Alvaro Arbeloa, apripista della cucina giapponese in Andalusia, invita i ristoratori a scrollarsi di dosso i cliché: “Questo lavoro ci soddisfa e ci fa vivere bene. Neppure i medici possono staccare in mezzo a un’emergenza”.
La notizia
La cucina giapponese in Spagna si chiama Arbeloa: sotto il marchio Ta-Kumi, condiviso con la moglie Anabel Amuedo e i soci Toshio Tsusui ed Emi Noda, la gastronomia nipponica di alta fascia si è fatta strada da Marbella e Malaga, fino a Madrid, sede dell’ultima apertura. E dire che tutto era iniziato sotto il segno della paella, quando appena ventiquattrenne Alvaro aveva aperto il primo ristorante di cucina spagnola a Shanghai, un azzardo in piena regola, quando la Cina era ancora avvolta dal mistero.È stato allora che è entrato per la prima volta in contatto con la cucina giapponese, grazie al ristoratore che lo aveva ingaggiato e che stava contemporaneamente aprendo un locale di tutt’altra ispirazione. “E mi è piaciuta, ma la vita ha continuato le sue giravolte. Dopo la Cina sono stato in Uruguay, poi in Messico e a Mallorca, lavorando sempre presso strutture alberghiere. L’ultimo era un resort molto grande, con sei o sette ristoranti, che io coordinavo. Li gestivano Toshio ed Emi. Funzionavano perfettamente, non dovevo preoccuparmi di niente”. Da lì la decisione, nel 2010, di montare insieme il primo Ta-Kumi Marbella, per dare una casa ai figli piccoli. “Lo sforzo economico è stato enorme, ma è andata bene”, sospira. Così bene che dopo venti mesi, c’era già da traslocare in un posto migliore. Poi Malaga e recentemente Madrid, che, dice, è come giocare in Champions.
“Ta-Kumi è cresciuto poco a poco, ma ultimamente stiamo notando che sempre più persone cercano un sushi di qualità e un servizio all’altezza, e anche che c’è una maggior quantità di stranieri che conosce e apprezza la buona cucina giapponese”. Il servizio, guidato da Anabel, gioca infatti un ruolo di primo piano. “Non condivido l’idea corrente che il settore sia penalizzante a causa degli orari. Ci sono tanti lavori complicati. Per esempio nella sanità, qualcuno pensa che un medico possa staccare in mezzo a un’emergenza, perché è finito il suo turno? Bisogna controllare abusi e irregolarità, come nell’edilizia o in agricoltura, ma bisogna anche che ci scrolliamo di dosso questa immagine negativa. Ai nostri figli, io e mia moglie abbiamo dovuto spiegare perché non partiamo d’estate, quando i loro amici vanno in vacanza. La nostra esistenza è così, sono stili di vita differenti, ma questo ci soddisfa e ci garantisce un buon tenore di vita”.
“Il segreto della cucina giapponese credo stia nella ricerca della purezza e della semplicità, dietro la quale si nasconde sempre una grande complessità. Da un nigiri puoi fare la radiografia di un ristorante, perché puoi valutare molte cose. La qualità del riso, il lavaggio del chicco, il punto di aceto, la manipolazione, la qualità del pesce, il suo taglio. Ci sono tante tecniche in una sola pallina. Esiste qualcosa di più semplice? Probabilmente no, ma può essere un boccone meraviglioso oppure orribile. Non c’è niente di più sgradevole che ingurgitare una pallina di riso fredda, acetica, appiccicata. Puoi metterci il miglior pesce del mondo, ma non c’è niente da fare. Significa dare importanza a ogni gesto”.
Fonte: Siete Canibales
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