Dove mangiare in Italia Semplici con stile

Divieto di carne e pesce: la cucina vegetariana di Mirko Moglioni a Il Margutta di Roma

di:
Massimiliano Bianconcini
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ristorante margutta

Una cucina profondamente radicata nella tradizione italiana, dove la difficoltà è realizzare un secondo non avendo a disposizione elementi di pregio come carne e pesce.

La Storia

Un circolo culturale nato nel 1979 a Roma, in via della Vite, è oggi uno dei più affermati ristoranti vegetariani e vegani della Capitale. Quando si dice che “il tempo è galantuomo” non si valuta mai abbastanza questa affermazione. A 40 anni esatti dalla nascita, il Margutta Vegetarian Food & Art non ha cambiato pelle, è semplicemente entrato in sintonia con i tempi. Da progetto visionario e avanguardista, con costanza, è rimasto ancorato alla scelta dirompente fatta alla fine degli anni 70, quando nei cinema imperversava la commedia sexy all’italiana, al Festival di San Remo vinceva “Amare” di Mino Vergnaghi e al Governo il Pentapartito con il Divo Giulio cominciava a creare debito pubblico. Insomma, svanite le contestazioni di Carta 77, il periodo culturale altro non era che un mix micidiale di pop voyeristico e consumistico, che non andava nella direzione auspicata da Tina Vannini  e suo marito Claudio, ancora oggi proprietari e animatori del Margutta.


Un ristorante vegano era un puro azzardo, in tempi in cui con tale nome si definivano i nemici della stella di Vega, i cui esperti in materia erano solo i cartoonist giapponesi. Il movimento, però, fece presa e agli inizi degli anni 90 Tina e Claudio avevano un’impresa con quattro punti di diffusione della nuova cultura gastronomica, che si sa risale al movimento hippy. Un bar, una pizzeria e due ristoranti. Poi è arrivata la crisi; e verso la fine del primo decennio del 2000 è arrivata l’esigenza di raccogliersi in un solo luogo, conservando il locale di via Margutta, situato nella strada dei cento pittori e degli atelier, in pieno “Tridente”, ossia l’area umbertina realizzata dal 1870 in avanti con lo spostamento della Capitale da Firenze a Roma.


Dopo la ristrutturazione del 2015, cogliendo le tendenze in atto, oggi il ristorante assomma in sé l’angolo bar, la pizzeria, il ristorante e la voglia di stupire con mostre fotografiche e pittoriche che di tanto in tanto arricchiscono il già opulento design del ristorante. L’anima da circolo non è mai stata dismessa, così come la voglia di diffondere una cultura rispettosa dell’ambiente e degli animali. Da un paio di anni lo chef è Mirko Moglioni, che ha accettato come sfida di misurarsi in un ristorante in cui vige il divieto di carne e pesce. Strano per uno che ha alle spalle una formazione classica, da autodidatta, e che quotidianamente ha a che fare con menù tradizionali, essendo anche insegnante in una scuola della Capitale. La cosa potrebbe sorprendere, ma è il piacere della sfida, ossia la possibilità di misurarsi con un menù tutto da inventare e che soddisfi il cliente con il gusto, la fantasia e un tocco di originalità che intriga lo chef.


Arrivato in cucina giovanissimo, all’età di 14 anni, per il tramite della scuola alberghiera di Fiuggi, una specie di collegio scolastico, Mirko Moglioni ha alle sue spalle molta gavetta. La sua è una vocazione, come quella religiosa. Lo dice espressamente. Non ha lavorato con chef stellati, non ha fatto corsi di alta cucina o stage. Ha iniziato e non si è fermato più. Solo la curiosità lo ha spinto a crescere professionalmente, inseguendo tecniche, impiattamenti e accostamenti. «Faccio il cuoco dal 1991, da quando nessuno conosceva questo lavoro e nessuno anche lo voleva fare. Oggi, con l’avvento dei social e con il #foodporn che imperversa, tutto è cambiato e la professione è diventata sexy, attraente e ambita».


La vera consacrazione a livello di testa è avvenuta a cavallo tra il 1999 e il 2000 a New York, quando ha lavorato come resident nel ristorante “il Buco”, che vanta di aver dato ospitalità a Edgar Allan Poe nel suo breve soggiorno nel New Jersey. «Qui avevamo gli appetizer che erano 16, sempre gli stessi, e gli special che erano tre paste e tre secondi, due di carne e uno di pesce o viceversa, che cambiavano tutti i giorni. Arrivavo la mattina, aprivo le celle e creavo i piatti secondo quello che avevo. Questo mi ha permesso di crescere molto». Poi dal 2000 al 2007 al Ceppo, in via Panama, ha continuato i virtuosismi di stile iniziati nella Grande Mela, cambiando tutti i giorni dalle due alle tre ricette. Per un anno è stato chef del re Saudita, ha lavorato in ristoranti di solo pesce, da Biff, a Monte Carlo. Si è tolto belle soddisfazioni, capitanando a 24 anni consulenze in Giappone per la Prince Hotel.

