Al Pappagallo di Bologna, santuario centenario della bolognesità, Marcello e Gianluca Leoni, insieme a Michele Pettinicchio ed Elisabetta Valenti, rispolverano gli evergreen di una cucina gloriosa, in cerca del riscatto.
La Storia
Guarda passare le genti da cent’anni, al Pappagallo di Bologna. E “la gente passando si ferma a guardarlo”, come nella poesia di Palazzeschi, più che mai oggi che fra le Due Torri e Piazza Santo Stefano pullulano i turisti in cerca di tipicità cittadine. Tanti hanno letto di un ristorante inaugurato nel 1919, dove officiava un certo Zurla, fra i padri della cucina bolognese, oggi famosa in tutto il mondo. Uno che le ricette le ripeteva e le canticchiava con estro, svolazzando sul trespolo della storia.Le gestioni si sono succedute una dopo l’altra, scivolando con la città nel torpore. Fino al colpo d’ala impresso nel 2017 dalla nuova proprietà, quei Michele Pettinicchio ed Elisabetta Valenti, decisi a riportare l’esercizio agli antichi fasti e restituirlo ai cittadini. Investendo sul centro storico come in pochi hanno tuttora in animo di fare: già in agenda sono nuovi lavori, per aprire una saletta nella duecentesca Torre Alberici, collegandola al locale, e spostare il bar all’ingresso del ristorante. “Veniamo dalla moda e vediamo molte similitudini fra questi mondi”, spiega Pettinicchio. “Sono fatti di pensiero, creatività, colori, tattilità, ma la cucina vince perché ha odori e sapori. La mia maniacalità nel ricercare uno stile viene da lì. Arrivando mi sono occupato personalmente di cucina e cantina, valorizzando la mia cultura gastronomica bolognese. Quindi la selezione delle materie prime, come il culatello del Salumificio Angelico di Soragna, la mortadelleria di Villani e il pollame della macelleria Ranocchi; abbiamo cercato di riportare le ricette alle origini, cercando i modelli di Zurla e studiando i vecchi testi alla Camera di Commercio, ma alleggerendo i tempi di cottura. Fino a vincere il Tortellino d’oro”. Quattro mesi fa la svolta, con l’arruolamento di Gianluca Leoni, talento volante della cucina italiana, raggiunto un mese fa dal fratello siamese Gianluca. “Per salire ancora più su”.
I due Leoni, nati rispettivamente ad Alfonsine e ad Argenta, racchiudono nel loro bagaglio uno spaccato insolito di grande cucina italiana: prima il Trigabolo di Argenta con Igles Corelli e Bruno Barbieri, poi il lungo sodalizio con Gianfranco Vissani, che tuttora si protrae in occasione di feste ed eventi. Tanto che Marchesi pungolava: “Per essere due cuochi perfetti, vi manca solo un’esperienza con me”. Ma il legame con il gigante umbro è viscerale: “In quanto a conoscenza del prodotto, non ce n’è un altro in Italia. L’ho visto mettere in buca i migliori sulle loro stesse materie. Poi questa maniera barocca di intervenire e la costruzione di piatti inconfondibile, che ne fanno forse l’ultimo grande interprete della cucina italiana. Ancora mi influenza, come i passaggi a Villa Mozart e alla Subida, come i tanti anni al Trigabolo. Ricordo che quando il Gambero Rosso ci chiamò i Beatles della cucina (e a me i Beatles non sono mai piaciuti), mi definì la pecora nera e mi piacque, perché mi immaginavo Jimi Hendrix lì dietro. Chi fa questo mestiere è influenzabile, sempre”.
Consulenze e start up degli ultimi anni hanno allargato e pacificato la sua visione, “perché più cucini, più sei in esercizio; ma è anche vero che più sei dentro, meno guardi fuori”. Rispetto alla bella stagione del Sole di Trebbo di Reno, per tanti anni il migliore ristorante di Bologna, la rivoluzione è copernicana. “Perché a quei tempi per me e mio fratello il piatto della cucina tradizionale rappresentava un punto di arrivo. Facendo creatività, la lasagna non sarebbe stata capita; avremmo potuto proporla, solo dopo aver dimostrato tante altre cose, come facemmo infine in un menu del 2009. Mentre al Pappagallo l’eccellenza della tradizione rappresenta un punto di partenza. È un ristorante che ha la città in mano: qui sono nati la cotoletta alla petroniana, il tortellino e la lasagna goccia d’oro. Per me è come l’Hotel Sacher di Vienna, dove si va per una fetta di torta. Al Pappagallo devi fare una grandissima cucina del territorio, con pensieri e materie alte. Poi da lì puoi uscire. Forse”.
