Gianluca, Sara e Giulio 1 anno dopo, nella loro nuova casa sull’Appennino tosco-romagnolo. Da Gorini è la seconda novità dell’anno 2019 secondo l’Espresso
La Storia
Il vero padrone di casa del ristorante Da Gorini,
Lo diciamo subito, è Giulio, il figlio cinquenne dello chef e della compagna Sara, responsabile di sala.
Ci abbiamo pranzato insieme qualche giorno fa.
È emerso che: il ragazzo è molto critico verso la cucina del padre. “A me di crema gialla – commentando la crema di patate del primo piatto che abbiamo assaggiato – mi piace solo quella dei bomboloni”.
Ruba il lavoro alla madre e al giovane sommelier Angelo, portando lui i piatti e l’acqua.
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È un precoce esempio di anti-convenzionalità, facendosi servire un gelato al limone e menta come pre-dessert e uno spaghetto al pomodoro come dessert.
È un grande intrattenitore; mi ha stracciato 5 partite a 2 a UNO. Sfida che, a dirla tutta, avrebbe richiesto il Var almeno in un paio di episodi.
La spontaneità di Giulio è solo la punta di un iceberg. La cosa più evidente – un bambino che scorrazza nel ristorante come se fosse veramente a casa sua – sottende una scelta di vita che va al di là di cucinare. A prestarci attenzione, da Gorini anche i muri delle sale sono empatici, informali, accoglienti. Più che muri sono ponti.
Il Ristorante
Dopo un anno dall’apertura del loro ristorante,
Gianluca e Sara sembrano aver trovato la velocità di crociera che gli permette di incontrare tutti. Nè troppo piano, per non perdersi gli impallinati della ricercatezza alimentare e dell’estetica gourmet. Né troppo veloce, per continuare ad essere scelti da chi innanzitutto è mosso dalla fame di cose buone che non necessitano di un phD in Teoria e Tecniche delle Consistenze.
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Non è stato un anno facile. La brigata è cambiata quasi del tutto. A supervisione della cantina e del servizio di vino e distillati c’è Angelo Sanzani adesso, giovanissimo sommelier, discreto e pragmatico. Se dovessi abbinare a lui un vino presente in carta, non avrei dubbi. Sceglierei il Primo Segno di Villa Venti, sangiovese di Romagna in purezza che fa tutto fuorché smarmellare. È diritto, balsamico, scattante. Con il bergamotto e la china che si alternano come una pallina su un campo da tennis.
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Quando mi sono fatto riportare il menù, a metà cena, per rileggere i piatti, ho rivisto quel germoglio che cresce in testa alla grossa G maiuscola del logotipo. Un’immagine che calza perfettamente a quel campo fiorito che è il ristorante. Un campo che viene continuamente innaffiato dalla vitalità di una giovane famiglia che è partita dal seme di una ristorazione inclusiva e radicata su un territorio, quello romagnolo dell’appennino.
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Sara prima faceva la barista, Gianluca era un portento della cucina al servizio di qualche altro portento/patron della cucina. Ora Sara è padrona di casa e mamma di un’intera brigata, oltre che di Giulio. Gianluca è il condottiero di una cucina e custode di un’idea. “Il nostro rapporto adesso è ancora più unito da un unico intento. Per questo ora sono molto più attento a come parlo a Sara quando lavoriamo insieme al ristorante, e siamo davanti ai ragazzi. E lei si è calata perfettamente in una realtà che prima non conosceva, comprendendo meglio anche il mio lavoro”.
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Casa e ristorante. Ormai sono una cosa sola. Tutti i ristoranti sperano che i loro clienti si sentano a proprio agio. Ma come è possibile se il disagio prima di tutto è tra chi lavora tra quelle mura? Da Gorini il disagio non riesci a cacciarlo dentro neanche con un bulldozer. Ci starebbe un adesivo sulla vetrina. Keep out disagio.
I Piatti
Nei piatti accade la stessa cosa.
Il loro sapore non è uno shock, non richiede doti di concetto e nemmeno la predisposizione del cacciatore di stellati. Parla piuttosto la lingua universale di “Un altro per favore”. Detto anche in modalità slowmo se volete. “U-n a-l-t-r-o p-e-r f-a-v-o-r-e”.
