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Le cinque migliori osterie del Lazio fuori Roma da provare secondo Slow Food

di:
Massimiliano Bianconcini
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slow food lazio 2

La Città Eterna attrae, diverte e coinvolge soprattutto a tavola, ma non è la sola realtà laziale. Lo mette in chiaro la Guida 2019 di Petrini che assegna ben 7 chioccioline su 10 a osterie fuori Roma.

I Ristoranti

Secondo la Guida alle Osterie Slow Food 2019, nel Lazio ci sono molti locali che incuriosiscono e stuzzicano la fantasia dei buongustai. Tra paesaggi molto meno antropizzati rispetto alla Capitale e il suo hinterland, storiche abbazie e paesini dove il turismo lento si sta affacciando con nuove opportunità di crescita, e motivi per restare anche alle giovani generazioni, un settore che non ha smesso di funzionare è la ristorazione. Però sono solo 10 i locali premiati con una chiocciolina, segno di massima bontà per gli estensori della guida che ha compiuto 30° anno di età. Tra questi sette sono fuori Roma, diffusi per il territorio laziale, la cui tradizione culinaria grazie all’attenzione dei produttori e alla crescita qualitativa dei vini laziali si sta riscoprendo una seconda giovinezza. Quelle che vi racconto sono: La Polledrara di Paliano, Lo Stuzzichino a Campodimele, A casa di Assunta nell’Isola di Ponza, la Taverna Mari a Grottaferrata, la Trattoria del Cimino a Caprarola. Luoghi differenti, paesaggi differenti, uguale attenzione però all’eccellenza e all’accoglienza.

 

 

La Polledrara



Questa osteria, è inserita in un agriturismo con struttura ricettiva. Questo già fa capire come nei piatti che prepara lo chef Vincenzo Amato, cuoco Terra Madre, ci sia il racconto di un territorio, quello di Paliano in provincia di Frosinone. Le materie prime provengono infatti dalle aziende agricole del territorio e dall’orto interno per i prodotti di stagione. Il menù prevede i tipici piatti della gastronomia locale, in cucina insomma si parla il vernacolo ciociaro, con le paste abbondanti e ben condite e la fettuccina che ritorna più volte in carta. Tra le particolarità c’è il fatto che tutti i giovedì sera si trasforma in un agile bistrot contadino, dove il cibo di strada incontra la campagna presentando rielaborazioni con le verdure del luogo. Altra particolarità, una sorta di piccolo brand, è il panino ciociaro che è possibile trovare alla Polledrara. Si tratta di fatto di un panino gourmet che presenta il meglio delle produzioni locali. Il pane è prodotto con una lievitazione a base di bacilli lattici, la cui ricetta sembrerebbe risalire ai monaci di San Paolo Fuori le Mura a Roma. La farcia presenta la salsiccia di Bufalotto di Amaseno, la steccata di Morolo, un formaggio a pasta filante, la cipolla rossa e le verdure di campo dell’agriturismo. Tra i vini non bisogna dimentica il Cesanese del Piglio Docg.

 

Lo stuzzichino



Il locale è semplice e lineare con una certa area d’antan. Tovagliato bianco, tavoli comodi e rustici, pareti chiare e chiaro è anche il pavimento. Tutto fa pensare ad una osteria tipica quasi di montagna, non a caso il ristorante è arroccato a 650m di altezza, nella zona dei Monti Aurunci a Latina. Insomma l’atmosfera è provinciale, eppure i piatti si danno delle arie gourmand, introducendo innovazioni tecniche e anche nominali che potrebbero sembrare ardite e che potrebbero spaesare il cliente, desideroso di trovare a Campodimele la classica cucina tradizionale romana. Il Baccalà a bassa temperatura con puntarelle e caviale d'arancia. Il kebab di agnello con salsa allo yogurt. Il Tortino di broccoletti, provolone tartufo e chips di patate sono solo alcuni esempi di straniamento culinario, che però parlano la lingua del luogo. Come a dire che se anche sorprendenti, in questi piatti ci sono le materie prime del territorio e si può cogliere, come dicono i due fratelli gestori, il sapore dei Monti Aurunci. A studiare il menù ci si perde. Tanti piatti e svariati menù degustazione con percorsi affascinanti che vanno dal baccalà al tartufo e che presentano le marzoline di Itri, fresche o sott'olio, i salumi, i formaggi, le frittelle di verdure, i fegatini di cinghiale, le zuppe di cicerchie, di fagioli o di ceci, le laine (pasta di acqua e farina tirata a mano), e tanto altro ancora.