Il Ristorante

Un aggettivo valga per tutti. Lo ha utilizzato con decisione e consapevolezza Tina Vannini nella piacevole intervista che ho condotto con lei. Si tratta del termine “opulento”. Il design del locale vuole essere tale, perché per lei non ha senso raccontare un ristorante vegetariano e vegano attraverso allestimenti poveri, semplici, con panche di legno e materiali di riciclo. La natura è opulenta, ricca e dona a piene mani prodotti che, se ben lavorati, possono dare gioia agli occhi e al palato. Possono soddisfare tutti. Sia i cultori di un regime alimentare ferreo per credo e convinzione; sia chi si accosta per curiosità, per essere alla moda, per stupire, per noia, o per altro. La progettazione è dello Studio Devoto Design, che 40 anni addietro aveva confezionato il primo, originario Margutta; e che nel tempo si è distinto per allestimenti al Maxi, alla Nuvola, al nuovo Palazzo Fendi e in giro per il mondo.


Sono stati scelti arredi confortevoli con tavoli ampi, sedute comode, cui si aggiungono divani lussuosi. Ha un bancone da cocktail bar e centrifugati all’ingresso; una sala ad angolo che permettere di accogliere 130 clienti. «Nel momento del restyling del locale abbiamo dato ampio risalto alla cucina, che è passata da 35 a 105 mq, sacrificando circa 20 coperti, perché uno chef per esprimersi al meglio deve avere spazi adeguati; ed è stata ottimizzata da Angelo Troiani», aggiunge Tina Vannini. D’estate, grazie al dehors esterno, si arriva anche a 150 posti. Tutti i giorni a partire dalle 18 fino alle 20 è possibile fare l’aperitivo a buffet con prodotti di alta qualità e tavoli sociali, al costo di 15 €. È previsto un lunch biologico a pranzo, per i tanti uffici e per chi va in giro a fare shopping. La sera invece si propone la carta gourmet con due menu degustazione: quello light da 35 € e quello “Dolce Vita” da 60 €. Il prezzo medio di una cena è di 40 €, bevande escluse. Il food cost si avvicina alla soglia del 30% del prezzo in carta.


«Ci interessa fare dell’alta cucina naturale, gourmet se vogliamo, rispettando la semplicità e la tradizione della cucina italiana, per questo lavoriamo sulle materie prime e sulle filiere etiche. Compriamo uova e formaggi da allevatori che sappiamo con certezza che rispettano gli animali -dice Tina Vannini -.La cucina vegetariana è una cucina complessa, perché trasformare una zucchina in un piatto gourmet è più difficile. Ci sono tanti elementi in gioco, molta preparazione e tecnica, per questo il lavoro in cucina è importante e ci devono essere degli spazi adeguati per la brigata».


La clientela è trasversale. Dai giovanissimi per gli aperitivi, alle coppie che vogliono una serata romantica, ai meno giovani. Il Margutta è frequentato anche da una clientela internazionale che vuole provare la cucina vegetariana e vegana italiana. Ci sono poi romani che hanno trovato qui un punto di riferimento preciso. Il 60% dei clienti è onnivoro, ma la cosa non deve sembrare strana. Bizzarro piuttosto è sapere che l’italiano nel quotidiano mangia vegetariano, solo che non lo collega alla cucina tradizionale italiana. Ma in effetti lo spaghetto al pomodoro è vegetariano. Una bruschetta è vegetariana. Le insalate di pasta o di riso, estive, con patate, pomodori, fagiolini, uova e formaggi freschi alla fine sono vegetariane. Tante ricette regionali con la pasta asciutta sono vegetariane. Insomma è un tipo di cucina che è nel dna della dieta mediterranea e della tradizione.

I Piatti

In questa tipologia di cucina la difficoltà vera è realizzare un secondo non avendo a disposizione elementi di pregio come carne e pesce. Bisogna per questo lavorare molto di tecnica, per dare la sensazione al cliente di ricevere un piatto importante, con sapori e consistenze altrettanto importanti, in modo da non farlo pentire di aver scelto vegetariano. Ma la cosa più importante che bisogna fare è «inseguire il gusto, creare piatti che trasmettano un’emozione. Quando penso ad un nuovo piatto cerco di vedere le cose dal punto di vista del cliente. Cosa mi piacerebbe mangiare? Per questo sono convinto che la cucina classica sia ancora importante e fondamentale, anzi sia la base per una grande cucina gourmet vegetariana», dice lo chef. Il Margutta per lui deve essere un’alternativa valida alle altre forme di ristorazione e deve andare bene a tutti.