“Penso al risotto allo zafferano e Balsamico che ho ordinato una volta dal Pescatore. Sapevo di avere parametri certi in materia, per via di Gianfranco e dei premi ricevuti; invece l’ho trovato imperfettibile. Era impossibile dire: ‘ma forse’… Come un piatto preso e lanciato nel tempo e nello spazio. Questo devono essere i tortellini del Pappagallo e ci stiamo lavorando alacremente. Quando sono entrato per la prima volta, ho pranzato e il tortellino era perfetto, preciso. Mi sono riproiettato su quella storia, per centrare ancora meglio ciò che di buono che già c’era, grazie a Betta e Michele: vogliamo creare uno standard di ciò che deve essere fatto, anche perché nei servizi concitati possiamo arrivare a 150 coperti. Come un McDonald virtuoso. Il ragù, per esempio: ho scoperto che nessuno produce più la macina giusta, foro 14, ma così diventa un omogeneizzato grigiastro. Oppure dettagli come la grana del Parmigiano, il tipo di vino in cucina, i tagli di manzo, la galantina di pollo da tenere morbida e rosa. Insieme abbiamo fatto una serie di prove, catalogato i prodotti e come interagiscono, fino a censire qualche refuso della tradizione, dove gli errori a volte si tramandano”.
Poi c’è qualche piatto più contemporaneo, senza eccessivi tecnicismi, talvolta di pesce, con lo zampino di Valentina Tepedino, grande esperta di mare. Mentre le altre materie restano perlopiù quelle selezionate da Michele. Le idee provengono quasi sempre da Marcello, frontman del duo, ma Gianluca è colui che le realizza sul piatto, anche tecnicamente.
I Piatti
I degustazione sono tre: il Vegetariano (70 euro, 100 con vini), il Menu della Memoria (70 e 110 euro), Al Pappagallo con una creatività misurata (90 e 140 euro), più una colazione di lavoro con calice di Cantina Della Volta a 38 euro. Ma di fatto ovunque, sul marmo grezzo del savoir-faire, si avverte il tocco evoluto della mano dei Leoni, in un fiorire di attenzioni preziose e schive. Il pane è di Brisa; le referenze in cantina 300, con pagine dedicate ai Riesling e al pinot nero, una collaborazione da ambassador con Cantina della Volta, Champagne Bergère e Palazzona di Maggio.A rotazione sono irresistibili gli appetizer, che miniaturizzano in chiave finger le icone cittadine, dai raviolini ripieni di ragù serviti al fazzoletto, come in Piemonte, ai tortellini goccia d’oro sul cucchiaio. A mo’ di tapas scanzonate, ma fedeli e si direbbe quasi ossequiose.
Sono poi immancabili i tagliolini in doppio brodo di cappone alla lavanda, che riprende le note del Parmigiano, e i tortellini goccia d’oro, con crema di Parmigiano all’uovo, leggermente rivista a fini di leggerezza e freschezza, in sottrazione. Oppure la sontuosa lasagna con funghi, tripla salsa (ragù bianco di vitello, mornay e goccia d’oro) e una nevicata di tartufo. Finalmente azzeccata poi la cotoletta, perfezionata nella consistenza del Parmigiano, dalla giusta stagionatura, nello spessore del prosciutto e soprattutto nella caratteristica reidratazione, grazie a diversi passaggi in forno con una miscela di acqua e brodo e successive vaporizzazioni, che la rendono cremosa ma non grassa.
Fra i piatti “creativi” il baccalà mantecato con zuppa di porri e raviolini di patata al tartufo, che arricchiscono il morso e scompigliano la sequenza, traslando la pasta in antipasto e giocando su un concetto di vichyssoise; o la sogliola alla mugnaia, con il fondo bianco preparato a parte per tenere leggera la cottura. In chiusura la tenerina con gelato di mascarpone, gocce di lavanda e salsa al caramello salato.
Indirizzo
Ristorante Al PappagalloPiazza della Mercanzia n 3, Bologna
Mail ristorante@alpappagallo.it
Tel. +39 051 232807
Il sito web