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A questo tasto del telecomando rispondono sicuramente il Cremoso al parmigiano, funghi crudi e cotti, noci, menta nepetella e tartufo. Dopo il minuto di silenzio assoluto, in cui i commensali riescono a comunicare ad occhi chiusi per telecinesi la loro sensazione altromondista, l’appagamento gustativo è raggiunto.
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Lo stesso vale per Cozze e vongole in tegame, patate alla cenere, semi di finocchio e pepe verde. Provare per credere: come un pairing così sdoganato, così non originale riesca a sorpassare a destra il concetto stesso di gourmet e a scardinare qualsiasi tutor delle autostrade della soddisfazione. Non esiste più la persona che sceglie solo i ristoranti premiati, quella che ci capita per caso o quello che gli fa comodo perché tra quelli del paese è il migliore. Tutti sono uniti in un unico abbraccio, sporcandosi a vicenda le spalle con i rispettivi baffetti di materia premium.
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Come Gorini ci riesca è solo perché conosce, riconosce e continua a conoscere. A pochi giorni dall’apertura avevo assaggiato un risotto al formaggio di fossa, macis e aceto balsamico. Non ero convinto, un gusto troppo sbilanciato verso i soli avventori di livello avanzato. La replica dell’assaggio è stata una rivelazione, un altro punto di fuga colto dallo chef e dalla sua brigata. La nuova versione è Risotto, caciotta di capra dell’azienda Rossi Rita di Colforcella, macis - in minore quantità - e aceto balsamico. Freschezza, spessore e lipidine.
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C’è poi un servizio on demand in cui lo chef propone la sua mano libera, la sua produzione dedicata non tanto ai nerd della tavola quanto a chi ha il coraggio di mettere la curiosità davanti all’abitudine.
I Tagliolini verdi all’erba cipollina, uova di rombo affumicato e cedro essiccato ti portano prima verso il fondo del mare, poi ti legano a un siluro di acidità che ti fa risalire in superficie e oltre. Scioccanti.
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Arriva poi un piatto che se lo mangi con le mani non ti bacchetta nessuno, perché più che pasta ripiena sono caramelle balsamiche raccolte nel bosco. Cappelletti, lepre, pera cotogna e liquirizia, lo snack per i ragazzi di campagna. Un piatto diversamente grasso. Senza additivi di succulenza se non lo scatto di una lepre, lo schiaffo dell’estratto di ginepro e la cremosità vibrante della pera cotogna fermentata.
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Il piccione fa il suo ingresso in un cirrostrato di alloro. È la sua festa di laurea, con il petto in fuori. Piccione alla brace, estratto di alloro e cipolla al cartoccio. La materia prima è locale, cotta su fiamma violenta 2 minuti per lato e poi al calduccio per 45 minuti, in modo da difendere le fibre e permettere che si ricostituiscano. La sensazione è quasi quella di un “pezzo” a crudo. In realtà è carne di grande struttura, consistente e succosa. Dei sentori ematici e di fegato neanche l’ombra. La coscia è rimessa su a cuocere. Il quinto quarto - cuore e fegatini - è servito sotto le spoglie di uno spiedino cotto alla brace in dormiveglia su foglie di alloro bruciate. Chiudete l’internet.
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Non parliamo del Fucsia, dessert che Gorini proponeva anche nel ristorante di Montiano provocando sempre lieti fini. Puntiamo i riflettori invece su un etereo Semifreddo al raviggiolo, amarene sciroppate, croccante alle noci e vermut 721 di Baldo Baldinini. Semplificando senza mezzi termini, la base è quella del formaggio con le ciliegie, qualcosa di sdoganato e popolare. Qui riproposto in una versione fresca e sapida, quasi dissetante. Con Giulio che ci porta il caffè sotto lo sguardo vigile di Angelo, dovrebbe chiudersi il cerchio. Invece siamo tutti fuori perché è arrivata la Mirna. Si aprono le porte del suo furgone e le frequenze di 20 casse di porcini freschi ci investono in piena faccia. Il cerchio rimane aperto. L’esibizionismo, infatti, a lungo andare è solitudine. L’identità, anche nell’immediato, è relazione.
Foto di Gianluca Poli
Indirizzo
Ristorante Da Gorini
Via Giuseppe Verdi n 5 - San Piero in Bagno (FC)
Tel. +39 0543 1908056
Mail info@dagorini.it
Il sito web