Chef

Massimo Bottura e gli altri colleghi raccontano Georges Cogny: la cucina di un marziano in Val Nure

di:
Alessandra Meldolesi
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ricordo george cogny

Massimo Bottura, Filippo Chiappini Dattilo, Carla Aradelli, Isa Mazzocchi, Daniele Repetti: c’è un angolo d’Italia dove l’albero degli chef ha una genealogia indubitabile. Il seme si chiama Georges Cogny, parigino di Versailles da cui è germogliata una generazione di cuochi

La Storia

Massimo Bottura, Filippo Chiappini Dattilo, Carla Aradelli, Isa Mazzocchi, Daniele Repetti: c’è un angolo d’Italia dove l’albero degli chef ha una genealogia indubitabile. Il seme si chiama Georges Cogny, parigino di Versailles da cui è germogliata una generazione di cuochi. Chef autodidatta, fu per amore di una ragazza piacentina, Lucia Cavonna, che staccò un biglietto di sola andata per l’Italia, destinazione Val Nure. La Locanda Cantoniera doveva essere una trattoria popolare, ma ben presto il suo talento ai fornelli attirò gourmet smagati come l’avvocato Salvino Dattilo, padre di quel Filippo Chiappini Dattilo, destinato a succedergli all’Antica Osteria del Teatro, dove Cogny traslocò dal 1977 al 1987. Prima di tornare a casa per ragioni di salute, senza per questo lasciare la cucina, insieme all’ultimo respiro, fino al 2006.


La sua era una cucina avanzatissima per i tempi, mix eclettico che apriva le basi classiche alle suggestioni della nouvelle cuisine, compresa la valorizzazione di prodotti e ricette del territorio. Non mancavano i grandi piatti di selvaggina, quindi, a fianco di sublimi riletture dei tipici pisarei e fasò. Il piatto firma, tuttavia, tuttora eseguito fedelmente da Riva, era un tortino di cipolle al tartufo, ellissi culinaria di pulizia esemplare.

 

Massimo Bottura



Così lo ricorda Massimo Bottura, dopo avere rievocato la rezdora Lidia Cristoni, affiancata a Campazzo: “Georges è stato una delle persone più importanti per la mia vita. Mi ha insegnato l’importanza della tecnica classica francese, del legame col territorio ma soprattutto mi ha aiutato a capire come usare il palato. Una notte di rientro da una serata straordinaria in Piemonte, per la promozione dei Sauternes, gli chiesi perchè mi avesse messo in imbarazzo davanti al suo secondo di cucina, chiedendo a me cosa ne pensassi dell’antipasto che stavamo per servire. Mi rispose: ‘perchè il tuo palato farà conoscere Modena al mondo’! Al momento non diedi peso alla cosa ma negli anni capii l’importanza di quell’affermazione. Mi aiutò a capire cosa significasse credere in sé stessi ascoltando sempre il proprio palato! Lui e Lucia formavano una coppia fuori dagli schemi, fuori dalle rotte tradizionali, fuori da ogni moda ma i gourmet più importanti del mondo, in pellegrinaggio gastronomico in Italia, trovavano sempre tempo per deviare sulla A1 verso la Cantoniera e godere della loro grandissima cucina.”

 

Filippo Chiappini Dattilo



Sarebbero tantissime le cose da dire. Ho conosciuto Georges nei primi anni ’70. Mio padre era insegnante a Farini e fummo invitati alla Cantoniera. Una folgorazione per quella che era la cucina di un marziano, capace di incantare noi terrestri. Ricordo tantissime cose: un turbante di riso tipo savarin ripieno di animelle cremose e croccanti, salpicon di asparagi e piselli delicatissimo, un’ambrosia. Poi straordinarie capesante con crema di porri e tartufo nero dei colli piacentini. Georges mescolava queste grandissime cose, che apprezzavano solo i gourmet, ai nostri tortelli e ai pisarei, che era obbligato a fare. Aveva una grandissima mano sul pesce di fiume, dalle trote ai gamberi, in gratin o pasta ripiena, e un’attenzione maniacale per i prodotti di eccellenza, il burro, la farina, i salumi che commissionava ai norcini del posto. A noi ragazzi trasmetteva una grandissima passione: è stato grazie a lui se sono arrivato in Francia. Ma ad affiancarlo avevo iniziato a casa, quando veniva a fare le cene per gli amici di mio padre. Parlava un francese piacentinizzato che andava sempre interpretato e sulla pasticceria era imbattibile. Tante cose le aveva intuite in anticipo: nei suoi pochage e mijotage si celava una bassa temperatura ante litteram. E i grandi passarono tutti, Marchesi come Santin: da una scintilla, un grande fuoco”.

 

Carla Aradelli



Avevo 17 anni: un mondo lontano, ma molto bello, completamente diverso. Avevo tanti problemi a casa e per me Georges è stato una figura paterna, oltre la cucina, da cui ho cercato di emanciparmi, anche se alla fine non ce l’ho fatta. Sono rimasta una donna che fa la cuoca: per me la giacca non è una seconda pelle, ma un fastidio. Lui era tecnica, io sono a metà fra cuore e cervello. Sono sedotta dalla semplicità di un’erba di campo e di un fungo spontaneo, che poi semplici non sono”.

 

Isa Mazzocchi



“Per me è stato fondamentale: mi ha dato la chiave per aprire il mio talento. Era il 1986, la mia era una visione molto tradizionale e tante informazioni erano solo sui libri. Mi ha dato modo di poter cucinare il territorio con una tecnica avanzata e la visione della nouvelle cuisine, di cucina espressa e integrità dell’ingrediente. A livello umano poi ho sempre trovato un uomo schivo, di poche parole, vicino in questo a me. Erano i gesti che parlavano, come in casa. Questi suoi silenzi, il suo mix di francese e dialetto talvolta potevano mettere in difficoltà. E non ti dava un’altra opportunità. Veniva da te, ti indicava gli ingredienti e ti diceva a modo suo che farne. Se non capivi, passava a un altro. Perché si dava a chi sapeva mettersi all’ascolto. Una volta chiuso il ristorante, mi ha sempre sorpresa che ogni volta che lo visitavo, fosse seduto con un libro o una rivista francese diversa. La sua voglia di continuare fino alla fine ad apprendere non si è mai esaurita. Coltivava la curiosità senza abbandonare il sogno di tornare ai fornelli”.

 

Daniele Repetti



"Ricordo un giorno impiattando un’insalata di piccione con i fagiolini, aveva fatto un capolavoro. Una farfalla, tanto semplice quanto elegante. Non improvvisava, ma aveva una naturalezza nei modi di fare e nel gusto. Per l’epoca era avanti anni luce”.

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