Chef innovativo, ricercatore e forager, Rodolfo Guzman racconta il Cile attraverso i suoi piatti: il suo Boragò, considerato il Noma cileno, al 26esimo posto nei 50Best, al 4 post in Sud America e primo in Cile.
La Storia
C’è una linea che divide la storia della cucina cilena, un prima e un dopo netto che ne determina la profonda concretizzazione. Sì, un prima e un dopo: si chiama Rodolfo Guzman.Chef innovativo, ricercatore, forager e profondo appassionato della terra natìa, Rodolfo Guzman racconta il Cile attraverso i suoi piatti, ne schiude la scoperta di prodotti la cui essenza è strettamente e indissolubilmente intrecciata con quella del territorio. Perché lì, in Cile, la cucina non ha mai veramente avuto delle tipicità, non è mai proliferata una vera e propria cultura gastronomica, il mondo culinario era solo quello proveniente dall’estero, dalle sensazioni e percezioni esterne. E Guzman ha cambiato questa visione, ha stravolto il concetto di ristorazione in una realtà dove non ne veniva percepita la possibilità.
“In Cile il cibo era visto come sostentamento – racconta Rodolfo Guzman – la sua economia è cresciuta solo negli ultimi cinquant’anni e non è mai esistita una vera conoscenza del patrimonio naturale, della ricchezza e biodiversità che contraddistingue le diverse aree del Paese”.
Nato e cresciuto a Santiago, quando inizia Rodolfo Guzman ha vent’anni, un giovane pieno di curiosità e illusioni. Dopo gli studi vola in Spagna, nelle cucine del Mugaritz. È un apprendista che non si ferma, che assorbe, immagina e crea sviluppando quelle idee che lo accompagneranno durante la sua crescita come professionista. Si tratta di una ricerca quasi viscerale della propria eredità culturale, di quella del popolo da cui proviene, i Mapuche, in un cammino di riscoperta e presa di coscienza. Quello che porta avanti e costruisce con il cibo è un approccio antropologico, una analisi condotta non in solitaria ma collaborando con gruppi di ricerca, nutrizionisti, neurologi e scienziati per approfondire e disegnare in modo chiaro e distinto quell’affascinate relazione che lega alimentazione, cultura, storia e radici di una terra. Di più terre e genti.
“Le condizioni geografiche e la biodiversità del Cile sono uniche al mondo. Microclimi differenti portano alla nascita di molteplici specie naturali, il cui potenziale gustativo e organolettico diventa un universo da svelare”. Così, quelle che prima risultano essere le illusioni di un ragazzo, si trasformano in possibilità per un uomo che si lascia trasportare dalla fame di sapere, di trovare, di dare voce. Un viaggio lungo tutto il Cile, nelle zone desertiche a 4000 m di altitudine, verso la costa e l’oceano, tra i piccoli produttori e allevatori.
È il 2006 quando nasce “Boragò”, il suo regno espressivo dove a parlare è la nuova tradizione gastronomica del Cile, quella che lui ha saputo riscrivere, attraverso proposte che parlano di natura, montagne, gestualità e preparazioni antiche che rimandano ai Mapuche. Semplicemente ingredienti autoctoni. Ecco perché la risposta iniziale della clientela, abituata al foie gras francese e a eccellenze importate viste come le uniche bontà da assaporare, non è positiva…anzi. Il Boragò rimane vuoto per anni. Ma Guzman ci prova ugualmente, stringe i denti e usa il tempo a disposizione per studiare e classificare ciò che trova.
“I primi sei anni sono stati molto difficili, ho anche pensato di chiudere ma qualcosa mi diceva di aspettare. Nel frattempo ho condotto le analisi che tanto anelavo, ho viaggiato nel Paese, sperimentato e classificato i molteplici prodotti che ho avuto la fortuna di scoprire. Diciamo che ho creato una vera e propria enciclopedia del cibo, una lista dettagliata delle meraviglie che questa terra ha da regalare. Ogni ingrediente significa una o più possibilità prima inimmaginabili, si trasforma nel corso della sua vita diventando di volta in volta una opzione di utilizzo diversa”.
