Per chi l’ha provato nei tempi d’oro, era una grande emozione: si entrava all’Ambasciata come in un circo gastronomico dal variopinto tendone a righe. Catapultati in un’irresistibile cucina di eccessi, si direbbe quasi felliniana, inconfondibile nel panorama italiano.
La Notizia
Per chi l’ha provato nei tempi d’oro, era una grande emozione: si entrava all’Ambasciata come in un circo gastronomico dal variopinto tendone a righe. Catapultati in un’irresistibile cucina di eccessi, si direbbe quasi felliniana, inconfondibile nel panorama italiano. Romano Tamani, del resto, era uno che non si era mai conformato: quando nel 1978 aveva aperto il suo ristorante con il fratello Francesco, detto Carlo, dedicandolo alla famiglia dell’ambasciatore Adolfo Alessandrini, originario di Quistello, si era subito tenuto lontano dall’incipiente nouvelle cuisine. La sua era una cucina padana, nell’abbondanza prima che nella rigorosa osservanza del chilometro zero, che amava risalire indietro nel tempo ai fasti del Rinascimento. Indimenticabili, quindi, la faraona del Vicariato con l’uva, l’anatra croccante in agrodolce con salsa di ciliegie, lo zabaione montato in sala nella casseruola di rame, piatti spesso reminiscenti dei Gonzaga. Ma una semplice fetta di salame poteva valere il viaggio.Il vecchio leone tuttavia non si arrende: il suo è solamente un arrivederci. Il nuovo ristorante aprirà ai primi di dicembre a Villa Bartolomea, in riva all’Adige. Le intenzioni erano quelle di salvaguardare la continuità della proposta gastronomica, seppur alleggerita. “Non è un cambio di gestione, farò l’executive delle ricette di Romano”, prometteva Ugolotti. Ma alla fine è stato proprio il settentasettenne Tamani a sfilarsi parlando di “ingratitudine”. Ed è partito il countdown per la ripartenza con il fratello Carlo, sempre sotto il segno della “tradizione mantovana”.
Foto di Lido Vannucchi