Da Bartolomeo Scappi a Massimo Bottura, un volo d’aquila sulla storia della cucina mondiale e sulle personalità che l’hanno segnata.
La Storia
Chi sono stati i gamechanger della gastronomia mondiale? Se lo è chiesto la rivista tedesca Rollingpin, che ha iniziato la sua ricognizione nel remoto passato. Per la precisione da Bartolomeo Scappi, autore nel Cinquecento della bibbia culinaria Opera, che per la prima volta considerava l’impiego in cucina di spezie e piante esotiche. Un incipit italiano, perché “la culla della gastronomia è in Italia e non in Francia”, come rivendicava espressamente colui che è reputato il fondatore dell’alta cucina.Ma presto il bastone del comando sarebbe passato di mano, stretto nei polpastrelli stranieri di François Pierre de la Varenne, chef digionese passato alla storia per l’invenzione (o il battesimo) della salsa besciamella. Il suo Il Cuoco francese è un altro testo sacro per ogni gourmet che si rispetti. Nata al servizio dell’aristocrazia, l’arte di Gasterea si sarebbe d’ora in poi acclimatata oltralpe, prendendo forma a corte. Qui il rango del cuoco si fece di tutto rispetto e il repertorio si ampliò costantemente per la richiesta di sempre nuove ricette.
A François Pierre de la Varenne fece seguito François Massialot, cuoco di Limoges al servizio di teste coronate e alto clero, cui si attribuisce la creazione della crème brûlée. Nel suo libro Le cuisinier roial et bourgeois le ricette sono per la prima volta elencate in ordine alfabetico. E ancora Marie-Antoine Carême: a lui, che sfamò Napoleone e lo zar Alessandro I, viene ricondotta la mise en place della tavola tuttora in uso.
Se si parla di personalità cosmico storiche, però, il primo nome da fare è senz’altro quello di Auguste Escoffier: è lui ad aver codificato il lavoro di cucina come noi lo conosciamo, con lo chef che chiama le comande, la brigata ordinata secondo un organigramma definito, il servizio in sequenza delle portate. Una rivoluzione che non è ancora esaurita: Le Guide culinaire rappresenta una lettura imprescindibile, come restano nelle carte di tutto il mondo, spesso in veste ammodernata, classici quali la Pesca Melba.
“Toujours du beurre” era invece il mantra di Fernand Point, che alcuni considerano un precursore della nouvelle cuisine. Lo riteneva un formidabile vettore di aromi, ma anche il mezzo per incrementare le vendite di Champagne. Alla sua Pyramide l’ordine di Escoffier diventava la condizione per lo sviluppo della creatività. Fu contemporaneo, tra l’altro, di Eugénie Brazier, prima donna a detenere due volte tre stelle in Francia.
La nouvelle cuisine, allora: l’espressione è sulla bocca di tutti da quando Henri Gault e Christian Millau concettualizzano il movimento nel 1973. Significa maggiore vicinanza al prodotto e una cucina meno dispendiosa, salse meno intense, che non rischino di coprire il prodotto, riflessività indefessa e impiego di nuove tecnologie, creatività ma anche riscoperta del repertorio regionale. Ci furono tempi in cui Paul Bocuse, che poi la rinnegò, utilizzava addirittura un microonde in cucina. “Senza grandi prodotti non c’è grande cucina”, affermava. È l’epoca di Jean-Pierre e Paul Haeberlin, Michel Guérard, inventore della cuisine minceur, Alain Chapel, Jean e Pierre Troisgros, il mediterraneo Roger Vergé e in pasticceria Gaston Lenôtre, teorico dell’alleggerimento in grassi e zuccheri a favore di ingredienti freschi come la frutta.
Allievo di Paul Bocuse fu Eckart Witzigmann, chef austriaco del leggendario Tantris di Monaco e primo a detenere le tre stelle in un paese di lingua tedesca, che così ha omaggiato il suo maestro: “Mi ha insegnato a rispettare il prodotto”. In Svizzera era invece il momento di Frédy Girardet, in Gran Bretagna di Albert e Michel Roux, in Italia di Gualtiero Marchesi. Arriva dopo la Spagna, con la nuova cucina basca di Pedro Subijana e Juan Mari Arzak.
Nel frattempo la Francia non era solo nouvelle cuisine: vedi la formidabile ascesa di Joël Robuchon, “cuoco del secolo” che arrivò a detenere 30 stelle in tutto il mondo, e la genialità pura del fuoriclasse Pierre Gagnaire, apripista della fusion e della molecolare. Tuttora semplicemente se stesso, con lo sguardo ben piantato nel futuro. Ma è stato Alain Ducasse il primo a detenere contemporaneamente tre stelle in tre diversi ristoranti, finendo per guidare un impero di 30 locali, oltre a firmare opere miliari come il Grand Livre de Cuisine. Già nel 1973 Nobu, al secolo Nobuyuki Matsuhisa, aveva aperto le danze della contaminazione, sulla spinta di contingenze biografiche: trasferitosi in Perù, non aveva reperito in loco gli ingredienti indispensabili per le ricette del suo ristorante giapponese. Oggi la sua cucina è presente in tutto il mondo.
Il filone naturalistico del protagonismo vegetale fu invece inaugurato da un autodidatta, Michel Bras, che nel 1992 aprì il ristorante Le Suquet con la moglie Ginette a Laguiole. A lui si devono, fra le altre cose, un nuovo stile di impiattamento e il dessert coulant au chocolat, fra i più replicati della storia della cucina.
Ma la fine del ’900 porta soprattutto il segno di Ferran Adrià, che introdusse nella cucina innovazioni dirompenti in termini tecnici, tecnologici, di contaminazione con la scienza, l’industria alimentare e l’arte. Nel suo elBulli, all’epoca primo ristorante del mondo, la creatività non era frutto di ispirazione estemporanea, ma organizzazione e lavoro in laboratorio a ritmi mai visti prima. A lui si devono arie, spume al sifone, sferificazioni, l’uso di additivi e lo schema della destrutturazione, con la rielaborazione di piatti preesistenti sotto sembianze e consistenze stranianti. Il maestro dei fratelli Joan, Josep e Jordi Roca, interpreti del “tecnoemozionale”, e di Andoni Luis Aduriz, influenzato però anche da Bras in senso “tecnonaturale”.
Il resto è attualità: Heston Blumenthal, Alain Passard, Grant Achatz e Dani Garcia, René Redzepi, apripista del New Nordic e della voga locavore nel filone naturalista, e Massimo Bottura, alla testa di una terza rivoluzione, dopo la nouvelle cuisine e la molecolare: quella dell’impegno attraverso i refettori, dopo il periodo tecnoemozionale e la contaminazione concettuale con le arti visive.
L’alta cucina è ormai globale: dal Perù di Gaston Acurio e Virgilio Martinez al Brasile di Alex Atala ed Helena Rizzo, i gamechanger possono ormai nascere a qualsiasi latitudine, rivoluzionando con un battito d’ali la gastronomia mondiale.