Il bilanciamento fra vita privata e lavoro non è più una questione squisitamente femminile: anche gli chef rivendicano il diritto a godersi una paternità, che definisce il loro successo nella vita, prima che sulle guide.
La storia
Ha fatto rumore, in Italia, la scelta di Franco Aliberti, che ha privilegiato la famiglia sulla carriera dopo la paternità. Ma non è l’unico cuoco ad avere avanzato l’istanza del corretto bilanciamento fra vita privata e professionale, che finora si pensava prettamente femminile. In Spagna, per esempio, c’è Nino Redruello, chef che rappresenta la quarta generazione di una fortunata stirpe di ristoratori madrileni, l’ultracentenaria Familia La Ancha, e che oggi guida otto ristoranti e un delivery. Soprattutto è il padre di quattro figli: Nia, Diego, Ninin e Nicolas.“Mi piace ripetere che sono padre di famiglia e cuoco, in quest’ordine”, rivendica. “Puoi avere molto talento e successo sul lavoro, ma per me la prima cosa resta la famiglia. Il successo non dipende dal numero dei ristoranti, dei dipendenti o del fatturato, ma dal godersi l’equilibrio di una vita personale ed emozionale piena e da una professione che ti faccia sentire realizzato. Se devo scegliere, tengo la vita familiare e questo si nota”.
Lo sforzo è anche quello di tenere fuori i bambini dal tamtam mediatico. “A loro non racconto niente, non mostro né interviste né articoli di giornale. Quando abbiamo montato l’escalope Armando, hanno fatto una pubblicità con la mia foto sulle pensiline di Madrid. Allora mi sono accordato con mia moglie affinché i bambini non la vedessero. Non volevo che sviluppassero una percezione distorta di quello che siamo: ristoratori che servono altre persone. Voglio che restino così, nella semplicità e nell’umiltà. Evitiamo che crescano vedendo una fama che non è tale”.
“Mi piace quando dico ai miei figli che vado a lavorare e mi chiedono di non farlo. Spiego loro che è il mio dovere. Così giorno dopo giorno impareranno il valore del sacrificio, che non si può stare a guardare la televisione. L’ho appreso dai miei genitori e credo che l’esempio sia un dono per i figli, lo fanno proprio e si risparmiano drammi futuri, perché la vita è complicata. Se non fosse per lo sforzo e la costanza di mio padre, mio zio e mio fratello Santi, oggi sarei il cuoco di qualche taverna e poco più. Non sarei stato capace di aprire niente”.
Le inaugurazioni invece si sono succedute a ritmo serrato con la complicità di Santi, più vocato per il business, tanto che oggi i locali sono otto. Ma Nino è anche consulente per il progetto Carne di Mauro Colagreco a Madrid, mentre la quinta generazione inizia a giocare con pentole e coperchi.
Fonte: telva.com
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