Dall'11 agosto nella nuova sede di Oristano, dentro i locali dell'Hotel Duomo, Salvatore Camedda valorizza i tesori del territorio, cominciando da bottarga e Vernaccia, con l’aiuto del sommelier Francesco Tuveri.
La storia
È mezzogiorno, al Ristorante Somu di Salvatore Camedda
di quelli che rubano l’anima insieme all’ombra secondo ataviche credenze, il sole zenitale sopra la cupola arlecchinesca di Santa Sofia e qualche nugolo di casette bianche tutt’intorno. Non si vede nessuno per le stradine di San Vero Milis, minuscolo paese dell’entroterra sardo, in attesa che il primo refolo spinga fuori qualche sedia. Solo di tanto in tanto gira la porta di Somu, ristorantino di charme dove Salvatore Camedda ha insediato il suo laboratorio di una Sardegna “come a casa”. Giovane, contemporanea, professionalizzata.
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Gli spazi sono tanto raccolti quanto caratteristici, con il cortile alberato sul retro tipicamente isolano, ex dimora di un omonimo eccellente, il signor Puddu, fra i più eminenti vignaioli di Vernaccia. Ancora per pochissimo sede attuale del ristorante che troverà un nuovo alloggio dall'undici agosto nel cuore di Oristano, in via Vittorio Emanuele II, nei locali dell'Hotel Duomo. Dunque sempre dentro i confini del disciplinare della Vernaccia di Oristano, grandissimo vino in attesa della ribalta gastronomica, a pochi scatti di contachilometri da Cabras e dai suoi laboratori di bottarga. Ori diversi, destinati a una lega imbattibile: un concept già pronto, o quasi, per il ristorante.
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E proprio a Oristano Camedda è nato, da mamma casalinga e papà poliziotto, ma anche cuoco provetto. “Ed è stato guardandolo mentre preparava la pasta ripiena o le zuppe, che ho deciso di iscrivermi all’alberghiero. Quando è stato il momento del primo stage, mi ha detto: ‘Se torni indietro non ti do più un soldo’. Invece mi è piaciuto moltissimo, stagione dopo stagione, dal Four Seasons di Milano al Cristallo di Cortina, passando per Saint Moritz. A un certo punto ho sentito di voler studiare la materia e le tecniche, cosa difficile in un albergo, per quanto prestigioso, così sono finito ad Aqua Crua con Giuliano Baldessari. E mi ha conquistato la sua capacità di tirare fuori un piatto sensato da una manciata di ingredienti”. Attraverso di lui è entrato in contatto con il cerchio allargato degli Alajmo e un concetto di cucina italiana, tanto ludica e golosa, quanto spessa e riflessiva. Non senza strascichi sulla tavoletta dello stile.
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“Dopo una prima esperienza da chef, ho deciso di realizzare il mio sogno qui, a San Vero Milis: volevo mettermi alla prova e testare le reazioni della gente di fronte a un certo tipo di cucina, diversa dall’ordinario”. Succede da un anno al Somu, che in sardo sta per “casa”, con la spalla di uno dei migliori sommelier della Sardegna: Francesco Tuveri, al fianco di Petza per 7 anni, che qui prosegue la sua esplorazione palmo a palmo e ventre a terra. La sua carta, in fieri su basi preesistenti, conta 220 etichette per l’80% regionali, ma sono in via di incremento la Francia e altre nazioni, come il Libano. Vuole essere un omaggio al territorio, di cui privilegia le piccole cantine e i vitigni autoctoni, nomi rari come Alvarega e Arvisionadu oltre alla granaccia, al Vermentino autentico e all’ineludibile Vernaccia, ordinati in due percorsi di abbinamento da 3 e 6 calici.
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Ma continua a dare una mano anche papà Antonio, che coltiva l’orto da 3 ettari al servizio del ristorante. Il pesce è di Cabras, le farine del Sinis, l’olio in gran parte di produzione propria. I degustazione sono due: di mare e di terra, con 8 portate rispettivamente a 45 e 50 euro; ma presto tornerà il menu d’autore più personale e territoriale a 60.
I Piatti
<Si comincia con la cialda di riso soffiato con muggine marinato allo zucchero muscovado e lime, polvere di pomodoro piccante e pasta di tamarindo all’olio. Una reminescenza di Aqua Crua, “perché voglio salire sempre più in acidità e amaro, contrasti che elevano i piatti”.
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La capasanta è marinata in olio, soia e senape, per mitigare la dolcezza, poi tostata in padella e servita con porri fritti, salsa di rapa rossa, cavolfiore al lime e pepe nero. Per togliersi lo sfizio di un morso straniero. Sposa il Vermentino della cantina Fausto Rossini, carico di agrumi e idrocarburi, acido e sapido sulla dolcezza.
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È semplice ma non facile il calamaro, marinato in olio ed erbe aromatiche come il mirto, poi planchato; viene servito con aglio nero ma sardo, lasciato fermentare per 50 giorni al buio, al riparo di altro mirto, poi frullato con l’acqua frizzante, più chips croccanti di verdure stagionali.
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Segue una fantasia di Calandre: la focaccia al vapore tostata in padella al burro francese salato, stile french toast, con tartare al coltello di bue rosso e maionese montata alla soia e aceto Sirk.
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L’immancabile spaghetto alla bottarga non si ferma allo stop della tradizione: al soffritto iniziale di aglio e cipollotto viene aggiunta in forma grattugiata, di modo che in padella con acqua di cottura non troppo calda si gonfi e formi un’emulsione, con cui mantecare la pasta. Completano il piatto la crema di pistacchi, congelati e frullati al Pacojet con l’acqua, e una spolverata di paprica affumicata. L’abbinamento, secondo tradizione, è una Vernaccia secca, non ossidata, della cantina Pippia, che tiene testa al piatto per sapidità, mineralità e persistenza.
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Osa poi il riso, un carnaroli di Oristano portato a cottura con brodo di pollo affumicato tramite infusione di lapsang souchong e brodo vegetale, a scongiurare eccessive concentrazioni cromatiche e gustative, mantecato con burro salato, crema di bietola e senape selvatiche raccolte dalla brigata, più una spolverata di tè nero misto a caffè d’orzo, che spinge il tostato.
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Il rombo è planchato al lemongrass e servito con crema di pastinaca al succo di limone e centrifugato di carote al naturale per la dolcezza.
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“Ma io adoro fare il piccione, che per un cuoco è una sfida. Me ne occupavo anche a Barbarano Vicentino”. Il petto è cotto in padella, poi in forno, infine sotto la salamandra; le coscette con timo e lavanda a bassa temperatura. Completano il piatto il doppio fondo di piccione e manzo con riduzione di Sangue Morlacco e la crema di sedano rapa.
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Altra passione di Camedda sono i dolci, anche qui con qualche orma di Calandre grazie all’amicizia con Ascanio Brozzetti, pastry chef di Alajmo: il biscotto arrotolato al cioccolato con yogurt di capra fatto in casa, fava di Tonka, frutti di bosco, olive semicandite e salsa di peperoni al forno come la crema bruciata all’alloro con mousse di cioccolato bianco e caffè. Rappresenta il matrimonio d’amore della Vernaccia ossidata di Orro Karesia, affinata in botticelle di ciliegio che trasmettono una nota fruttata, grazie alla persistenza e alla provvidenziale ossidazione sull’uovo.
Foto di copertina: Michela Medda
Indirizzo
Ristorante SomuVia Vittorio Eanele II N 34 – Oristano
Tel. +39 349 120 0682
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