«La panzanella è un piatto che mi rappresenta, perché fa parte del territorio laziale», svela Mogliani, aprendo così il valzer delle ricette. È rivista in chiave vegetariana e quindi non è presente l’acciuga. Nella sua versione, vengono ricreati nel piatto cinque pomodori datterini. Si parte dal succo di datterino, frullato, passato al setaccio e condito con una brunoise di verdure, tra cui cetriolo, peperone, sedano, carota e condito con olio, aceto, sale e pepe. A questa sorta di gazpacho viene aggiunta la mollica di pane raffermo. Una volta amalgamato il composto vengono confezionati a mano i datterini che sono ricoperti con una glassa di pomodoro, realizzata con la passata portata a 80 gradi e l’aggiunta di carragenina, che è un’addensante. Dopo viene disposta sul fondo del piatto una polvere di pomodoro, adagiati i datterini e abbinato un gel di basilico e uno di bufala. Il primo è fatto con il basilico sbollentato, freddato con acqua e ghiaccio e addensato con della “agar agar”, un’alga che consente di gelidificare. Stessa cosa per quello alla bufala. Il piatto è terminato con un sorbetto al basilico.


Il Timballo di zucchine e caprino è una sorta di bavarese vegetale, dove vengono prese le zucchine cotte in tegame e stufate con cipolla e basilico e poi frullate. Una volta freddata la crema, viene aggiunto il caprino e amalgamato sempre con un po’ di agar agar e panna montata, creando in questo modo la bavarese. Il composto viene messo in stampi di semisfera, foderati con fette di zucchine. La semisfera di zucchine viene servita con un infuso di latte e menta, ottenuto lasciando macerare per un giorno la menta nel latte per poi portare tutto a 80 gradi, aggiustandolo di sale. L’infuso ottenuto viene versato caldo sulla sfera di zucchina fredda con un finissage in sala. Accanto c’è anche un gelato alle arachidi per dare sapidità al piatto.


Il primo che ci racconta sono i Raviolini ripieni di pesto che vengono serviti su una caponata di melanzane e coperti con un disco di gelatina di caciocavallo adagiato sopra. La caponata è semitradizionale. Le melanzane sono messe sotto sale, tagliate a dadini, fritte, asciugate e scolate. A parte viene fatto un fondo con sedano, cipolla, pinoli, uvetta e olive. Lo si fa soffriggere e si versa lo zucchero. Lo si lascia caramellare e si sfuma il tutto con l’aceto. Poi si mettono i dadini di melanzane e si salta il tutto con una concasse di pomodoro. La melanzana viene disposta al centro del piatto come un ring. Sopra vengono disposti i raviolini fatti in casa in maniera tradizionale, ripieni di pesto anch’esso fatto in casa. Alla fine viene messo un disco di gelatina di caciocavallo, che si ottiene facendo fondere il formaggio nel latte con l’agar agar. Una volta freddato il disco viene messo sopra i ravioli con polvere di capperi per dare sapidità.


Altro primo è il Risotto alla mandorla, mantecato con la ricotta di mandorla fatta in casa e servito con un sorbetto di pompelmo e prosecco e un gel di rucola. La ricotta viene fatta facendo macerare le mandorle con del latte di mandorla per un giorno. Dopo vengono frullate, passate e messe a bollire e viene aggiunto al posto del caglio dell’aceto. Viene messo in forma e lasciato scolare una notte. Per il risotto al Margutta usano il riso Riserva San Massimo tostato in un fondo di olio, burro e scalogno e cotto con del brodo vegetale. A tre quarti di cottura si unisce la ricotta di mandorle e si termina mantecando con del burro acido e parmigiano, per dare la nota sapida al piatto che altrimenti mancherebbe. Il risotto viene poi messo al centro del piatto e servito con un sorbetto di prosecco e pompelmo, mandorle tostate e gel di rucola.


La variazione di melanzane è un piatto “opulento”, interamente dedicato alla melanzana, dove sono presenti cinque differenti tipologie di preparazione. La classica melanzana alla Parmigiana è presentata sotto forma di cilindro, per cui si preparano due dischi di melanzane, messi sotto sale e fritti in precedenza, montati a strati con mozzarella di bufala, pomodoro e parmigiano. Accanto si trova “l’assoluta” di melanzane che è un parallelepipedo di melanzana arrossita, tendente al bruciato, che quando la mangi ci ritrovi cremosità, morbidezza e croccantezza. Arrostita per due ore in forno viene condita con olio, aglio e peperoncino e si serve con sopra un cannolo di stracciatella di burrata. Poi c’è una millefoglie fatta con melanzane disidratate, purea di melanzane e ricotta salata. Accanto alla millefoglie c’è la polpetta di melanzana fritta, per cui vengono stufate, frullate condite e rese a polpette. Infine, accanto alla polpetta ci sono le melanzane sott’olio che vengono prima sbollentate in acqua e aceto, poi tagliate alla julienne e messe sottolio. Tutto il piatto è preparato in casa.

Indirizzo

Il Margutta vegetarian food & art

Via Margutta 118 – Roma

Mail info@ilmargutta.bio

Tel : +39 06. 32650577

Il sito web 

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