Brilla la nuova stella di Catania, prima di sempre in città. L’hanno accesa due giovani sognatori: Alessandro Ingiulla e Roberta Cozzetto.
La Storia
“Dell’impressione provata abbiamo un sentimento riflesso, un’idea, un principio di esperienza. Quindi è che sapio, ai Latini, valeva in traslato sentir rettamente; e quindi il senso dell’italiano sapere, che da sé vale dottrina retta”. Citava Tommaseo, in apertura di un racconto, Italo Calvino, per sottolineare la coincidenza etimologica di sapere e sapore. Ha ispirato anche Alessandro Ingiulla, ventisettenne chef dalla testa ricciuta e barbuta come un moro di Caltagirone, al momento di aprire il suo ristorante nella nativa Catania, che di stelle non ne aveva mai avute. Con l’eccezione nel 1959 di Pagano al Mare, che però era ubicato verso Aci Castello.“È stato a 12 anni che ho detto a mio padre di voler cucinare nel ristorante pizzeria di alcuni amici a Nicolosi, che aveva appena ristrutturato. Poteva sembrare un capriccio passeggero, invece non mi sono più fermato”. Da lì le prime stagioni in giro da solo, l’alberghiero dando una mano qua e là e un crescendo di esperienze soprattutto all’estero. Due nomi su tutti: il Grand Hotel di Cannes, dove si è fermato un anno e mezzo, a scuola di cucina classica e internazionale, non senza sciabordii mediterranei, e il Wulfenia in Carinzia per quasi quattro anni, rispettivamente una e due stelle Michelin. “Poi è successo che per due anni ho seguito startup e ristrutturazioni nei ristoranti di una catena alberghiera, quindi ero sempre in giro. Ma quando ho chiesto di fermarmi per fare qualcosa di mio e ho ricevuto un diniego, ho deciso di cambiare”.
Le sirene sono quelle di Catania, dove il padre costruttore e il fratello architetto lo aiutano ad allestire Sapio, negli spazi di tre botteghe chiuse ormai da decenni. L’apertura cade nel gennaio 2017, la stella arriva già nel novembre 2018. La prima di Catania città, certifica Michelin. Con Ingiulla a festeggiarla c’è Roberta Cozzetto, compagna di alberghiero, sezione sala, che lo ha seguito dalla Francia in poi.
Da questa storia, sugli 8 tavoli sparuti fra arredi lineari, arriva una cucina di impronta classica, anzi neoclassica, imbastita però con materie prime locali. Ossessivamente in cerca dei punti di contatto fra l’aristocratica scuola francese e la tradizione plebea siciliana, per esempio nel quinto quarto. “Sono legato visceralmente alla mia terra e ai suoi prodotti, ma mi piace ricordare tutto ciò che ho amato. Della mia formazione mi è rimasta soprattutto la ricerca della pulizia nel piatto, sempre incentrato sulla materia prima”. È spesso di produzione propria: in questi giorni Ingiulla sta raccogliendo le ultime olive di nocellara etnea a 900 metri di altitudine, per l’olio della casa da olivi in siccagno, cioè non annaffiati, che copre il 100% del fabbisogno. Ma nei terreni di famiglia di entrambi i nonni, più qualche integrazione, c’è posto anche per i vegetali dell’orto da coltivazione bio. “Ancora non ci bastano, ma puntiamo ad arrivarci”. Mentre il pesce e le carni arrivano perlopiù da piccoli produttori locali, con l’eccezione del foie gras e del piccione, che però in zona era tradizione. Non va diversamente nella carta dei vini da 380 etichette, per quasi un terzo etnee e per oltre la metà siciliane. Nel cestino del pane la pagnottella a lievito madre modello cuddura per bambini, la mafaldina al sesamo, i grissini nature e al pomodoro.