 

Taverna Mari



Il nome ci dice fin da subito che il locale è ben più di un’osteria. Arredato con molto legno, tavoli di varie fogge e dimensioni, ad una prima e disattenta occhiata ha l’atmosfera un po’ caravaggesca e scura dei ristoranti di provincia. Dopo essersi accomodati, aver consultato il menù, essersi bevuti un primo bicchiere d’acqua, per pulire la bocca e prepararsi al vino, ad un secondo e più attento sguardo emergono i particolari che fanno di questa locanda un luogo raffinato, curato in tutti i particolari, per certi versi anche barocco, ma di un barocco poco invasivo e reso essenziale dalle penombre della sala, presenti anche a pranzo. Il ristorante è a Grottaferrata, nel cuore dei Castelli Romani, a 20 km dal centro di Roma. La cucina è quella tipica romana con diverse occasioni per presentare il quinto quarto, anche e soprattutto negli assaggi dell’antipasto. Le pastasciutte parlano il romanesco come la Gricia, l’Amatriciana, la Carbonara, ma non mancano proposte più elaborate con verdure tipiche laziali come i carciofi o gli asparagi. Una parola va spesa sulla lista dei vini, molto rifornita e che ha portato il Gambero rosso ad assegnare alla Taverna Mari il riconoscimento di “Miglior Cantina della Provincia di Roma”. Naturalmente la scelta delle materie prime è curata e guarda alle produzioni locali, sia per le verdure, sia per le carni e gli insaccati.

 

A casa di Assunta



Per gustare le delizie di questa osteria di mare bisogna prendere per forza il traghetto e approdare in una delle più belle isole laziali: Ponza. Il ristorante è ricavato in una storica casa ponzese. Piccolo e accogliente, arredato con attenzione per far trasparire quanto i proprietari ci tengano, ha una terrazza panoramica che si affaccia sul porto borbonico e che fa innamorare chiunque ci passi la serata. La cucina non può che essere di mare. I piatti sono semplici, senza fronzoli o impiattamenti particolari. Si bada al sodo. Al buono più che al bello. Come quando la nonna, la domenica, presentava la pasta al forno o le cozze gratinate. Qui tutto è fatto in casa, altrimenti non si chiamerebbe A casa di Assunta, come la pasta all’uovo per le fettuccine e i le paste ripiene. Il menù presenta alcune chicche come il pesto di Palmarola, i ravioli di cernia al pesto di pistacchi e ricotta di bufala. La polpa di ricciola con pomodorini secchi e con capperi e origano di Ponza. I calamari ripieni, il coniglio alla ponzese. Tutti i prodotti sono isolani, tranne le patate che vengono da Avezzano. Solo i vini solo laziali, tutti solo laziali, perché qui la tradizione culinaria è quella partenopea, e non troverete amatriciane o carbonare. Nel 1735 infatti l’isola fu colonizzata dai campani per volere del Re Nasone e il dialetto è quello appunto campano. Se volete prenotare stateve accuort’ perché è aperta solo da Pasqua al 10 ottobre.

 

Trattoria del Cimino da Colombo



È dal 1940 che questa piccola e ospitale osteria accoglie i clienti a Caprarola. E la chiocciola Slow Food se la merita tutta. Ma nel tempo sono molti i riconoscimenti che ha ottenuto. Se si pensa che è segnalata dalla Guida Michelin, dal Gambero Rosso, dal Touring Club e dall’Espresso, e ha raccolto recensioni e critiche positive da numerosi giornalisti gastronomici, il sospetto che qualcosa di ineffabile accada al palato dei suoi avventori non lascia dormire la notte. È chiaro che la lunga tradizione che ha alle spalle pesi sulla quarta generazione, che gestisce oggi la Trattoria del Cimino. Ma l’intelligenza sta nell’unire una sensibilità moderna che guarda al lavoro dei nuovi chef e all’attenzione attuale alle materie prime con la storia dell’osteria, conservando il valore della pasta ancora stesa e lavorata a mano, ad esempio. Si propone così una cucina che non si allontana dai sapori tipici, sebbene è ìrinnovata nella composizione e nella forma. Una grande novità rispetto al passato è la cantina con una carta dei vini che presenta all’circa 170 etichette, provenienti non solo dall’Italia ma da tutto il mondo e che pone l’osteria anche come punto di riferimento per appassionati. Tra piatti si possono comunque assaggiare i ravioli di carne con sugo di carboncelli e tartufo, piatto inventato dalla fondatrice Giuditta. I Pici all’Amatriciana, le Fettuccine della tradizione e gli involtini di manzetta maremmana.

Foto copertina di Emiko Davies

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