnarmi anche le cose a cui ambisco di più”.
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Alessandro è un regista. Di un calciatore si dice che viene scelto perché ha i piedi buoni. Alessandro di buono ha sicuramente le mani. Buone a tutto. Buone a creare, buone a dirigere, buone e dare due schiaffi, buone ad abbracciare. E come riuscirebbe altrimenti a tenere insieme il ristorante, la caffetteria, il bistrot, gli eventi e le cene private?
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Non è un caso se la prima persona che Alessandro ricorda come maestro è suo padre, cuoco del ristorante di famiglia la Crocetta, uno con un gesto fantastico. Poi il patron dell’Agrifoglio di Torino, un unicum, nel senso che c’era solo lui e faceva tutto da solo. Alessandro si scalda, mentre ricorda la sua esperienza da Alex Atala al Dom. In Brasile lavorava al menù degustazione dello chef, poi, come al solito, faceva gli straordinari. Per il personale, per cui preparava pasta, risotti, zuppe, volevano solo lui.
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“Il giorno prima di tornare in Italia soffrivo come un cane, avevo un dente rotto. Atala mi mandò da un suo amico dentista e pagò per me. Poi mi disse: due lire per campare, un letto per dormire, un pezzo di pane per mangiare…a casa mia per te queste cose ci saranno sempre. Il lavoro del cuoco è un lavoro servile, ci dedichiamo agli altri. Ho appreso qualcosa dai cuochi che avevano sentimento e altruismo, non sopporto i narcisisti”.
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Dal 2015 le redini della parte ristorativa della Fondazione, sono state prese in mano dal figlio di Patrizia Sandretto, Emilio, poco più che trentenne. Uno che dopo laurea in giurisprudenza e master in economia ha trascorso un anno a fare tutta la trafila dell’hotellerie in vari alberghi tra Torino e Londra. È lui che ha scelto Alessandro, è lui che ci ha visto il capitano ma anche l’uomo squadra.
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“Spazio7 è uno spazio complicato. Va bene la bomboniera del ristorante ma i conti devono tornare su tutto. Cercavo uno chef che facesse vivere e crescere tutto. Alessandro poi è torinese, conosciuto dai torinesi, è stata una scelta di qualità ma anche di convenienza. E lui continua a fare quello che gli abbiamo chiesto, lasciarsi ispirare dall’arte che vede qui. Il suo dentice all’acqua pazza può sembrare un Pollock, ma l’importante è che sia un Pollock per il palato”.
I Piatti
<br />Emilio ci fa l’assist per iniziare a parlare dei piatti. Questo antipasto è un nuovo pensiero su una ricetta che spesso si trova nelle carte di ristoranti torinesi, una versione che smorza l’ostinazione della carne del dentice, tenendola a crudo. Un piatto intenso, un compromesso tra gazpacho e ceviche. Meno affilato, grazie all’aglio che viene affumicato. Nella sua presentazione è un omaggio al dripping di Gualtiero Marchesi.
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“Come una scaloppina al burro” è il secondo piatto in cui si nota il talento di Mecca: rendere contemporaneo un ricordo. Il nome tecnico suonerebbe come carpaccio di vitella, sapidità di mare e insalate acide al burro. Che noia per raccontare di quando tornavi da scuola e la mamma aveva preparato le scaloppine. Un piacere grasso, un piacere puro. In questo piatto c’è tutto, forse una nota acida in più ci avrebbe fatto ancora più piacere.
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La cucina di Spazio7 non è solo un rincorrere per trasformare, una declinazione ciclica della creatività. David Foster Wallace in uno dei suoi memorabili saggi sul tennis scriveva della particolarità di Roger Federer di essere Mozart e i Metallica allo stesso tempo. Alessandro è uno chef sopraffino e brutale, Bernini che incontra Cattelan. Questa doppia anima emerge quando scopriamo il suo culto del fuoco, della fiamma viva, delle padelle in ferro e in rame. E il ritorno a metodi di conservazione e preparazione della materia che zampillano di passato ma sanno di presente. Come quando gli è venuto in mente di usare la mammella della mucca, di farla sciogliere e di ricoprire la carne con questo grasso lattico, per la sua conservazione. Un tempo si faceva con il grasso del rognone, con il problema dei sentori di urina come è facile immaginare. La scelta di Alessandro è innovazione pura.
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Il B.B.Bue con lattuga disidrata ne è una succulenta applicazione, che porta con sé un altro pallino dello chef. Tirare in mezzo i suoi fornitori, fino a farli entrare nella sua bottega. Questo taglio di carne è una parte del collo del bue, un tipico taglio da bollito, che Alessandro, dopo un confronto con il suo macellaio, propone alla brace perché magro e non così tenace.
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Il risotto allo zafferano con ossobuco stracotto non aveva un difetto. Ho lasciato un chicco nel piatto e sono rimasto a contemplarlo.
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Un altro grande piatto è quello di cui anche suo padre gli ha chiesto la ricetta. Capretto con caglio affumicato e insalate amare, una carne cotta sulla fiamma viva, su un girarrosto artigianale. Sapeva di bosco, di serate umide. In questo piatto c’è tutto lo spirito di sacrificio di Alessandro, per cui guardarsi alle spalle non è una forzatura, nemmeno una scorciatoia. Ma il lavoro che lo tiene sulla buona strada.
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Conferma che arriva nei due atti finali del pranzo. Pera, cioccolato e ricotta è un twist riuscitissimo del più classico tra i pairing.
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Nocciole, olive e bergamotto è un masterpiece di equilibrio, tra grassezza e acidità. Tra golosità – orizzontale – e soddisfazione – verticale.
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Ci sono volatili che non voleranno mai. C’è lo struzzo che in uno spot ci riesce con il supporto di un Oculus VR. Poi c’è chi non sapeva volare affatto, ha imparato a volare basso e alla fine prende sempre più quota. Anche questa è un’arte.
Indirizzo
Ristorante Spazio7Via Modane n 20 (Ingresso anche da Via Millio 15/B) - 10141 Torino
Tel. +39 0113797626
Mail info@ristorantespazio7.it
Il sito web