I Piatti
I menu degustazione sono 3, per un prezzo compreso fra 80 e 110 euro: il Sapore, 4 portate di terra più divertissement; il Sapio, 5 portate dal mare alla terra; il Sorpresa di 9 portate, con fuori carta dalla stagionalità breve, in cui possono comparire vegetali spontanei raccolti dal padre o dal nonno di Ingiulla. A dare il la è una serie di appetizer molto piacevoli: il sedano in osmosi di acqua di mare, croccante come un salatino; la deliziosa gelatina naturale con gli scarti del pesce su cucchiaino di scorza di cedro profumata, sul modello del popolare zuzzu di maiale; la spugna di spinaci sifonata al microonde con maionese montata al momento di uova di montagna e tartufo; il raviolo fritto ripieno di ricotta ed erbe di campo con uova di salmone, per un ricordo di rosticceria catanese, il cui impasto contiene aceto di fico d’India, caffè, noce moscata e anice stellato; il ricco pane sfogliato alle acciughe; l’arancino con melanzane alla brace e panatura al nero di seppia, nel cui centro, al riparo della mozzarella, resta semicrudo un gambero rosso. Dove il concetto è la temperatura al cuore. Mentre sotto l’olivo bonsai ci sono due frutti delle piante di famiglia: il croccante di barbabietola con maionese, scampi e polvere di noccioli di olive, per la nota rancida potente, quasi “insopportabile” al momento della frangitura, e l’oliva in salamoia ripiena di foie gras marinato con latte e grappa di nero d’Avola, cotto a bassa temperatura e setacciato. Per cominciare ad annodare i fil rouge del pasto.
Sono già ottimi gli scampi crudi con caviale, insalatina di latte fermentato per la panna acida, scorza di cedro candito, erbette e mela gelaticola dell’Etna (varietà rara, profumata e acidula, raccolta a 1200 metri, la cui buccia diventa trasparente come gelatina, appunto), emulsione di ricci e fiori di zucca marinati in aceto e zucchero, emulsionati all’extravergine per rafforzare lo iodio su controgusto dolce.
Ma si cresce con lo spaghettone al crudo di gamberi, che viene cotto per metà in acqua bollente e finito in acqua di pomodoro, fino a caramellizzazione, poi raffreddato in una bacinella immersa nel ghiaccio; per condimento un crudo di gamberi rossi, coriandolo, cerfoglio selvatico e finocchietto. Dove la temperatura è la chiave del piatto. “Lo volevo chiamare spaghetto al pomodoro, perché è un omaggio alla cultura dell’avanzo. E che sia servito freddo, oltre al ricordo del frigorifero, aiuta la mantecatura con l’olio”.
Il passaggio alla carne è segnato dall’intermezzo del “marshmallow” all’arancia con foglia di cappero, finta meringa di succo di agrume, acqua e gelatina, senza albume, al posto del classico sorbetto, dove la masticazione gommosa aiuta a ripulire, coadiuvata dall’acidità per il reset.
Poi il gusto prepotente dei tortelli di guancia di maialino nero glassato nel suo sugo con zucca, porcini, polvere di pistacchi e salicornia. Dove l’ortaggio è cotto in forno ad alta temperatura fino a gusto biscottato e ridotto in crema; l’acqua di vegetazione che se ne ricava è addensata e funge da salsa separata dalla purea sul piatto. “Una ricetta nata dalla collaborazione con un’associazione contro il diabete, senza grassi o sale aggiunto”.
Ma Ingiulla predilige i secondi. Lascia il segno il simil Rossini con filetto di manzo spadellato caldo, terrina di foie gras fredda e salsa al Nero d’Avola, più la giardiniera quale elemento di “disturbo” sotto un velo di gelatina, che torna allo scarto zero e alla cultura popolare coniugata alla noblesse.
Ma c’è anche il piccione cotto intero e sporzionato al guéridon, utilizzato da Roberta Cozzetto per diverse preparazioni. Accanto al petto ci sono la terrina delle cosce nella foglia di bieta, per un raddoppio ferroso, il cuore e il fegato macerati in passito e aceto, poi cotti a bassa temperatura e ridotti in crema, la scorzonera, il fondo e un aceto invecchiato 30 anni.
Al predessert defaticante di granita di pompelmo con cioccolato bianco e bergamotto segue un classico babà con sorbetto di mandorla tostata e chantilly alla vaniglia.
Foto dei piatti di Alfio Bonina
Indirizzo
Ristorante SapioVia Messina, 235, 95129 Catania CT
Tel. +39 095 097 5016
Mail info@sapiorestaurant.it
Il sito web