Nel 2013 qualcosa cambia, il destino del Boragò prende una strada inaspettata: il nome appare nella lista dei migliori ristoranti del Cile. È la svolta, quella messa in luce che tanto Guzman aspettava, il premio per non aver lasciato perdere. La sua cucina, tanto alternativa, rivoluzionaria e contrastante, convince. Una ascesa che non si ferma e che lo ha portato a essere il primo ristorante in Cile, al quarto posto in quelli del Sud America e al 26esimo nei 50best al mondo. E lui, Rodolfo, mantiene la sua spinta appassionata, si emoziona e non si monta la testa. Lascia che sia la sua arte culinaria a narrare per lui, il resto lo fa l’orgoglio per il lavoro di questi anni e per l’aver ridato il giusto rispetto alla cucina del suo Paese.
Un rispetto che porta fuori dai confini nazionali per raccontarne sfumature e percezioni. Lo fa nei convegni, tra le giovani leve del mondo della ristorazione, con gli alunni (l’ultima sua masterclass lo ha visto protagonista di uno scambio culturale presso l’ALMA, La Scuola Internazionale di Cucina Italiana), con quella viva e pulsante passione che si imprime in chi lo ascolta.
Poi ecco il Centro di Investigazione Boragò: un luogo aperto, “perché è giusto mettere a disposizione di tutti quello che ha cambiato, e cambierà ancora, il modo di vedere la cucina in Cile. E questo non solo dal punto di vista alimentare, ma anche curativo e farmaceutico. Il mondo naturale ha poteri eccezionali per l’essere umano”.
I Piatti
Quello che propone con il suo modo di fare cucina è un viaggio stravagante tra ricette dimenticate, come il Pullmai, una zuppa tradizionale di carne e pesce servita fredda; Le Foglie di Cavolo Cappuccio latto fermentate ed essiccate, una rarità dalle percezioni che ricordano la liquirizia; le pittoresche Calendule alla Van Gogh e vescica con spugnole, ovvero Cochayuyo (alga oceanica) lavorata come una vescica, ripiena di porcini, burro alle alghe, timo limone e limoni in conserva.
Pastel de cigala, rock puré e caldo de kolof: scampo cotto e passato nella salsa preparata con la sua testa, avvolto in foglia di bietola e coperto con rock purè (fave, cipolla, peperone, nero di seppia e spezie). Il brodo di alga kolof a completare, insieme a foglie di pianta grassa la colorano.
Pato añejado en cera de abejas con hojas de ciruelo marchitas en miso-murra: anatra stagionata in cera d’api; il petto viene arrostito e affettato. Il letto è composto da miso di murra (mora patagonica), e per terminare foglie di prugno rosso fermentate.
Ice brulee de plantas del desierto de Atacama: il dolce, anzi, i dolci che ricordano il Deserto di Atacama. L’interpretazione della creme brûlée decorata con una lastra di ghiaccio che copre lo yoghurt di kefir, gelatina di fragola del deserto e bitter di tola tola, ossia un frutto selvatico. Il sandwich gelato vede protagonisti la rosa del año insieme al cachiyuyo.
Estremo? Forse. Ma Boragò, considerato oggi come il “Noma” cileno, è la concretizzazione di una circolarità naturale, che va oltre i semplici passaggi conosciuti tra ingrediente e preparazione.
“Boragò non è un concetto, piuttosto la prosecuzione di un processo nato con il popolo Mapuche. È la circolarità che accarezza tutti i processi, perché la cura che noi poniamo nel realizzare le pietanze è stata preceduta dal lavoro e dall’attenzione di chi ha allevato e coltivato”.
Indirizzo
BoragòAv. San José María Escrivá de Balaguer 5970, Región Metropolitana, Chile.
Tel. 56 229538893
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