Passato il momento più crudo dell’emergenza, si tratta di organizzare risposte e metterci la faccia. Ferran Adrià e Joan Roca ci hanno provato nel corso di un dibattito organizzato dal quotidiano “La Vanguardia” a Vilajuïga.
La Notizia
“Non è facile partecipare a un dibattito con Joan Roca”, ha esordito Ferran Adrià. “Visto che siamo d’accordo nel 99% dei casi. Ci proveremo comunque, visto che attraversiamo un momento in cui ci sono tante emozioni ogni giorno, ma continua a mancare un pochino di analisi”.“Fortunatamente stiamo bene, incrociando le dita perché il panorama è incerto”, ha incalzato Roca. “Siamo sani e il ristorante gira, anche se i nuvoloni non si sono dissolti del tutto e la situazione resta complicata. Il settore della ristorazione è quello che soffrirà di più le conseguenze di questa crisi, cui cercheremo di adattarci settimana dopo settimana”.
F.A.: “Io mi sento un po’ come il dottor Jekyll e Mister Hyde. Sul piano personale sono stato bene, con mia moglie Isabel. Come elBulli Foundation siamo molto contenti perché è finalmente arrivato il momento della verità: il 1 agosto apriremo un nuovo ciclo e vogliamo che sia un progetto di tutti e per tutti. Ma poi c’è Mister Hyde, cioè tristezza assoluta e dramma. Io in questo momento non possiedo ristoranti né ne sono socio. Ma negli ultimi anni abbiamo creato qualcosa di meraviglioso, che ora vediamo in pericolo”.
J.R.: “All’inizio della crisi, quando tanta gente moriva, avevamo la coscienza di non essere fondamentali. La pandemia era così drammatica che temevamo di non poterne uscire. Poi le cose sono un po’ cambiate, anche se alcune zone sono ancora sottoposte a misure speciali. È questa grande incertezza sul futuro a disorientarci. La bestia ha cambiato forma, ma è sempre qui”.
F.A. “Se analizziamo la situazione, constateremo che sta accadendo quanto previsto dagli esperti. Ma nessuno vuole ascoltarli, sapere che il vaccino tarderà o ci saranno seconde ondate. Adesso il problema è economico e dipende dal fatto che si possa trovare un vaccino o una cura in tempi ragionevoli. Ogni ristoratore deve figurarsi diversi scenari per la propria attività. Se in Spagna ci sono 4000 ristoranti gastronomici, vanno divisi in 10 categorie, diverse l’una dall’altra. Bisogna aiutare la gente a capire e affrontare la propria situazione finanziaria. Per la prima volta io e Joan, insieme ad Andoni Luis Aduriz, Martin Berasategui, Quique Dacosta, stiamo guidando un progetto di gestione con Eurotoques, che condivideremo con tutti, come abbiamo fatto con i nostri piatti e il nostro stile di cucina. Dobbiamo creare meccanismi grazie ai quali, quando qualcuno aprirà un’attività nuova, non gli risulterà difficile sapere cosa sia un bilancio o un risultato operativo. Qualcosa che sia applicabile a tutte le piccole e medie imprese, la metà delle quali non dura più di un lustro, mentre il 25% si ferma a 2 anni. Non è difficile farlo e non costa. Questa è una crisi sanitaria, ma per la ristorazione è anche una crisi economica che richiede risposte. Ecco la prima”.
J.R. “Nessuno può sapere se la ristorazione finirà preda di grandi imprese appartenenti a fondi di investimento, che venderanno piatti firmati eseguiti da dark kitchen. Questa è futurologia, ma sono in corso fenomeni curiosi. In alcune grandi città degli Stati Uniti stanno cominciando a limitare il numero di stabilimenti che un marchio in franchising può aprire. Penso sia bene che si favorisca l’apertura di attività diverse, soprattutto locali, che contribuiscano all’identità del posto anziché rendere ogni città uguale all’altra. In questo senso l’amministrazione può svolgere un’azione positiva. Per il resto Ferran ha ragione quando dice che nella ristorazione si produrrà una catarsi: bisogna tenere sotto controllo la gestione, essere pratici, non vedere la propria azienda come qualcosa che funziona perché ci piace, ma perché è stata pensata bene, nel senso di sapere a chi è rivolta e come. Ci sarà molta più professionalità, non solo nella gestione, ma anche nell’adeguamento alle nuove norme, compresi gli orari di lavoro ridotti, che dovevano arrivare e sono arrivati per restare. È il momento di impostare tutto in modo diverso e penso che ci sarà chi riuscirà ad avviare il proprio locale con strategie chiare e un mercato che si rigenererà e cambierà”.
F.A. “Nemmeno le grandi catene sanno cosa accadrà. Già prima della covid avevamo un surplus di offerta, non una bolla. Oppure l’altro tema delle 8 ore, che è discutibile, nel senso che qualcuno doveva pagarle. In Francia lo facevano da 15 anni e per questo un tre stelle a Parigi vale il 30% in più del Celler de Can Roca, che è stato proclamato due volte il migliore ristorante del mondo. Un altro è il controllo fiscale: credo che il rendimento della ristorazione sia intorno al 5,6%, è fragilissima. Per guadagnare 100mila euro, occorre fatturare due milioni. Questo già prima del covid. Aggiungiamoci la pandemia. Un altro fattore da tenere presente è lo smart working, che durerà ancora un anno abbondante, poi sarà difficile tornare indietro. Tutto questo presuppone un cambio di paradigma cui dobbiamo prepararci. Non sono allarmista, ma l’altro giorno mi hanno detto di tutto perché avevo prospettato l’eventualità che nel giro di 30 anni il 50% dell’hôtellerie possa chiudere, mentre oggi è il 10% annuo ed altri apriranno. Ci sarà chi si ritirerà, gente che non aveva risorse. Con un margine di un mese e mezzo, non puoi resistere a una crisi. Parliamo di realtà che muovono il 35% del PIL spagnolo, qualcosa di serio, per cui mettere a punto un progetto rivolto a tutta l’Europa, in cui la Spagna funga da ponte. Ci offriamo gratuitamente di creare una strategia per capire chi siamo, chi siamo stati e cosa vogliamo essere, cominciando dalla formazione gestionale. L’agricoltura deve essere per tutti, anche quelli che guadagnano 1000 euro al mese, e sono la maggioranza degli spagnoli. La Apple o la Nike del vegetale è facile crearla e possiamo riuscirci, come abbiamo fatto con il movimento della cucina, essendo audaci, rischiando e unendo le forze. Dobbiamo dare un appiglio alle persone, è il momento di lottare per i nostri progetti, lottare per i più, lottare al massimo ed essere ambiziosi. Voglio presentare personalmente all’Unione Europea i progetti più innovativi”.
J.R. “L’idea è quella di utilizzare la forza della gastronomia, soprattutto l’alta cucina, che è stata il motore dell’immagine di un paese proiettato a livello internazionale e che ha trascinato il settore primario e l’industria alimentare. Tutti hanno beneficiato di questa visibilità e di questo posizionamento di prestigio nel mondo. Non possiamo lasciare che tutto questo vada perduto. Dobbiamo rafforzarlo e proiettarlo nel futuro. Dopo la crisi sanitaria ci sarà quella economica e sociale, già lo stiamo vedendo, sarà un altro mondo, ma il denaro continuerà e circolare e qualcuno vorrà spenderlo. Il ristorante resterà il luogo che non solo relaziona persone ed emozioni, ma mantiene viva una cultura gastronomica che fa parte della cultura popolare”.
Fonte: La Vanguardia