Dopo l’Abruzzo e le Marche, il congresso di Massimo Di Cintio sbarca in Puglia: è una regione che non smette di stupire, fra le più dinamiche d’Italia.
L'Evento
Continua ad espandersi lungo la dorsale adriatica
il congresso di Massimo Di Cintio, che a partire dall’Abruzzo ha toccato (e toccherà nuovamente) le Marche, mentre si prepara a nuovi sbarchi. L’8 ottobre è stato il turno della Puglia, regione fra le più dinamiche d’Italia, protagonista di un restyling permanente di grandi tradizioni e materie.
<br />
<br />
Ad inaugurare il palco è stato Franco Ricatti, papà della nuova cucina pugliese, in duetto con un altro fondatore: De Corato della cantina Rivera. Ha preferito la narrazione allo spadellamento, poiché “la cuisine c’est beaucoup plus que des recettes”, come ripeteva qualcuno. Dalla mancata laurea in giurisprudenza all’apertura di un ristorante “sacrestiale” con i camerieri guantati, fino allo spin-off americano e all’osteria, il suo è stato un prequel appassionante per affrontare le problematiche odierne: la nuova comunicazione imperniata sui congressi, la coazione a innovare, l’imperativo di non copiare.
<br />
<br />
C’è grande curiosità attorno ad Antonio Zaccardi, storico alter ego di Enrico Crippa con mansioni creative, oggi al Pashà con Maria Cicorella, Antonello Magistà e la moglie pasticciera Angelica. Il cambio di paradigma, con il passaggio da una brigata folta a numeri intimi e il nuovo serbatoio di prodotti, sta propiziando una rivoluzione stilistica nel segno della semplicità italiana. Ma restano retaggi di Piazza Duomo, vedi il cuore di lattuga con tuorlo marinato, caprino e cialda filigranata di pelle di pollo, per ricomporre una caesar salad, dove il vegetale continua a essere egemone. A seguire piatti più minimalisti, con un numero ridotto di ingredienti, dove si evidenzia la filiazione dal tandem Cracco-Baronetto, altri mostri sacri sul CV. Rappresentano lo svolgimento di una “baronettata”, colpo sciamanico d’istinto, le cime di calamari e di catalogna, piatto nato dalla similitudine visiva fra i due elementi, più maionese senza uovo del mollusco ed erbe spontanee. Poi il risotto marchesiano al pomodoro, che scodella sul piatto una pizza alla marinara, sotto le acciughe, sopra la polvere di pane tostato. Per finire, squisito, il cannolo di pasta di mela addensata al glucosio con spuma di olio, purea di olive, caramello, cioccolato e sorbetto di limone bruciato per il tipico sgroppino, che chiude il pasto nel registro pugliese dell’amaro.
<br />
<br />
Dopo Daniele Caldarulo del Black and white di Bari, fra le breaking news del capoluogo, autore di una pasta Felicia vegetariana.
<br />
<br />
Teresa Galeone del Già sotto l’arco di Carovigno ha preparato dei friggitelli in tempura al nero di seppia, ripieni di tartare di gamberi con salse ai peperoni, e un uovo a bassa temperatura con le cozze.
<br />
<br />
A sostituire Felice Sgarra, impossibilitato a partecipare, è stato quindi Antonio Bufi delle Giare, interprete della Puglia povera e contadina, aficionado della fermentazione e dello scarto zero. Quindi il Deep purple, cavolo viola in crauti e caramellato, servito con rosolio alle ciliegie, barbabietola cruda marinata all’aceto affumicato, kefir di latte di capre garganiche, emulsione e polvere degli scarti. “Un flipper nel palato, fra acidità, alcol e sale”. Poi i fusilli con la cipolla tostata, i datterini confit, la bottarga fatta in casa e la polvere di sponsali. Infine il finto couscous di cavolfiore con mandorle di Toritto, fragole candite e capperi, sulla falsariga del signature di Adrià.
<br />
<br />
<br />
Un uomo solo al comando: la cucina pugliese è innanzitutto Angelo Sabatelli, che ha presentato sul palco 9 signature, come gli anni di apertura del ristorante. Quindi la seppia cruda in omaggio a Bari, con limone del Gargano, mandorla di Toritto, “liquirizia di mare” a base di ricci e velo di seppia, fra i piatti più imitati della cucina recente; l’acquasale in sfera con gambero, salsa di pomodoro arrosto, olio nero alle olive e polvere di olio; la melanzana alla parmigiana; il manzo crudo con limone nero, nasturzio ed emulsione di ricci al bergamotto; il riso con zucca, erborinato pugliese e salsa al tartufo; il ramen di piccione con vongole e gelatina di agrumi; i tortelli di peperoni arrosto con brodo di olive leccino e cenere; il carré di agnello alla cenere con crema di carote alla fava di Tonka; il bonbon di cioccolato al lampascione e liquore al carciofo, triplice percussione amara.
<br />
<br />
Nella generazione successiva brilla Stefano Di Gennaro di Quintessenza, alle prese con lo sgombro marinato all’aceto e zucchero con cicoriella selvatica di Spirito Contadino e mandorle ad arrotondare; il torcinello e la colazione del contadino, dessert a base di pane, frutta di stagione e ricotta di podolica. “La mia è una cucina semplice che vuole arrivare dritta al cuore, senza orpelli né complicazioni, a base di prodotti del territorio. Come è nel dna della tavola pugliese”.
<br />
<br />
<br />
A chiudere è stato Felice Lo Basso, fresco dell’apertura di Memorie insieme al fratello Antonio in sala e a Giuseppe Boccassini in cucina. Stellato al Felix di Milano, a Trani usa solo prodotti locali, per quanto difficilmente reperibili nel luogo di produzione. È uno snack il cannolicchio in autunno, presentato dentro un cracker di alghe a forma di guscio, con il fungo cardoncello e i mugnoli, che ricordano in bocca i molluschi. Poi riso patate e cozze con il riso selvaggio soffiato, la spuma calda di patate al pecorino e le cozze aperte classicamente. Chiusura per un Lo Basso insolitamente etnico e ruspante: la pignata di fagioli zolfini classica (o quasi), cucinata nella terracotta, con la gallinella.